Sessant'anni dopo tutto si è concluso, tutto resta nella storia italiana
Gli anni di Alcide De Gasperi "fondamentali" per l'Italia
La sua Democrazia Cristiana era un grande popolo capace di consolidarsi non escludendo ma accogliendo un numero crescente di propri componenti
di Tino Bedin
I sessant'anni che ci separano dalla morte di Alcide De Gasperi costituiscono una "distanza storica". Non c'è nulla da confrontare con il presente.
Tutto si è concluso. Tutto resta nella storia italiana.
Senza De Gasperi l'Italia, la sua identità, la sua natura sociale ed economica, sarebbero state diverse allora e quindi sarebbero diverse oggi. Gli anni di Alcide De Gasperi alla guida dell'Italia sono "fondamentali" nel significato etimologico della parola: sono le fondamenta del "nuovo inizio" di una nazione alla quale il ventennio fascista aveva alla fine lasciato macerie fisiche, economiche, sociali, personali.
Ne avevano piena consapevolezza gli italiani fin dal 19 agosto 1954 - appunto sessant'anni fa - quando Alcide De Gasperi morì nella sua casa a Selva di Borgo Valsugana in Trentino.
Da un anno egli non era più presidente del Consiglio: l'ottavo governo da lui guidato era finito il 22 agosto 1953, perché una parte della Democrazia Cristiana imputò a lui la sconfitta elettorale del giugno precedente, quando la legge elettorale maggioritaria non scatto per pochi voti. Ma per gli italiani era lui "il presidente della ricostruzione", era lui che aveva dato la speranza. Nella nostra storia di popolo e di comunità restano le immagini di un treno funebre che da Borgo Valsugana arriva a Roma e che in ogni stazione si ferma perché migliaia di persone vogliono ringraziare Alcide De Gasperi e pregare per la sua anima. Le immagini rimbalzavano nei primi televisori accesi nei bar e nei cinema parrocchiali, davanti ai quali milioni di italiani si radunarono non per uno spettacolo, ma per un funerale, come se andassero alla chiesa della loro parrocchia ad accompagnare in cimitero un compaesano.
Era del resto naturale per la maggioranza degli italiani identificarsi con Alcide De Gasperi: uno che aveva l'armadio vuoto come loro e che per andare a chiedere un prestito per l'Italia al presidente americano Truman si era fatto prestare il cappotto dal segretario della Dc Attilio Piccioni: non ne aveva infatti uno adatto alla circostanza così ufficiale.
Per gli italiani Alcide De Gasperi era uno di loro anche nella determinazione - spesso dolorosa - di prendersi le sue responsabilità, attitudine decisiva per dare qualità umana alla politica e per governare secondo una visione e progettando il futuro, guardando "non alle prossime elezioni, ma alle prossime generazioni", che è una delle frasi proprio di De Gasperi che hanno motivato il mio primo impegno politico da ragazzo. E questa prospettiva mi coinvolgeva di più di quello che mi insegnavano nella sezione della Democrazia Cristiana: lì mi dicevano che compito principale del partito era "prendere voti", perché senza voti non realizzi nessuna idea.
A farmi sentire di casa nella DC da ragazzo era anche un'altra definizione di De Gasperi riferita proprio alla Democrazia Cristiana, che per lui è "un partito di centro che cammina verso sinistra". Era un'immagine suggestiva: descriveva un grande popolo capace di consolidarsi non escludendo ma accogliendo e facendosi carico di un numero crescente di propri componenti.
De Gasperi affidò questa definizione ad un'intervista al "Messaggero" il 17 aprile 1948, proprio alla vigilia delle elezioni decisive nelle quali la contrapposizione con la sinistra era il motivo centrale del messaggio della DC: un gesto di coraggio e di chiarezza che ha finito per connotare il partito fino alla sua conclusione.
C'era tutta la riflessione culturale e politica dei cattolicesimo italiano nei primi anni Quaranta del secolo scorso, riassunti nel convegno di Camaldoli del 1943, arricchita da molti professori dell'Università Cattolica. Ma prima ancora c'era la formazione di De Gasperi nella prima Democrazia Cristiana, quella di don Romolo Murri, e poi nel Popolarismo di don Luigi Sturzo.
Per questo né De Gasperi né la sua Dc potevano essere "conservatori" e ancor meno "restauratori". Tra il dicembre del 1945 e l'agosto del 1953 gli otto governi guidati da Alcide De Gasperi hanno improntato l'Italia con la riforma agraria, con la riforma tributaria, con la nascita dell'Eni, con il piano di edilizia popolare, con la costruzione delle scuole.
Era l'Italia di tutti che De Gasperi aveva in mente e la DC per sua natura doveva interpretare questa Italia: meglio doveva rappresentarla, essere il partito della nazione, che non escludeva - appunto - ma includeva. Partito della naziona e quindi in grado di rispondere alla pressione del Partito Comunista con le leggi, il Parlamento e prima di tutto la Costituzione, da attuare nei suoi principi fondamentali.
In compagnia di Alcide De Gasperi, delle sue idee e delle sue scelte, si capisce perché - cambiato il sistema elettorale - la Democrazia Cristiana non potesse diventare l'ala conservatrice in uno schema politico bipolare. Ed infatti la DC ha concluso la sua esperienza e nessun tentativo di "riprodurla" è andato a buon fine negli ultimi vent'anni. Anche per la politica, sessant'anni dopo la morte di De Gasperi, tutto si è concluso, tutto resta nella storia italiana.
17 agosto 2014 |