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APPUNTO DEL PARTITO POPOLARE ITALIANO
PER IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO
SUI PRINCIPALI PROBLEMI IN DISCUSSIONE

Un sistema educativo e formativo forte
costruirà
un’Italia sviluppata e moderna

Un grande obiettivo per il Paese

Un nuovo obiettivo nazionale dopo l’ingresso nella prima fase della moneta unica europea, da indicare al Paese come riferimento per un grande impegno collettivo. Su questa esigenza si è registrata nelle ultime settimane una convergenza molto ampia, nel giudizio delle forze economiche e sociali; anche il dibattito politico nel centro-sinistra ha evidenziato la necessità di una rinnovata legittimazione dell’azione di governo, da realizzarsi con una seconda fase della politica economica, dopo i brillanti risultati ottenuti sul fronte della riduzione del deficit, del controllo dell’inflazione, dell’abbattimento dei tassi di interesse. Anche se risanamento e crescita non sono separabili, perche’ l’uno è la condizione dell’altra, occorre tuttavia rendere evidente che gli obiettivi raggiunti costituiscono la base su cui costruire i nuovi traguardi. La scelta europea deve diventare in modo esplicito novità dell’economia reale, stimolo per la competitività del sistema– paese, base per la soluzione dei problemi quotidiani dei cittadini. Evitare i rischi di separatezza e di distanza tra le scelte di politica economica e le questioni reali della vita del paese ci sembra una esigenza indilazionabile, anche per recuperare l’originalità della proposta politica della maggioranza di governo. Il grande obiettivo nazionale che dobbiamo porre al centro della nostra azione è lo sviluppo e la crescita della ricchezza del Paese, non per l’effetto di trascinamento da parte delle altre economie occidentali, ma per la sua autonoma capacità di mettere a frutto tutte le risorse di cui dispone. Pensiamo in primo luogo alla risorsa del lavoro, ma anche alle risorse dell’imprenditorialità, dell’iniziativa, della capacità di innovare nelle tecnologie e nei prodotti. Il Documento di programmazione economica e finanziaria si è già collocato nell'ottica che abbiamo descritto: "L’obiettivo del Governo è di massimizzare la crescita, coniugandola con i ritrovati equilibri di finanza pubblica"; "colmare il differenziale economico esistente tra Nord e Sud, conseguendo nell’intero paese un tasso di crescita elevato e duraturo". Ma le indicazioni contenute nel quadro macroeconomico programmatico, che prevedono un aumento del PIL reale al di sotto del 3% nei prossimi anni, non rispondono all’esigenza prospettata di pieno utilizzo delle risorse. Riteniamo che soltanto una più significativa crescita del PIL possa assicurare una accettabile crescita dell’occupazione e una integrazione tra politiche di sviluppo e politiche di crescita occupazionale. Occorre superare la schizofrenia tra politiche macroeconomiche recessive ed inviti a politiche microeconomiche di espansione occupazionale.

Investimenti, sviluppo e mezzogiorno

Un contributo rilevante alla crescita dell’economia deve essere dato da una decisa inversione di tendenza negli investimenti produttivi; questa è l’unica strada per creare lavoro, soprattutto nel mezzogiorno. La caduta del livello degli investimenti è alla base della crisi di molte aree, in particolare quelle con ritardo di sviluppo; il recupero può avvenire modificando il quadro delle convenienze per gli investimenti italiani e stranieri.

In questa prospettiva è necessario affrontare con determinazione il problema della riduzione del carico fiscale. Il riconoscimento dell’eccessivo peso della tassazione sull’economia produttiva del paese è ormai generalizzato; anche il Documento di Programmazione economica e finanziaria affronta il problema, delineando l’obiettivo di una riduzione del 2% nel 1999, derivante dal mancato rinnovo di alcune imposte straordinarie. Riteniamo che, a partire da questo dato, occorra predisporre un programma di riduzione del carico fiscale per le imprese, differenziato per aree (a cominciare dal mezzogiorno), per dimensione di impresa (a cominciare dalla piccola e media impresa), e per settore (viene in particolare rilievo la denuncia sul peso dell’IRAP per l’agricoltura, non risolto dal recente decreto legislativo sul riallineamento dei fattori competitivi nel settore agricolo).

Accanto al tema fiscale assume un rilievo particolare quello dei fattori qualitativi di competitività, soprattutto nel mezzogiorno. Pensiamo ovviamente alle questioni dell’ordine pubblico e delle infrastrutture, ma accanto ad essi riteniamo che si ponga l’esigenza di un investimento nelle "infrastrutture civili" (istruzione e formazione, Università, Pubblica Amministrazione, sistema giudiziario) che sono elementi fondamentali di un processo di modernizzazione decisivo per lo sviluppo del mezzogiorno.
Il Governo ha presentato alle parti sociali (Documento 21 maggio 1998) un quadro dettagliato degli impegni assunti che può costituire un punto di riferimento per la verifica degli interventi effettuati, della concreta disponibilità delle risorse, degli stati di avanzamento nella realizzazione delle opere e dei progetti.
In questo quadro vorremmo richiamare l’attenzione sulla necessità di considerare gli interventi di cui abbiamo parlato come elementi essenziali per determinare crescita competitiva del sistema; evitando di commettere l’errore di considerarli strumenti per la creazione diretta di posti di lavori. Non c’è prospettiva in una concezione tradizionale della spesa pubblica, legata ai concetti di lavori di pubblica utilità gestiti direttamente dalle amministrazioni; occorre invece puntare su una pubblica amministrazione che crea condizioni di sviluppo competitivo, e mette il sistema produttivo in grado di crescere e produrre vera occupazione.

Occupazione, piccola e media impresa

Sono note le difficoltà della grande impresa, interessata da processi di riorganizzazione molto profondi, nella creazione di posti di lavoro. E’ il variegato sistema della piccola e media azienda (industriale e artigiana) che può dare un contributo fondamentale nella crescita del sistema produttivo e nella creazione di lavoro. Nelle aeree del paese che hanno di fatto risolto il problema dell’occupazione, e sono in grado di competere con produzioni di qualità sui mercati internazionali, sono sovente le piccole imprese organizzate in Distretti, con una forte integrazione con il territorio, a svolgere il ruolo principale. Nessuno pensa che un sistema produttivo complesso possa sopravvivere senza grandi aziende, che svolgono un importante ruolo di infrastrutturazione e rafforzamento del sistema stesso, ma per creare lavoro occorre scegliere altre strade. Non possiamo proclamare la specificità della nostra economia, basata in modo così preponderante sull’impresa piccola e media, e non trarne le necessarie conseguenze. Pensiamo ad un "patto" con la piccola impresa, che preveda un suo specifico ruolo nella concertazione, l’individuazione di strumenti che ne garantiscano il rafforzamento e la modernizzazione.
Le linee specifiche di intervento (già contenute in parte nella Finanziaria 1998 e nel Documento di programmazione) riguardano lo sviluppo della ricerca e delle modalità di trasferimento delle tecnologie, lo sviluppo di strumenti e mercati finanziari specifici, il supporto ai processi di internazionalizzazione.

Le regole del mercato del lavoro

L’introduzione di tecniche produttive ad alta intensità di capitale sta progressivamente allentando il tradizionale legame tra crescita del PIL e occupazione. Bisogna individuare quindi percorsi che, oltre a perseguire lo sviluppo economico, individuino specifici interventi nel mercato del lavoro, pur nella consapevolezza che non esiste una sola ricetta miracolistica per risolvere il problema occupazionale. Individuiamo qui una serie di temi che dovranno essere opportunamente sviluppati.
Confermiamo la necessità di spostare gradualmente risorse dalle politiche di carattere assistenziale (Cigs, prepensionamenti) a politiche che garantiscano opportunità di inserimento e /o di reinserimento nel mondo del lavoro. In questo senso riteniamo opportuna l’indicazione della Commissione Europea di perseguire "l’impiegabilità" come strategia fondamentale di politica del lavoro. Siamo consapevoli dei passi in avanti che sono stati compiuti nella definizione di nuovi strumenti (ad esempio il lavoro interinale), di nuove forme di flessibilità, di più moderne regole di funzionamento del mercato del lavoro, anche se riteniamo che debbano essere accelerate le procedure di attuazione del cosiddetto "pacchetto Treu" .

In questa fase del dibattito riteniamo opportuno concentrare la nostra attenzione sulle seguenti questioni:

la differenziazione salariale per i neo-assunti, e cioè il cosiddetto "salario di ingresso". Pur sapendo che la normativa in vigore prevede rilevanti forme di flessibilità in entrata, sia dal punto di vista normativo che dal punto di vista economico, pensiamo che vada valutata l’opportunità di un intervento in questa direzione per le aeree del mezzogiorno, come segno sul fronte della disoccupazione giovanile.

E’ di estrema importanza l’attuazione della riforma del collocamento, finalizzata alla liberalizzazione dei servizi per l’occupazione ed all’attivazione in quest’ambito di servizi di orientamento e consulenza capaci di colmare il gap informativo dei lavoratori in cerca di occupazione e di creare strumenti capaci di far incontrare in modo efficiente domanda e offerta di lavoro.

La stessa centralità nelle politiche del lavoro assume l’attuazione della riforma della formazione professionale, che deve essere collegata alla riforma scolastica e porre adeguata attenzione al tema della formazione continua dei lavoratori.

La disciplina del lavoro atipico, che è il vero grande fenomeno innovativo del mercato del lavoro, oggetto di un provvedimento legislativo in discussione al Senato. Queste nuove forme di lavoro, destinate ad assumere dimensioni sempre maggiori perche’ basate sui processi di esternalizzazione delle funzioni della grande impresa, richiedono una disciplina rispettosa della loro peculiarità, che affronti in modo adeguato il problema della tutela previdenziale e delle modalità contrattuali.

Vanno sviluppati i nuovi bacini occupazionali che lo stesso Libro Bianco di Delors ha individuato. Ad esempio, il terzo settore può produrre nuova occupazione in quanto, oltre ad essere caratterizzato da alta intensità di lavoro umano, risponde ad una domanda in forte crescita come quella dei servizi alla persona, che lo Stato e le imprese a scopo di lucro non riescono a soddisfare in maniera adeguata. Andrebbe valutata l’opportunità di introdurre detrazioni fiscali per le spese delle famiglie per servizi alla persona. Un simile provvedimento avrebbe un duplice effetto benefico: favorire la risposta ai bisogni sociali insoddisfatti delle famiglie e creare nuova occupazione in settori precedentemente dominati dal lavoro al nero, come quello dei servizi all’infanzia e agli anziani.

La riduzione del costo del lavoro, agendo sugli oneri fiscali e previdenziali che lo compongono, è un tema su cui occorre avviare la discussione ed assumere l’iniziativa. Sappiamo che la questione è complessa, si intreccia con i problemi di una fiscalità che sposti il suo peso dal lavoro al capitale, deve essere affrontata a livello europeo. Il dibattito è aperto, anche per iniziativa del Commissario Monti, ed occorre passare dalla discussione alle iniziative concrete.

Rafforzamento delle esperienze positive di politica attiva del lavoro, con riferimento in particolare alle politiche di start-up di nuove imprese, partendo dalla esperienza realizzata dalla società per l’imprenditorialità giovanile.

Le questioni di attualità

La definizione di alcuni punti di riferimento per la riflessione di politica economica deve essere completata con la valutazione delle principali questioni emergenti.

1) Sul tema delle 35 ore confermiamo la necessità di rispettare l’accordo che il Governo ha preso con la maggioranza nell’ottobre 1997 in materia di riduzione dell’orario di lavoro. Riteniamo che il disegno di legge del Governo debba essere presto oggetto di discussione in Parlamento. Auspichiamo che in quella sede si apra un confronto tra le forze politiche con la partecipazione attiva delle parti sociali, in modo da recuperare una parte di flessibilità allo strumento legislativo.
Nel merito, riteniamo opportuna una rimodulazione degli oneri sociali in modo da creare un sistema di incentivi volti a favorire la riduzione degli orari. Ci poniamo l’obiettivo di una flessibilità contratta dei tempi di lavoro, collegando i bisogni sugli orari dei lavoratori con le esigenze delle imprese di utilizzazione degli impianti.
In sede parlamentare dovrà inoltre essere attentamente valutata l’opportunità di mantenere il limite di applicazione del disegno di legge solo per le aziende sopra i 15 addetti. Riteniamo inoltre che nella seconda fase della legislatura si debbano rendere operative le politiche, approntate dal Governo, sul part-time, sui congedi parentali e sui permessi per assistere i familiari. Riteniamo, infatti, che queste politiche siano in grado di migliorare la qualità della vita di molte famiglie italiane.

2) Il secondo tema rilevante è costituito dal progetto di costituzione dell’Agenzia per lo sviluppo del mezzogiorno. Il Problema del mezzogiorno, a nostro avviso, è soprattutto rafforzare le capacità di sviluppo autonomo ed "endogeno" che si sono affermate negli ultimi anni; vediamo con grande preoccupazione ogni riaffacciarsi di logiche di intervento straordinario, che ha svolto nel tempo una funzione importante, ma non corrisponde più alla situazione attuale, che l’intervento straordinario stesso ha contribuito a creare. Compito della nuova Agenzia quindi deve essere non la realizzazione di interventi, ma il sostegno alle capacità progettuali ed operative presenti nel mezzogiorno. Una funzione di stimolo e coordinamento, e non di intervento diretto. Non siamo d’accordo su una struttura che si articoli in una guida centrale ed in una serie di "filiali" periferiche, anche perche’ una simile impostazione riproporrebbe l’asse Roma-periferia come riferimento centrale per la soluzione dei problemi del sud.

3) Una delle questioni su cui occorre dare un giudizio è costituita dalla privatizzazione delle attività economiche possedute dallo Stato. La scelta della maggioranza e del Governo di avviare un esteso processo di dismissioni è condivisa da noi con convinzione, nella logica di introdurre elementi di liberalizzazione e di concorrenza nel sistema economico, di rafforzare la struttura finanziaria del paese, di contribuire al rientro del debito . Prendiamo atto positivamente che le scelte fondamentali in tema di privatizzazioni sono state fatte, che risultati positivi sono stati raggiunti, e ci sembra pertanto pretestuosa la polemica sui ritardi e sulle inadempienze. Riteniamo però che sul tema ci siano tre questioni. La prima: come evitare che le privatizzazioni consegnino la gestione di grandi aziende, fortemente redditizie, a gruppi di controllo proprietari di una ridotta percentuale di quote; cioè in sostanza come evitare che con pochi soldi si comprino grandi gruppi. E’ il tema della struttura del capitalismo italiano, della ricerca di un modello italiano di "public company", del cambiamento delle regole che attualmente disciplinano il processo di privatizzazione. La seconda: come assicurare la tutela degli interessi diffusi, cioè come garantire il mantenimento del servizio universale nella gestione dei servizi forniti da aziende in corso di privatizzazione. La terza: come conciliare il mantenimento di dimensioni aziendali di rilievo (necessarie a nostro avviso in una logica di politica industriale) con il superamento di situazioni di monopolio e il consolidamento dei processi di liberalizzazione.
A nostro avviso in sostanza il problema delle privatizzazioni non è il "quando" ma il "come", le regole da innovare.

Le politiche formative: la priorità

Nessuno degli obiettivi di modernizzazione del Paese e di sviluppo è realizzabile senza un grande sforzo sulle risorse umane. L’innovazione, la capacità competitiva, la qualità dei prodotti e dei processi si sviluppano soltanto per effetto di un sistema educativo e formativo forte e moderno. Scuola e formazione sono quindi per i popolari la priorità. In particolare chiediamo:

Uno stanziamento significati a favore dei docenti della scuola statale da distribuire come salario accessorio a riconoscimento della qualità dell’insegnamento.

L’approvazione della legge di parità sulla base del testo in discussione al Senato. In particolare deve essere riconosciuto il ruolo pubblico delle scuole paritarie. In merito ai finanziamenti il PPI, pur essendo disponibile a prendere in esame tutti gli strumenti proposti, ritiene che la formula migliore sia un mix che riconosca da un lato il diritto dei ragazzi delle scuole non statali a un trattamento equipollente sul piano della qualità scolastica e dall’altro la difesa degli operatori di queste scuole. In merito al diritto dei ragazzi si propone che ad ogni studente vengano riconosciuti gli stessi eventuali sgravi fiscali dei loro coetanei delle scuole statali per i libri e i sussidi didattici e la stessa "dote" che il bilancio e le varie leggi già oggi riconoscono per la qualità dell’insegnamento e per il suo arricchimento. Per quanto riguarda invece la difesa dei docenti delle scuole non statali si propone che lo Stato si accolli gli oneri previdenziali compresi quelli per il trattamento di fine lavoro.

L’approvazione entro luglio del disegno di legge del Governo relativo all’innalzamento dell’obbligo scolastico e formativo. Detto testo deve essere emendato in modo da prevedere chiaramente la possibilità di assolvere gli ultimi due anni dell’obbligo anche nel sistema della formazione professionale, sia pure con la garanzia che saranno assicurati gli insegnamenti generali propri del biennio scolastico corrispondente.

L’approvazione entro l’anno di tutti i disegni di legge attualmente all’esame del Parlamento in materia di organi collegiali, di riordino dei cicli, di reclutamento del personale e di stato giuridico dei docenti di religione.

Politiche di sostegno alla famiglia

Le politiche di sostegno alla famiglia devono costituire un punto centrale dell’azione del Governo. La famiglia – con il potenziale di solidarietà che racchiude in sé – costituisce, infatti, una risorsa di primaria importanza per la coesione sociale e può permettere al Paese di affrontare le sfide della società tecnologica del 2000 con una qualità di vita a misura d’uomo. Mettere la famiglia in grado di svolgere appieno i propri compiti non significa affatto sviluppare una logica individualista in quanto la famiglia è la prima "scuola di virtù sociali", nucleo fondamentale perché lo sviluppo di ogni persona umana avvenga nella piena consapevolezza dell’essenziale rapporto con gli altri. Rafforzare le politiche a sostegno della famiglia non significa affatto disimpegnarsi nei confronti dello Stato sociale ma rimodellarlo e rafforzarlo ponendo in gioco tutto il potenziale di solidarietà che esiste nella società civile. L’impegno per le politiche a favore della famiglia non è inoltre incompatibile con il riordino ed il contenimento della spesa sociale perché le risorse investite negli interventi per la famiglia fanno superare la necessità di altre, più costose spese, quali, ad esempio, quelle di istituzionalizzazioni dei minori, degli anziani o dei soggetti in difficoltà. Va quindi detto con grande chiarezza che gli investimenti a favore della famiglia costituiscono, oltre che un dovere, un risparmio. Occorre dare atto al Governo Prodi di avere già, in questo difficile biennio di generale contenimento della spesa pubblica, riservato alle politiche familiari notevoli investimenti. Questa linea è apparsa con chiarezza fin dal DPF 1997, è stata riconfermata nel DPF 1998 ed ha trovato concreta attuazione nelle Finanziarie ’97 e ’98. Il PPI chiede ora che la scelta a favore delle politiche familiari sia rafforzata in modo significativo e sia articolata con maggiore ampiezza. Indagini recenti hanno evidenziato il preoccupante fenomeno dell’aumento del numero di famiglie che vivono al di sotto della soglia di povertà. Le risposte ad una situazione così grave vanno certamente date attraverso lo sviluppo delle politiche per il lavoro, per la casa, per la scuola, per la sanità, per la sicurezza sociale e, da questo punto di vista, una ricaduta positiva si avrà con la approvazione della legge quadro di riforma dei servizi sociali in corso di discussione alla Camera.

Tuttavia occorrono anche interventi specificatamente mirati all’immediato sostegno della famiglia. In questo senso vanno riconfermate e rafforzate le scelte positivamente compiute dal Governo prodi a favore degli assegni al nucleo familiare. E’ poi necessario realizzare in modo icicsivo la scelta di fare delle poltiche fiscali un momento centale di solidarietà e sostegno a favore della famigli aprevedendo, fra l’altro, la possibilità di detrarre le spese per il lavoro di cura a favore dei figli, degli anziani, dei soggetti non autosufficienti. Deve essere approvato al più presto il disegno di legge in discussione al Senato che contiene misure per favorire l’acquisto o l’affitto della casa per le giovani coppie. Il dovere costituzionale di proteggere la maternità , la necessità di prevenire l’aborto e di adottare concrete misure contro la denatalità rendono necessario il completamento della tutela di maternità estendendola alle disoccupate, alle casalinghe ed alle studentesse che attualmente ne sono prive. Nella stessa logica va completato ed arricchito il sistema dei congedi parentali nel quadro di una ridefinizione dei criteri di flessibilità degli orari di lavoro. Va superato il forte deficit che caratterizza il nostro Paese, anche di fronte agli altri Stati d’Europa, per quanto riguarda i servizi per la prima infanzia. E’, quindi, assolutamente necessario che la prossima Finanziaria contenga gli stanziamenti per un significativo piano per gli asili nido che permetta di realizzare in ogni zona del Paese (e particolarmente nel Sud ove il servizio è del tutto carente) una rete di asili nido in grado di offrire servizi flessibili, personalizzati, gestiti con il coinvolgimento delle famiglie.

La Pubblica Amministrazione

In armonia con gli obiettivi fissati dal DPEF 1999–2001 (n. 16/2), sull’ammodernamento della pubblica Amministrazione, occorre che il Governo proceda rapidamente e con forte impegno all’attuazione delle leggio di riforma già approvata e particolarmente della legge 59/97.

Delle deleghe contenute in questa legge è stata parzialmente attuata la prima in materia di decentramento di funzioni amministrative a regioni ed Enti locali, soprattutto con il D. L.vo n. 112/98, il quale, tuttavia necessita di successivi adempimenti attuativi da parte del Governo intesi alla puntuale definizione delle risorse, personale e mezzi, da trasferire, e al riordino delle strutture organizzative direttamente coinvolte dal trasferimento.
A questo fine, occorrono precise analisi da parte del Governo al fine di assumere le realtive decisioni, d’intesa con le Forze politiche anche ai fini della espressione dei necessari pareri parlamentari.

La seconda delega contenuta nella legge 59/97, prorogata fino al 31 gennaio 1999, ha ad oggetto la riorganizzazione degli apparati centrali dello stato. Essa deve essere puntualmente attuata perché l’ammodernamento di questi apparati, la loro razionalizzazione, è strumento indispensabile. Per lo sviluppo del Paese, nella prospettiva della competizione europea, a fronte di organizzazioni amministrative ben più efficienti di cui dispongono gli altri Stati.

L’attuazione della riforma necessita soprattutto di personale dotato di elevata professionalità, culturalmente attrezzato ad una visione manageriale dell’amministrazione e adeguatamente motivato anche sul piano della soddisfazione economica. Sono in corso i procedimenti della nuova contrattazione ai sensi del D.L.vo 396/97.

Attraverso i nuovi contratti si deve incentivare le migliori professionalità, particolarmente nel settore della dirigenza, adeguatamente remunerare il personale tecnico mediante trattamenti che tengano conto della specificità della prestazione, e incentivare altresì i processi di formazione espressamente previsti dalla legge di delega. A tal fine è necessario stanziare, compatibilmente agli obiettivi del DPEF, adeguate risorse da utilizzare principalmente nell’ambito della contrattazione integrativa, che possono essere quantificate nell'ordine di 2000 mld. Il DPEF ha espressamente stabilito che la "contrattazione collettiva integrativa dovrà incentivare la produttività, l’innovazione e la crescita professionale legata al merito"; e in questa prospettiva, "assume particolare rilievo l’investimento in formazione, quale strumento capace di favorire il cambiamento e l’acquisizione di nuove professionalità e competenze".

Roma, 3 luglio 1998


31/07/1998
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Tino Bedin