PADOVA
Stati Generali: il "centralismo economico" è superato
Progettare Padova per viverla
Il "futuro in comune" è la qualità della vita, che non è fatta solo di lavoro. Nel dibattito sono assenti la dimensione europea della città e la composizione della sua popolazione. Un nuovo equilibrio tra rappresentanza e governo

di Tino Bedin
senatore dei Colli Euganei e della Bassa padovana

Padova ha molte opportunità e variegate risorse, ma l'insieme delle opportunità non è da solo il disegno del futuro desiderabile da una comunità. Al futuro serve il "governo". Esso è scelta fra le opportunità e le loro gerarchie; soprattutto è destinazione delle risorse per realizzare le opportunità. È il "governo" che fa la differenza fra sistemi urbani in competizione oggi sullo scenario europeo, ieri su quello veneto ed italiano.
Buona parte delle risorse di cui Padova oggi dispone sono nate o sono collocate in infrastrutture che la classe amministrativa democratico-cristiana ha progettato e realizzato tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta non per un generico sviluppo della città, ma per dare fondamenta alle due domande di futuro che la gran parte dei cittadini allora poneva: il lavoro e la casa. La zona industriale di Padova, ma anche la zona industriale di Limena ed altre aree produttive, è nata per questo: per il lavoro e poi le per aziende.

La speranza è una vita buona
È alla domanda di futuro dei cittadini che la politica deve rispondere, non a quella delle componenti pur importanti della città.
In preparazione agli Stati Generali del comune di Padova l'idea di futuro che emerge dal dibattito promosso dal centro-destra è invece quella di uno sviluppo che ha le sue fondamenta nell'impresa, nell'economia, nella ricchezza: insomma nella convinzione che quando il denaro circola, una parte di questo finisce comunque per restare attaccata alle mani di molti, se non i tutti.
Probabilmente questa è anche l'opinione di una larga parte dei cittadini padovani: l'economia è tra noi una cultura, non solo una pratica. Non credo però che sia anche la nostra speranza. Oggi il lavoro è certamente decisivo. La disponibilità economica è una esigenza. Ma a differenza della seconda metà del secolo scorso, né il lavoro né la disponibilità economica sono il bene definitivo. Oggi i cittadini desiderano una vita buona.
Il vero sviluppo della città sarà realizzato se l'obiettivo è l’aumento della qualità della vita, non l'aumento della capacità produttiva o l'aumento della ricchezza.
Non è una scelta "filosofica", ma un modo molto concreto di governare. Chiedete agli abitanti dell'Arcella se sarebbero contenti che stazione ferroviaria e binari fossero interrati in modo da togliere la barriera con il resto della città. Vi risponderanno di sì. Chiedete agli abitanti dell'Arcella se sul terreno che si ricava dall'interramento della ferrovia starebbero bene decine di palazzi di un nuovo centro direzionale fatto di uffici e di traffico di giorno e di deserto di notte. Vi risponderanno di no. Eppure la logica del "centralismo economico" dell’attuale dibattito direbbe che quel terreno va "riempito" di materiale… prezioso, quale è un centro direzionale.

La mobilità per conciliare vita e lavoro
Questa della ferrovia interrata è solo un'ipotesi; anche se un'ipotesi non fatta a caso, visto che tra i "progetti" di sviluppo della città c'è proprio l'interramento della stazione centrale di Padova.
Una decisione già presa è invece quella del sindaco di Conselve: con il via libera ad un insediamento commerciale di abbigliamento firmato si appresta a scaricare sul suo comune e, contemporaneamente, su tutta la rete autostradale e stradale della provincia di Padova milioni di veicoli aggiuntivi all'anno. L'unica giustificazione è "lo sviluppo", non la vita e neppure il lavoro: neanche il Conselvano infatti ha problemi occupazionali.
Per cercare il "futuro" sono altre le direzioni in cui occorre muoversi oggi. Le domande riguardano le varie età della vita; la qualità dei servizi comunali; la dimensione residenziale della città; la compatibilità di alcune forme economiche e produttive; l'orientamento giovanile; la mobilità che è una componente essenziale della qualità della vita personale, familiare: serve alle imprese, ma aiuta prima di tutto a conciliare i tempi di vita e di lavoro delle donne e degli uomini.
Fare di Padova una città in cui vivere: vivere certo lavorando, studiando, producendo, inventando, vendendo; questo è il progetto per la politica e l'offerta da fare alla partecipazione dei cittadini; ed è diverso dal progetto di una città per produrre, correre, studiare… vivendo.
Il sistema urbano di Padova ha risorse per questa sfida. L'attuale amministrazione comunale non sembra però orientata ad accettarla. A me pare che questa sia invece la direzione che Padova deve prendere se vuole ricoprire il ruolo che ha spesso nei secoli svolto in Europa.
Anche questo ulteriore obiettivo va perseguito non per l'ambizione dello "sviluppo europeo", ma per offrire opportunità di esperienze europee ai cittadini padovani, per "arricchirli di vita", di conoscenza, di competenza, che poi produrranno anche ricchezza.

L'Europa non è di casa a Padova
La dimensione europea è un'altra delle assenze nel dibattito di questi mesi a Padova. Ultimamente il sindaco Giustina Destro è stata criticata per avere aderito ad un'iniziativa europea di ecologia urbana con la riduzione del traffico al sabato. Dico subito che la decisione del sindaco è in sé positiva, ma si presta facilmente alla critica perché è estemporanea.
Padova è ferma ai pur importanti gemellaggi. Come amministrazione comunale non sta partecipando a nessun progetto europeo assieme ad altre città, che consenta di mettere in rete conoscenze, persone, amministratori, studiosi, ragazzi, famiglie. L'Europa non è di casa a Padova. Soprattutto Padova non sta progettando di metter su casa in Europa.
Questa è una responsabilità grave particolarmente in questo periodo in cui si discute del futuro della città, almeno per due ragioni.
Nell'arco temporale di questa e della prossima amministrazione civica, Padova ed il Nord-Est passeranno dalla periferia al cuore dell'Europa in seguito all'allargamento dell'Unione europea. Un progetto per il futuro di Padova che non abbia come premessa questo cambio di scenario non può chiamarsi progetto.
L'Europa poi diventa sempre più il luogo della sintesi delle decisioni politiche (l'attacco terroristico agli Stati Uniti, ad esempio, accelererà il processo di integrazione europea in tema di politica estera e di sicurezza); c'è bisogno che questa Europa sia vissuta dai cittadini per quello che veramente è e non solo come la fonte dei divieti: no alla bistecca con l'osso, no all'auto in centro al sabato. Questo è anche un compito dell'amministrazione comunale.

La società multietnica non può restare un problema per sempre
La "ricentratura" di Padova nella Grande Europa corrisponde anche ad altro elemento del futuro di Padova che nel progetto del centro-destra ha scarsissimo rilievo: quello della integrazione di culture e nazionalità diverse anche nella società padovana.
Un progetto che richiede all'amministrazione comunale di oggi di lanciarsi, pur su strade diverse e con mezzi diversi, verso gli obiettivi della cooperazione internazionale allo sviluppo che Padova ha perseguito sia come ente locale che come privato sociale che come università. Basterà ricordare il senatore Bettiol e la Somalia, il Cuamm e la medicina in Africa, il comune e il Mozambico.
Anche nel dibattito istituzionale che ha preceduto gli Stati Generali una mia collega senatrice ha sostenuto che il problema dei problemi è quello della sicurezza legato all'immigrazione. Lo è; è un gravissimo problema del presente, che va risolto in maniera decisa. Ma non può restare un problema per sempre. Per questo il progetto per Padova deve riguardare forme nuove di cooperazione allo sviluppo che aiutino contemporaneamente a dare alcune risposte che sono all'origine dell'immigrazione e a costruire una società padovana in cui tutti si sentano cittadini e quindi impegnati a difendere questa società e a promuoverla.

Il rapporto fra rappresentanza e governo
Un progetto di partecipazione va del resto studiato e realizzato per tutti i cittadini padovani. C'è infatti un tema che una società democratica è chiamata a porsi in questi anni e che anche la vicenda degli Stati Generali, con l'inclusione tardiva e insufficiente del consiglio comunale, ha evidenziato: il rapporto che in una democrazia complessa esiste tra rappresentanza e governo. Negli ultimi dieci anni l'accento è stato posto sul "governo", anche in conseguenza della fragilità decisionale che i cittadini avevano patita a tutti i livelli. Mi pare che - senza rinunciare a quanto su questo versante si è costruito - nel futuro occorra trovare più produttive capacità di espressione alla rappresentanza democratica. Un progetto per il futuro di Padova non ne può prescindere. Anche qui guardando al futuro e non al passato: penso al ruolo democratico e di coesione che può essere svolto da Internet. Certo bisogna volerlo; bisogna che la politica - come ho detto all'inizio - decida di governare. Per restare ad Internet: si può cablare la città per far fare soldi alle imprese; oppure si può cablare per costruire una grande piazza democratica. Sempre fibre ottiche sono, nelle quali passano sia gli affari che la partecipazione democratica. Il tema è la scelta dei destinatari, che non possono essere quelli di quando c'era bisogno di lavoro e di case.
Oggi Padova ha ancora - e lo avrà sempre – bisogno delle imprese, ma al centro della politica non ci sono le imprese, c’è la vita.

23 settembre 2001

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