di Tino Bedin
Testimoni insieme di una tragica lacerazione e di una civile fortezza, quanti si richiamano nell'agire politico ai contenuti e allo stile dell'impegno pubblico di Aldo Moro ogni 9 maggio si ritrovano idealmente e in qualche caso anche fisicamente (a Padova presso il monumento dedicato allo statista nel complesso del Net Center di via Venezia). Questo ritrovarsi ha certamente carattere commemorativo, a 36 anni dall'assassinio esibito dalle Brigate rosse in via Caetani a Roma, che faceva seguito all'assassinio avvenuto 16 marzo in via Fani quando le vittime erano state cinque: il maresciallo dei Carabinieri Oreste Leonardi, l'appuntato Domenico Ricci, il brigadiere Francesco Zizzi, e gli agenti Raffaele Jozzino e Giuliano Rivera.
Unico il terrore vissuto dagli italiani tra il 16 marzo e il 9 maggio del 1978. Unico ad ogni 9 maggio il ricordo per Aldo Moro e la sua scorta e non solo per questi sei morti.
La data di una nazione. Nel 2007 il Parlamento italiano ha stabilito l'istituzione del 9 maggio come Giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice. Il presidente della Dc Aldo Moro ritrovato morto il 9 maggio 1978 all'interno di una Renault 4 rossa in via Caetani a Roma diventa volto e cuore e civile sacrificio di centinaia di italiani, prima e dopo di lui assassinati perché impegnati a vivere e ad interpretare una società più coesa; quindi pericolosi, loro persone miti, per chi teorizza la divisione.
L'istituzione di una data dedicata alla loro memoria è importante per chi ha l'età del ricordo e per le nuove generazioni, consente di salvaguardare nel tempo la verità sugli eventi e sull'impegno delle vittime e aiuta i più giovani a capire che la società di oggi è stata determinata dal sacrificio di molti cittadini.
Dunque il 9 maggio non è solo la data di Aldo Moro. È data collettiva, di una Nazione. A voler ricordare bene, non può essere nemmeno l'unica di Aldo Moro, perché per la storia italiana egli non è solo il cadavere nella Renault 4 rossa.
Visione lunga della politica. La costernazione, il dolore, la rabbia, l'angoscia di quei 55 giorni della primavera del 1978 hanno in effetti fissato l'immagine di Moro alla sua tragica fine. L'epilogo della vicenda umana dello statista ne ha "fagocitato" la figura e la personalità. Ne ha fatto il "caso Moro", su cui ci sono una sterminata bibliografia, numerose edizioni di documenti, svariati tentativi di ricostruzione e di analisi, tantissime testimonianze.
Tutto il resto è finito sullo sfondo, indistinto nella vicenda politica italiana, appannato nella Prima Repubblica. Eppure sono 55 giorni di 62 anni di vita. Eppure il "resto" di quella vita politica oggi ci serve più della tragica conclusione, perché Aldo Moro fu un illuminato precursore politico e culturale dei problemi della contemporaneità.
Ricordo ancora oggi con la gratitudine di un giovane di allora, che egli fu tra i pochi, nel mondo cattolico, a capire la portata innovativa e dirompente, nonostante tutti i suoi limiti, del Sessantotto. Ebbe la consapevolezza che quel sommovimento avrebbe fatto scricchiolare le fondamenta culturali del Paese.
Non era un profeta, ma era mite e tollerante; per questo, deciso e lungimirante. In tempi difficili per le persone e le famiglie italiane e in un periodo di confronto elettorale, abbiamo bisogno della forza della visione "lunga" della politica, della cultura della moderazione, del confronto pacato e del senso dello Stato di Aldo Moro.
Pochi giorni prima di essere rapito, in uno degli ultimi suoi interventi al Gruppo Dc alla Camera osservò che "talora è meglio sbagliare restando uniti che avere ognuno ragione per proprio conto". In effetti, l'Italia seppe trovare, in quei drammatici 55 giorni del 1978, una straordinaria compattezza sociale e partitica che portò poi il Paese fuori dalla logica della violenza.
Siamo in una fase di svolta per l'Italia che ha bisogno di stabilità, di certezze di un rinnovato spirito di concordia nazionale che consenta di superare divisioni esasperate per "disegnare" un nuovo rinascimento. Abbiamo a disposizione la sua eredità: una concezione della politica come terreno di confronto da cui far emergere il bene comune. Quindi, la capacità di ascoltare le ragioni degli altri, di confrontarsi, di dialogare, senza steccati politici, ideologici o religiosi; senza divisioni territoriali: né in Italia, né in Europa, né sulla Terra.
Senza divisioni: ecco un'altra un'attualità stretta di Aldo Moro, un'attualità per l'oggi e non solo del ricordo.
La decisione di far votare gli europei. Per una delle coincidenze che (a saperle cogliere) la Provvidenza spesso ci propone, il 9 maggio in tutta l'Unione Europea è la Giornata dell'Europa; è la Festa di compleanno, come per noi italiani il 2 Giugno.
Era il 1950, il 9 maggio, quando Robert Schuman pubblicò la Dichiarazione che è alla base dell'Europa unita. Oggi l'Europa è nelle mani dei suoi cittadini. Siamo nel mese in cui gli europei vanno al voto per rinnovare il Parlamento dell'Unione (anche se questa volta il voto assomiglia ad un referendum più che alla scelta di un partito o di una persona).
L'elezione diretta del Parlamento europeo - quindi anche il gesto che faremo domenica 25 maggio - è una delle decisioni che portano la firma di Aldo Moro. È lui il Presidente del Consiglio europeo che si riunisce a Roma, a Palazzo Barberini, l'1 e 2 dicembre 1975. Sotto la sua presidenza i capi di governo degli allora nove Paesi della CEE decidono l'elezione del Parlamento europeo a suffragio universale diretto, per la primavera del 1978 (poi fu spostata di un anno, nella prima settimana di giugno del 1979). Quello stesso Consiglio europeo del dicembre 1975 raggiunge anche l'accordo sull'istituzione di un passaporto unico europeo entro tre anni e decide la partecipazione europea al cosiddetto "Dialogo Nord-Sud".
Anche questo è frutto dell'azione italiana guidata da Moro. Egli sosteneva, prima della maggior parte dei suoi omologhi in Europa e nel mondo, che il quadro delle relazioni internazionali dovesse orientarsi verso il dialogo Nord-Sud e non solo quello Est-Ovest, che ai suoi tempi occupava l'intera scena diplomatica.
Il primo allargamento della Comunità europea. L'autorevolezza di Aldo Moro nella conduzione del Consiglio europeo derivava dal suo impegno nella costruzione dell'unità europea.
Moro si spese senza risparmio di energie, specialmente con i governi di Parigi e Londra, per realizzare il primo allargamento della Comunità nel 1973 con l'ingresso di Regno Unito, Danimarca e Irlanda. Tra i punti fermi della sua azione si rintracciano i temi che ancora oggi, nonostante le radicali trasformazioni intervenute, sono prioritari nell'agenda europea: riforma del bilancio, Europa dei cittadini, rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo, ma soprattutto maggior coesione tra i paesi membri in politica estera e di difesa e politiche di cooperazione e solidarietà tra regioni più e meno ricche del continente.
Al Consiglio europeo di Roma del 1975, Aldo Moro era reduce da Helsinki, Finlandia, dove aveva partecipato alla Conferenza sulla sicurezza e la Cooperazione in Europa che con l'Atto di Helsinki per la prima dava vita ad una strategia comune dell'Europa dall'Atlantico agli Urali: rivoluzionaria per quel tempo in cui esisteva l'Unione Sovietica.
Aldo Moro ne era stato protagonista.
Innanzi tutto per la cosiddetta "doppia firma"; Moro sottoscrisse l'atto Finale nella doppia veste formale di Rappresentante dell'Italia e di Presidente di turno del Consiglio della CEE, facendo così assumere per la prima volta alla Comunità Europea un profilo suo proprio sulla scena internazionale. Una rivoluzione: veniva superato il primato della sovranità statale nelle relazioni internazionali.
Già oltre il Mediterraneo. La seconda grande innovazione italiana fu il cosiddetto "capitolo mediterraneo", che venne inserito nell'Atto Finale con determinazione caparbia, grazie alla quale fu possibile avere ragione delle perplessità di molti.
L'idea che sicurezza e cooperazione in Europa non potessero andare disgiunte da un'attenzione precisa - meglio, da un sostanziale coinvolgimento - dell'area mediterranea era tanto chiara ad Aldo Moro, quanto sostanzialmente indifferente, o fastidiosa, agli altri. Essa era anche al centro della visione di Moro, la cui formazione e sensibilità lo portavano a guardare con speciale attenzione alla "frontiera sud" dell'area di diretto interesse italiano.
Moro si era prodigato per un approccio adeguato al quadro internazionale che emergeva dalla decolonizzazione e dalla moltiplicazione degli Stati indipendenti sulla scena del mondo e in ambito Onu. Una visione non solo diplomatica, ma anche di politica interna. Ricordo che è Moro ministro degli Esteri Moro e per suo convinto interessamento che fu promulgata la prima disciplina italiana della cooperazione allo sviluppo, la legge 1971/1222 (legge Pedini). Anche questa è attualità.
È dunque necessario commemorare la morte di Aldo Moro e della sua scorta ma contemporaneamente rileggere l'attività politica di Aldo Moro perché è un insegnamento per le difficoltà di oggi. "Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a domani tutti accetteremmo di farlo. Ma, cari amici, non è possibile: oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità" (Aldo Moro, 28 febbraio 1978, due settimane prima del rapimento).
4 maggio 2014
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