I cattolici sono di destra?
Si tratta dunque della ennesima leggenda metropolitana, o i dati elettorali confermano veramente questa ipotetica propensione dei cattolici italiani a votare in prevalenza per il centrodestra? Con l’ausilio delle indagini demoscopiche realizzate da Ipsos nel corso degli ultimi mesi (prima e dopo il voto) e della rielaborazione effettuata da due docenti universitari, Paolo Segatti e Cristiano Vezzoni, possiamo tracciare una prima rapida risposta alla domanda cruciale: Come hanno votato i cattolici nelle elezioni del 13-14 aprile 2008? Una argomentazione più approfondita su questo tema, da parte dei due professori, è contenuta nel volume che uscirà a breve (Senza più sinistra), curato da Renato Mannheimer e Paolo Natale, cioè da me. Ma già fin d’ora possiamo anticipare i principali contenuti della loro analisi.
Che è presto formulata: è certamente vero che gli italiani che si dichiarano maggiormente cattolici (in particolare quelli assidui, che frequentano la messa) votano in prevalenza per i partiti di centrodestra, soprattutto per il Pdl; ma è altrettanto vero che questo differenziale di voto non fa che replicare quello esistente nella popolazione italiana.
Detto altrimenti: se tra i cattolici il partito più votato è sicuramente il Popolo delle Libertà (con una percentuale che si aggira intorno ai 43-44 punti), non è vero che essi non scelgano in misura consistente anche il Partito democratico (per il quale le opzioni dei cattolici sono vicine al 35-36 per cento). Mentre dunque l’elettorato cattolico praticante sceglie il Pdl in misura leggermente maggiore che la totalità degli elettori (44 contro 38 circa), lo stesso si può dire per il Pd (che ottiene un consenso pari al 35 contro il 33 a livello nazionale).
La situazione non è quindi cambiata di molto rispetto al 2006 o ai precedenti anni elettorali, anche se abbiamo assistito ad un cambiamento nelle opzioni di voto a disposizione dei cittadini.
Oltre al fatto che nel 2008 tutti i partiti hanno corso da soli, per la prima volta dopo il 1994 si presentavano due partiti che facevano uno specifico appello confessionale: oltre alla lista di Ferrara, esisteva anche un centro non inserito in una più ampia coalizione, l’Udc, che si proponeva come naturale casa dei cattolici.
Come è noto, questo appello è stato rifiutato, anche dalla maggior parte dei cattolici: soltanto il 7 per cento tra i cattolici ha infatti votato il partito di Casini, poco più di quanto hanno fatto gli altri elettori. Il fatto che l’esito elettorale non sia stato per l’Udc tanto disastroso è dovuto in maggior misura alla sua collocazione, come terza via tra i due principali partiti-coalizione. La forza di attrazione del proprio elettorato da parte dell’Udc non si è dimostrata essere legata ad una specifica fedeltà o sensibilità dei cattolici.
Segatti e Vezzoni suggeriscono un’ipotesi: potrebbe non avere torto chi ritiene che con queste elezioni si chiuda un periodo, quello nel quale la questione cattolica veniva fatta coincidere con la questione democristiana o con quella degli ex-democristiani. Nelle condizioni politico- istituzionali e sociali italiane, con una crescente richiesta da parte degli elettori di semplificazione dell’offerta politica, e con crescenti tassi di secolarizzazione che riducono il numero di praticanti, lo spazio per un partito che faccia diretto ed specifico appello ai cattolici non sembra esserci. Né il conclamare una identità religiosa è da sola una risorsa in grado di intercettare il favore dei cattolici praticanti. Piaccia o meno, pare proprio che anche questa volta molti cattolici praticanti abbiano votato sulla base di considerazioni mondane, delle proprie paure o dei propri bisogni materiali. Un po’ come hanno fatto tutti gli altri elettori.
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