Negli uffici pubblici il volto di Sergio Mattarella sostituisce quello di Giorgio Napolitano. Il dodicesimo presidente della Repubblica ha però un altro desiderio: "Mi auguro che negli uffici pubblici e nelle istituzioni possano riflettersi, con fiducia, i volti degli italiani: il volto spensierato dei bambini, quello curioso dei ragazzi; i volti preoccupati degli anziani soli e in difficoltà il volto di chi soffre, dei malati, e delle loro famiglie, che portano sulle spalle carichi pesanti; il volto dei giovani che cercano lavoro e quello di chi il lavoro lo ha perduto; il volto di chi ha dovuto chiudere l'impresa a causa della congiuntura economica e quello di chi continua a investire nonostante la crisi; il volto di chi dona con generosità il proprio tempo agli altri; il volto di chi non si arrende alla sopraffazione, di chi lotta contro le ingiustizie e quello di chi cerca una via di riscatto".
Sergio Mattarella ha dato un volto - tanti volti - alla Repubblica nel suo discorso di insediamento davanti al Parlamento. Sa bene - e lo ha richiamato nello stesso discorso - che proprio quel Parlamento è impegnato ad aggiornare le "strutture" della Repubblica (l'impianto istituzionale, la legge elettorale). Proprio per questo - senza fare lezioni di diritto costituzionale ma dando voce ai milioni di "concittadini" italiani - ha raccontato la sua visione della società: è la visione cristiana che mette al centro le persone che ne fanno parte e modella le strutture sociali al volto delle persone e non viceversa.
I vocaboli della Costituzione e del Concilio. Anche altre parole del cattolicesimo democratico hanno innervato la presentazione che di sé il presidente Matterella ha fatto ai concittadini italiani attraverso il Parlamento.
La ricerca del bene comune è qualcosa di più che l'inseguimento dello sviluppo: quest'ultimo può realizzarsi anche nella diseguaglianza (come sta effettivamente avvenendo in molte parti del pianeta); il bene comune si realizza solo se riduce le differenze.
Torna dentro la politica anche un'altra parola spesso assente, quando non esorcizzata: partecipazione; soprattutto la partecipazione che si realizza attraverso i corpi sociali intermedi in grado di dare unità e forza a esigenze personali e in grado di mediarle con lo Stato. In una democrazia leaderistica e televisiva, che illude i cittadini con un dialogo diretto degli elettori con chi li governa, Sergio Mattarella segnala alle istituzioni repubblicane che la nostra Costituzione fa conto, per realizzarsi, anche ai corpi sociali intermedi.
Della Costituzione repubblicana il presidente Mattarella ha volutamente utilizzato molte parole e molte espressioni: il compito di "rimuovere gli ostacoli e limitano la libertà e l'uguaglianza", il ripudio della guerra, la valorizzazione del ruolo della famiglia, l'attuazione del diritto al lavoro e del diritto allo studio.
Gli italiani fanno l'unità d'Italia. Certo egli ha assicurato che sarà "arbitro", ma ha fin da subito aggiunto che sarà un giocatore nella squadra della Costituzione per aiutare a difenderla con l'applicazione.
È straordinario il suo richiamo all'unità dell'Italia: unità in cui assai più del territorio contano le persone: "l'unità costituita dall'insieme delle attese e delle aspirazioni dei nostri concittadini. Questa unità, rischia di essere difficile, fragile, lontana. La lunga crisi, prolungatasi oltre ogni limite, ha inferto ferite al tessuto sociale del nostro Paese… Ha aumentato le ingiustizie. Ha generato nuove povertà. Ha prodotto emarginazione e solitudine".
Se si lavora per l'unità della nazione e per la salvaguardia della Carta costituzionale bisogna prima di tutto badare a questo. Il più attuale compito delle istituzioni è isolare chi si avvale della crisi per sacrificare i diritti della gente e i servizi sociali fondamentali; è scongiurare il rischio che la crisi economica intacchi il rispetto di principi e valori su cui si fonda il patto sociale alla base della Costituzione.
Nuovamente c'è la "centralità istituzionale" della persona. Attorno alla persona la Costituzione resta attuale, si consolida come un patto e non un elenco di regole; si può ringiovanire, come è bene che sia, per tutelare meglio i diritti, l'uguaglianza, il lavoro, cioè i "beni" di una comunità. Anche "comunità" è parola del cattolicesimo democratico che la politica potrebbe ritrovare.
Sono tutte parole impegnative: per questo non riportano al passato, ma trainano verso il futuro. Ed è il futuro che Mattarella si è impegnato a costruire con gli italiani.
Protagonista del cambiamento in Italia. Per l'elezione di Sergio Mattarella e anche per i suoi primi atti ufficiali alcuni giornalisti e commentatori hanno ritenuto di dover ricorrere alla Democrazia Cristiana e alla Prima Repubblica. Veniva bene dal punto di vista della biografia del nuovo Presidente e calzava a pennello con l'attualità politica che sta archiviando senza rimpianti la Seconda Repubblica con il suo berlusconismo. È tuttavia un'operazione semplicistica; neppure vera in sé e men che meno proprio in relazione a Sergio Mattarella.
Egli è stato da promotore e da protagonista tra quanti hanno preso atto della conclusione della proposta politica della Democrazia Cristiana e contemporaneamente hanno convenuto che il cattolicesimo democratico fosse e sia una risorsa indispensabile per il bene comune e per la comunità. Per questo con Martinazzoli è stato fra i fondatori del Partito Popolare nel 1994: una proposta che gli italiani non hanno apprezzato a sufficienza ma di fronte alla quale noi Popolari (in quella squadra ero entrato anch'io prima sul territorio e poi in Senato) non tornammo indietro come ci propose Buttiglione. Mattarella fu una delle nostre guide in quel tempo. E con lui si costruirono poi l'Ulivo, la Margherita, il Partito Democratico. Forme diverse, con le quali dare risposte da cattolici democratici ai cambiamenti della società italiana.
Quanto alle "stagioni" della Repubblica, Sergio Mattarella è l'ideatore del "Mattarellum" il sistema elettorale che attraverso i collegi uninominali per Senato e Camera aveva effettivamente avvicinato il Parlamento ai cittadini e con la quota proporzionale del 25 per cento assicurava il contributo originale di molte culture alle decisioni che riguardano l'Italia. Per tristi ragioni di bottega elettorale la Destra di Berlusconi e Bossi ha sostituito il Mattarellum con il "Porcellum" di Calderoli, che ha portato alla fine della Seconda Repubblica e al parlamento di nominati, da cui non stiamo liberandoci neppure con l'Italicum di Renzi-Berlusconi. Il Mattarellum sarebbe invece stato in grado di consolidare progressivamente una democrazia al tempo stesso rappresentativa e maggioritaria.
Studio, dialogo, attenzione ai poveri. Non c'è dunque un salto all'indietro con questo nuovo Presidente della Repubblica. Piuttosto ritornano all'attenzione dell'opinione pubblica un pensiero ed uno stile che hanno una continuità nella vita democratica italiana e che sono stati via via impersonati e aggiornati da figure alimentate prima dalla Costituzione e poi dal Concilio Vaticano II. Figure capaci di "discernere", cioè capaci di dialogare con la società; cristiani laici, che continuano ad ascoltare la lezione politica del beato Papa Paolo VI.
Il nome più tragicamente noto all'opinione pubblica è quello di Aldo Moro. Ne metto insieme altri, senza ordine, proprio per affermare la continuità e l'attualità: Giorgio La Pira, Benigno Zaccagnini, Giuseppe Dossetti, Pietro Scoppola, Leopoldo Elia, Beniamino Andreatta. Persone (ha bene sintetizzato uno di noi, che apparteniamo alla stessa tradizione) la cui "formazione era basata su tre cardini: rigore e disciplina nello studio e nella professione; dialogo come metodo di costruire il consenso; attenzione ai poveri".
Con Sergio Mattarella questa lunga storia arriva al Colle. E anche questa volta sarà capace di misurarsi con le cose nuove e anche con quelle imprevedibili. Sarà per questo che oggi i giornali attestano che quasi otto italiani su dieci sono soddisfatti per la elezione di Mattarella. La grande parte dei cittadini non lo conosce ancora, ma probabilmente sente ben rappresentata da lui la volontà di moltissimi italiani di lavorare tenacemente e di inseguire un ideale di vita buona per la propria famiglia, per sé, per la comunità; la volontà di costruire il futuro, senza bisogno di riconoscimenti.
4 febbraio 2015