C'è il Partito Democratico nel futuro? I profili dei tre candidati alla segreteria giustificano questa domanda: Se ne ricavano infatti prospettive diverse sulla natura stessa del partito: un partito riformista post-ideologico con Matteo Renzi, una socialdemocrazia rinnovata ed europea con Andrea Orlando, un partito dei territori guidato da un governatore regionale con Michele Emiliano.
Questi tre possibili esiti del congresso segnalano che una parte delle difficoltà che il Pd sta attraversando nascono dall'incertezza del posizionamento culturale del Partito Democratico. C'è chi fa risalire questa incertezza alle origini stesse del Pd, cioè alla presunta "fusione a freddo" fra le sue componenti. Non mi sembra un'analisi realistica. All'inizio e nella sua storia il Partito Democratico è stato più di una fusione, come sta dimostra proprio l'articolazione di questo congresso, nel quale la ricchezza delle posizioni non solo dei candidati segnala che ormai nel PD il tema non è la provenienza ma l'appartenenza.
Le trasformazioni profonde. Le difficoltà - che coinvolgono tutti i partiti progressisti europei - nascono piuttosto dalla profonda trasformazione sociale ed economica che è avvenuta - e sta continuando - proprio negli anni di vita del Partito Democratico.
Dieci anni fa Valter Veltroni proponeva il partito nuovo per un'Italia nuova. Oggi sono in molti a ritenere e a sostenere che i partiti non servono. E non sono solo i pensatori e i politici. Sono molto spesso i cittadini. Il Movimento 5Stelle non perde consensi nonostante le oggettive incapacità a governare. In tutta Europa le fasce di popolazione più bisognose hanno abbandonato i partiti e sono la base più larga dell'astensionismo. L'astensionismo crescente in Italia si è interrotto in occasione del referendum costituzionale, cioè di un voto senza partiti.
Dieci anni fa, sulla scia di Tony Blair (Regno Unito) e di Bill Clinton (Stati Uniti), il Partito Democratico si poneva come il partito dei riformisti italiani. Nel frattempo gli elettori del Regno Unito e degli Stati Uniti hanno assunto altri orientamenti e l'idea stessa di riformismo è messa in discussione da parti crescenti delle opinioni pubbliche occidentali. In Italia il referendum costituzionale ha visto il voto contrario di 8 elettori su 10 nella fascia di età tra i 18 e i 35 anni. In tutta Europa gli scarsi risultati della sinistra riformista rispetto a disoccupazione e diseguaglianza hanno da una parte fatto prevalere i governi di centrodestra e dall'altro stanno riorientando più a sinistra molti partiti socialisti.
La base elettorale. È probabile che un qualche elemento di chiarezza democratica vada introdotto se si vuol continuare a far scegliere il segretario di un partito da tutti gli italiani che lo desiderano.
Il 2 marzo Alessandra Ghisleri, la sondaggista direttrice di Euromedia Research, ha evidenziato che si sta profilando un "fenomeno stranissimo": "Dalla metà alla fine di febbraio, quelli che dicono che andranno a votare per il congresso sono passati da 3 milioni e mezzo a 4 milioni e mezzo. Quindi sono aumentati di 1 milione". Tutto questo "entusiasmo" mal si concilia con l'ultimo sondaggio di Ilvo Diamanti, che segnala il Pd al 27,2 per cento, dopo i 5Stelle. E mal si concilia con la rilevazione che Nando Pagnoncelli ha pubblicato domenica 5 marzo sul Corriere: "Cresce la sfiducia nel governo. Lo boccia un italiano su due".
Può darsi che i sondaggi registrino già una risposta ad Emiliano che ha invitato a votare alle primarie in questo modo: "Di qualunque partito siate, venite a votare contro Renzi". Se così fosse il congresso diventerebbe non una discussione ma un campionato di lotta libera.
Concentrato di partito e governo? Questo meccanismo elettorale aperto a tutti i cittadini, certamente meglio calibrato, fa bene alla democrazia e al partito se resta il principio che il segretario è automaticamente il candidato presidente del consiglio.
L'identificazione delle due funzioni in una sola persona è altro punto su cui discutere. Va fatta una valutazione anche sulla base dell'esperienza di questa legislatura. Un bilancio appena sommario indicherebbe una prevalenza di effetti negativi: il governo è privo di un interlocutore politico sia per sé sia per gli elettori; il partito diventa inevitabilmente cinghia di trasmissione del governo e non prepara - con l'ascolto politico - le soluzioni per il futuro; l'interesse organizzativo viene ridotto in quanto il partito guarda verso il centro e non verso la base.
Una valutazione infine va fatta anche in relazione alla legge elettorale. L'identificazione delle due funzioni è coerente con il sistema maggioritario. Se il sistema sarà diverso è necessario verificarne la coerenza.
Regole, non principi. Sarebbe opportuno che su questi temi si discutesse votasse nel congresso, prima di sapere chi vince e chi perde, cioè che si trovasse una sintesi sugli strumenti di partecipazione e di decisione, indipendentemente dalle singole mozioni. La mozione Renzi-Martina prevede ancora "un leader che si candida a guidare dapprima la nostra comunità politica e poi il governo del paese". La mozione di Orlando e quella di Emiliano propongono la non coincidenza forzata dei due ruoli.
Ci sono indubbiamente prospettive politiche diverse nelle due impostazioni, ma si tratta di regole e non di principi. Ed è meglio valutarle prima dei principi.
15 marzo 2017