IN POLITICA

Dopo aver scelto di "cambiare verso",
ci tocca la scelta decisiva: il "verso", il nostro destino

La direzione dell'Italia
per allontanarsi dal declino

È la politica che parte dalla persona e ritorna alla persona. È il verso giusto

di Tino Bedin

Con uno slogan indovinato, "L'Italia cambia verso", Matteo Renzi ha ottenuto prima un largo consenso tra gli elettori del Partito Democratico e poi tra la generalità degli elettori italiani. Così ora guida sia l'Italia sia il Partito Democratico e deve trasformare lo slogan in realtà. Si è dato mille giorni: lo aspettiamo a quella data.
Nel frattempo sia noi cittadini sia le istituzioni dobbiamo decidere qual è "il verso dell'Italia", cioè "verso dove" vogliamo che l'Italia si incammini. Dopo aver scelto di "cambiare verso", ci tocca la scelta decisiva: il "verso", il nostro destino.

La riduzione della rappresentanza democratica. Le istituzioni (Governo, Parlamento, Presidenza della Repubblica nell'ultima fase di Giorgio Napolitano) segnalano agli italiani che la priorità sono le riforme che riguardano proprio le istituzioni repubblicane: attraverso la revisione della Costituzione e un diverso sistema elettorale si ritiene che l'Italia possa essere meglio governata e quindi possa più rapidamente trovare una nuova strada per lo sviluppo.
Alla meta dovremmo trovare governabilità e crescita. La direzione scelta per arrivarci è una riduzione della rappresentanza democratica: il Senato non sarà più scelto dai cittadini (ma continuerà ad esistere), la Camera dei Deputati cederà anche formalmente poteri verso il Governo, il Presidente del Consiglio sarà meno bilanciato dal Presidente della Repubblica. La democrazia italiana va verso una redistribuzione dei poteri, con una modifica profonda dell'equilibrio che i Padri costituenti hanno architettato dopo l'esperienza del fascismo. È il verso giusto? Per sciogliere questo dubbio, è necessario che si discuta prioritariamente del potere dei cittadini e solo dopo del potere del Senato o delle altre Istituzioni repubblicane.

Partiti meno "politici". A fornire elementi per questa discussione non sono solo le istituzioni, cioè lo strumento della rappresentanza democratica, ma anche i partiti, cioè le catene di montaggio della rappresentanza.
Assistiamo ad una evoluzione paradossale dei partiti: essi sono sempre meno "politici". Sono attori della politica, ma sono sempre meno "la politica". Sarà per questo che all'opinione pubblica non appare come un'anomalia il fatto che tutti e quattro i leader dei quattro maggiori partiti italiani (indifferentemente di maggioranza e di opposizione) non siano parlamentari: Renzi, Grillo, Salvini e Berlusconi non votano le leggi per la cui scrittura sono decisivi. A guardare bene la tv neppure i "sostituti" dei leader di Partito Democratico (Serracchiani), Cinque Stelle (Casaleggio), Forza Italia (Toti), stanno in Parlamento. La catena di montaggio della rappresentanza si ferma dunque prima del principale strumento della sovranità popolare, che la Costituzione individua nel Parlamento.
La direzione verso cui va l'Italia è la gestione diretta della sovranità popolare da parte dei partiti. Infatti è tornata di attualità - non a caso principalmente per la spinta del Movimento Cinque Stelle - il tema delicato del "vincolo di mandato" in capo agli eletti negli organi rappresentativi. I Padri costituenti hanno esplicitamente escluso che lo svolgimento di un mandato elettivo debba essere legato all'obbedienza al partito di appartenenza. Ora più di qualcuno sostiene l'esatto contrario: se non sei allineato, perdi il posto. Problema complesso, delicato, che riguarda la questione centrale che abbiamo posto all'inizio, cioè se la governabilità per lo sviluppo passi inevitabilmente per una trasformazione della democrazia rappresentativa.

Il variegato elettorato delle Primarie. Molti cittadini sembrano crederlo e stanno contribuendo direttamente alla evoluzione "non politica" dei partiti. Il successo delle elezioni primarie organizzate dal Partito Democratico per diversi gradi istituzionali e per diversi ambiti geografici è contemporaneo al tonfo della partecipazione alle elezioni istituzionali. Evidentemente nelle Primarie gli elettori sentono di esercitare una qualche forma di democrazia diretta, che giudicano più "entusiasmante" della democrazia rappresentativa.
Alle Primarie non vanno a votare solo elettori del Partito Democratico; ci vanno anche cittadini che alle elezioni poi voteranno altre forze di centrosinistra; ci vanno anche cittadini che poi voteranno forze di centrodestra. In questo terzo caso la molla alla partecipazione non è solo l'attrattiva della democrazia diretta; c'è anche la volontà di superare la "politica" mettendo in primo piano le persone. Ne consegue il paradosso che i partiti (in questo caso solo il Partito Democratico) e i cittadini utilizzano uno strumento politico per andare oltre la politica.
Sembra questa dunque un'altra delle direzioni verso cui sta andando l'Italia: si restringono i "contenuti" della politica nella convinzione (o nella speranza) che così si riducano le contrapposizioni e si possano ottenere migliori risultati: in voti per i partiti, in benessere per i cittadini.
È il verso giusto? Anche per sciogliere quest'altro dubbio è necessario decidere quale sia la finalità del buon governo e quali siano i contenuti del benessere delle persone. Le questioni non sono di filosofia politica, di cui pure abbiamo bisogno per capire le relazioni tra persone, comunità e globalizzazione. Le questioni toccano la vita di milioni di persone.

Meno Europa, più malessere. Lo sperimentiamo come europei. In questi primi quindici anni del nuovo millennio l'Unione Europea ha progressivamente ridotto o non adeguato (il risultato è lo stesso) i propri contenuti politici. Sotto la spinta di governi e di opinioni pubbliche si sono evitate le contrapposizioni facendo scelte minime. Molti elettori hanno reclamato e reclamano la "restituzione" della sovranità nazionale. Partiti e governi ne hanno fatto fonte di successi elettorali. Il benessere degli europei non è però aumentato; anzi è cresciuto e cresce il "malessere" per la evidente inadeguatezza dell'attuale dimensione europea nel contesto planetario, inadeguatezza che ci espone a rischi economici ma anche sociale e addirittura bellici.
Il malessere e i rischi originati dalla riduzione della politica in Europa sono tali che impongono all'Italia di essere il Paese che con più determinazione e continuità difende le ragioni di un'Europa integrata. L'Unione europea è nei fatti e ancor più nelle aspettative dei suoi abitanti un'area di libertà, benessere, democrazia e pace, cui attraverso scelte politiche e non solo economiche va assicurata l'innovazione istituzionale necessaria alla sua conservazione e alla sua espansione. Soprattutto in questi mesi in cui noi europei sentiamo arrivare le urla della guerra da Sud dalle sponde del Mediterraneo e da Est dall'Ucraina dilaniata. Cambiare verso è indispensabile, aggiungendo e non diminuendo la dimensione politica del nostro essere europei.

I giovani nella trappola esistenziale. Per quanto riguarda direttamente l'Italia, l'indebolimento della politica, che significa affievolimento di contenuti valoriali, in anni recenti ha trasformato riforme necessarie in frustrazioni generazionali. La flessibilità del lavoro, affidata all'economia e sottratta a valori generali, è diventata precarizzazione. Milioni di giovani sono intrappolati in una perenne insicurezza, che riguarda sia la durata sia la qualità sia la remunerazione sia la considerazione del loro lavoro.
La condizione giovanile è di tale gravità che se l'Italia non "cambia verso" la direzione è quella del declino. La trappola della precarizzazione è diventata infatti una grande trappola esistenziale.
Il rapporto Eurostat di febbraio certifica che poco meno di sette milioni e mezzo di giovani tra i 18 e i 34 anni vivono ancora nelle famiglie di origine: la famiglia è l'ultima frontiera del welfare non solo per i vecchi ma anche per i giovani precari. La trappola esistenziale consiste nel fatto che così sono milioni di giovani famiglie che non si formano.
La conseguenza è in un altro numero, questa volta certificato dall'Istat sempre a febbraio: nel 2014 in Italia sono nati 509 mila bambini, cinquemila in meno rispetto all'anno prima; è il numero più basso di nascite dall'Unità d'Italia. Il numero medio di figli per donna è di 1,39. L'età media del parto sale a 31 anni e mezzo.
Nella trappola esistenziale finisce quindi tutta la società italiana. Bassa natalità e invecchiamento sono due elementi contrari allo sviluppo economico. Per cambiare verso all'Italia non basteranno riforme istituzionali, ammodernamento della Pubblica Amministrazione a partire dalla Giustizia, modifiche al mercato del lavoro. La denatalità è il principale problema anche per l'economia, eppure non è nell'agenda né degli economisti né dei politici.
L'affievolimento dei contenuti valoriali della politica e della sociologia toglie lungimiranza alla scelte, porta ad accontentarsi di effetti immediati senza curarsi che essi siano coerenti con un'idea di comunità e di società.

La prima preoccupazione del Presidente Mattarella. La situazione è così grave che è stata in testa al primo discorso del nuovo presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Richiamata la sua "responsabilità di rappresentare l'unità nazionale innanzi tutto", il presidente Mattarella ha subito spiegato: "anche l'unità costituita dall'insieme delle attese e delle aspirazioni dei nostri concittadini. Questa unità rischia di essere difficile, fragile, lontana. La lunga crisi, prolungatasi oltre ogni limite, ha inferto ferite al tessuto sociale del nostro Paese. Dobbiamo saper scongiurare il rischio che la crisi economica intacchi il rispetto di principi e valori su cui si fonda il patto sociale sancito dalla Costituzione. Sussiste oggi l'esigenza di confermare il patto costituzionale che mantiene unito il Paese e che riconosce a tutti i cittadini i diritti fondamentali e pari dignità sociale e impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l'uguaglianza" Sergio Mattarella usa le parole dell'articolo 3 della Costituzione e dice che sono di oggi; come di oggi è il suo cattolicesimo sociale; come di oggi sono Giorgio La Pira e Don Lorenzo Milani. È la politica che parte dalla persona e ritorna alla persona. È il verso giusto.

Articolo per "Ardere per Accedere", 22 febbraio 2015


22 febbraio 2015
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Tino Bedin