RASSEGNA STAMPA

Il Riformista
12 gennaio 2008
di Franco Marini


Partito democratico: il silenzio dei cattolici

La domanda è: che fine hanno fatto i Sessanta? Nel senso degli ex popolari, i quali, alla vigilia dell’ultimo congresso della Margherita avevano risposto al “Non possumus” proclamato dal giornale dei vescovi. La lettera fu salutata da D’Alema come l’ “atto fondativo” del Pd, e secondo Europa, che rievoca quel passaggio, fu un “momento eroico”, prova della nuova vitalità del cattolicesimo democratico.
Ben presto, però, alla carica dei Sessanta seguì il silenzio. E, scrive l’Avvenire, “non sempre la presa di parola è preferibile al silenzio”. Perché, di fatto, seppure qualche voce di parte popolare si è alzata in questo periodo è stato per attaccare altri cattolici definiti Teodem. Inutile dire che nei primi passi del Pd, le “anime” cattoliche (mai come in questo caso la tassonomia coincide perfettamente con la specie classificata) hanno marciato divise e spesso in contrasto. Soprattutto su una questione di non poco conto quale la delimitazione dei valori “non negoziabili” rispetto alla pratica politica della mediazione.
Nel frattempo il Pd si comincia a movimentare: correnti? Forse: visto che inizialmente ne sembrava proibitissima e condannabile la loro costituzione, come non essere tentati dal contravvenire? E così, mentre i cattolici democratici, i cosiddetti “demo-catt”, rispettano un operoso silenzio e i Teodem parlano eccome, e dicono le verità che non si vuole ascoltare, altri scrivono un documento intitolato “laicità, nuovo civismo e valore della persona” e altri ancora, vecchi compagni d’arme, si riuniscono, se mai si sono divisi, nominando la parola che non si dovrebbe nominare.
I Sessanta si sentono traditi. La loro dedizione e il loro “eroismo”, già messi a dura prova da una campagna per le primarie del Pd nella quale si misuravano altri due candidati cattolici, Bindy e Letta, vengono scambiati per un principio di necrosi. Intanto, D’Alema riconosce che non ci sarebbe niente di male se nascesse un “centro cattolico” alla destra del Pd e potenzialmente suo alleato. Scrive oggi Chiara Geloni su Europa che allora “è scattato un campanello di allarme” negli ex Ppi.
Ma più grave è l’allarme di un’opinione pubblica che nel successo del Pd ripone le speranze di rinnovamento dell’intero sistema politico. In uno scenario nel quale si ripresentano le correnti vecchia maniera, magari “su base confessionale”, il timore del fallimento è forte.
La via d’uscita, secondo Angelo Panebianco, “è un vero partito americano: nel quale abortisti e anti-abortisti, mangiapreti e clericali, socialisti e liberali, cattolici conciliati con i cosiddetti tempi e cattolici contro possono combattersi, anche aspramente, senza che ciò minacci la sopravvivenza del partito”.
Un partito come questo, però, per nascere sul serio avrebbe bisogno “anche e soprattutto” di valori condivisi che, invece, con una scacchiera come quella disegnata da Panebianco, sono di difficile, se non impossibile,individuazione. Sempre che non si voglia ricorrere a luoghi unificanti ma tanto vasti e tanto alti (libertà, democrazia, progresso) da metter paura quando se ne voglia definire la sostanza in un solo programma politico, specialmente dovendo scendere nella loro pratica realizzazione. Non è vero, ad esempio, che dietro posizioni pro-choice e pro-life, ritenute utilmente conflittuali all’interno di una stessa formazione politica, ci siano gli stessi valori di fondo.
Altro è, caso mai, ragionare sulla possibile coesistenza nello stesso partito di persone che vengono da mondi diversi e che non intendono sacrificare i loro valori e le loro identità (lo so, questa oggi sembra una brutta parola ma va usata dato che continuerà ad esistere anche quando le identità politiche del passato e del presente saranno scomparse). Se è possibile una coesistenza tra valori diversi, è certamente spiegabile che una sintonia culturale dia luogo a iniziative comuni, solidarietà, anche correnti.
Al contrario, le ipotesi di un partito diviso trasversalmente, nel quale i “pro” e i “contro” sono temporanei e limitati ad alcuni temi, aprirà la non augusta strada del “doroteismo”. Una strada ben conosciuta dalle mappe politiche dei tempi andati e nella quale c’è posto per gli amici di questo o quel leader. I quali amici, pur lontani su questioni di grande rilevanza etica o sociale, sono tenuti insieme da altri motivi, di potere. Per un partito non è davvero questa la strada dell’inizio, semmai è quella del fine, per asfissia.
Quanto ha detto il Riformista Francesco Garofani, autore della lettera dei Sessanta, mi pare si muova anche da considerazioni come queste. Dice Garofani che il silenzio dei popolari è ingigantito dalle “modalità e dai toni con cui il dibattito sui valori si sta sviluppando”. E aggiunge che ciò porta alla necessità di trovare nuovi modi di “espressione” e forme di organizzazione per essere presenti nel dibattito politico.
Benissimo. Chi è stato accusato di iperattivismo fondamentalista non può che salutare con piacere questa considerazione di Garofani. E non credo sia complicata la modalità per un incontro che abbia come obiettivo quello di far risuonare la voce dei cattolici impegnati ad uscire dalla irrilevanza politica. Anzi, dobbiamo trovare presto questa modalità. Ogni cosa ha il suo tempo, ammonisce l’Ecclesiaste: “tempus scindendi, et tempus consuendi; tempus tacendi, et tempus loquendi”. L’importante è che si sappia perché ci si riunisce e che si parli chiaro perché è nostro dovere farlo.

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13 gennaio 2008
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