di Tino Bedin
È possibile volere la novità dicendo "no" al cambiamento? La sfida vera che - in particolare nell'opinione pubblica del Nordest - i sostenitori del "no" al referendum costituzionale del 25 e 26 giugno devono sostenere è nella difficile risposta a questa domanda.
Ma conterà il voto popolare? I cittadini sono chiamati a votare "sì" o "no" sull'intera seconda parte della Costituzione, sulla deformazione di 50 articoli della Carta fondamentale della Repubblica, sui rapporti tra gli articoli deformati e quelli essenziali e chiari della prima parte della Costituzione: è una scelta impossibile. Neppure gli esperti riescono ad essere esaurienti e chiari nel tempo in cui ragionevolmente possono sperare nell'attenzione degli ascoltatori.
L'impossibilità della scelta referendaria sulle deformazioni costituzionali da parte dei cittadini è loro sbattuta in faccia da tutti i politici, cioè proprio dai responsabili di questa situazione. Sia dal fronte del "sì" che dal fronte del "no" è stato inventato il ritornello: "Se vinciamo noi, cambiamo la Costituzione". Insomma quelli che hanno già cambiato la Costituzione e che sono sottoposti a voto popolare per la conferma, ammettono che la ciambella non è delle migliori e che occorre rimetterla in... forno. Da parte loro, quelli che dicono di "difendere la Costituzione", si affrettano a... rassicurare i cittadini che qualche novità proveranno a scriverla.
Temo che invece che come "garanzia" di serietà futura, questa posizione sia vissuta dai cittadini come una presa in giro. Ma come? Il referendum è l'unico voto diretto che ci è rimasto (dopo il furto di sovranità popolare che la Destra ha fatto con l'ultima legge elettorale con parlamentari non eletti ma nominati), e venite a dirci che comunque voteremo, non conterà poi molto perché la Costituzione repubblicana futura sarà comunque diversa?
Non potendo votare sulla Costituzione i cittadini saranno invogliati a dire "sì" o "no" su altre questioni.
L'uso improprio della Carta. Il capo della Destra - ad esempio - ha già proposto per il 25 e il 26 giugno un bel referendum sul governo Prodi; anzi, una bella "ordalia popolare" sul risultato del voto delle politiche: visto che non gli hanno fatto ricontare ad una ad una tutte le schede, Berlusconi chiama il popolo a dire se è proprio vero che lui ha perso. Invece del medievale duello finalizzato al "giudizio di Dio", la Destra irriducibilmente invoca il "giudizio del popolo" non esitando ad offrire in "sacrificio" per questa "ordalia" il Patto che tiene uniti gli italiani.
Dopo essere stata utilizzata per "incartare" i cocci della maggioranza e tenerli insieme nella scorsa legislatura, la Carta costituzione serve alla Destra per "incartare" un pacchetto-bomba per la maggioranza attuale.
Non era il destino che i Costituenti avevano in mente sessant'anni fa. Non è l'uso più adeguato per la Carta costituzionale e già questo svilimento merita come risposta un bel "no" sulla scheda.
Possiamo mostrarla al mondo. Anche senza entrare nel "merito" della deformazione, votiamo "no" perché ci piace avere una Costituzione importante; ben curata; non spiegazzata per usi impropri; una Carta da mostrare con orgoglio agli altri e da farci copiare, com'è avvenuto e sta avvenendo in varie parti del mondo. Una Costituzione da far leggere a chi viene tra noi in cerca di vita e di lavoro, per spiegargli che è proprio grazie a questa Costituzione che milioni di italiani hanno smesso di andare in giro per il mondo con la valigia di cartone, hanno smesso di morire nelle miniere di carbone, hanno smesso di andare a servizio nelle case dei pochi ricchi di un tempo. Ora anche loro hanno i nostri problemi di allora: li vivono qui e li sfuggono nella loro patria. Nella nostra Costituzione è scritto una parte del nostro futuro e del loro.
Questo è una dimostrazione che dicendo "no" alla deformazione della Costituzione cerchiamo di costruire meglio il futuro. Per vincere la sfida della globalizzazione economica c'è bisogno della "globalizzazione umana" e questa si costruisce tenendo unite persone e società, come fa la Costituzione italiana, e non mettendole in competizione.
Il... macchinista è già stato fatto scendere. Neppure i "piccoli orti" della cultura e della salute, che la Destra paurosa ha segnato per la nostra scuola e per la nostra sanità, sono il futuro.
Cosa vuol dire che le Regioni hanno competenza esclusiva sulla Scuola? Come potrà una Regione pur importante e popolosa come il Veneto assumere tutte le spinte e le sfide che vengono dall'integrazione europea, dalla centralità mediterranea dell'Italia, dal ruolo del Mediterraneo nei rapporti con la Cina e l'India? Serviranno le lezioni di dialetto veneto che qualche assessore ha in mente o ha già praticato? Di che ragazzi si riforniranno le nostre Università venete, a cominciare da quella di Padova, per nascita e vocazione "università universale"? Ricordiamo: "Universa Universis Patavina Libertas"?
Cosa vuole dire che le Regioni hanno competenza esclusiva sulla Sanità? Vuol dire che i centri medici di eccellenza chi li ha se li tiene per i propri cittadini? I veneti non andranno a farsi curare a Bologna? E la grande ricerca medico-scientifica veneta non potrà contare sulla spinta che viene da una "clientela" nazionale?
"Rimpicciolirsi" nella conoscenza e nella salute è un tornare indietro. Per andare avanti occorre tirare il freno a mano in un treno che la Destra ha fatto partire verso il passato. Con le elezioni abbiamo già fatto scendere il macchinista, ma il treno era stato messo in moto all'indietro. Un "No" lo ferma e si riparte nella direzione giusta.
11 giugno 2006
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