A causa della loro fede in Gesù Cristo, più di 150 milioni di credenti nel mondo soffrono di discriminazioni gravi o di atti di violenza. Nel solo 2011 sono stati contati 398 cristiani che hanno subito il martirio. Il numero è riferito solo alle persone conosciute ed uccise per la loro fede. Non comprende le persone vittime di attentati per il solo fatto di trovarsi a pregare in una chiesa. Nel 2011 sono stati uccisi 26 operatori pastorali (18 sacerdoti, 4 religiose, 4 laici) prevalentemente in America (15) e in Africa (6). Complessivamente gli attacchi terroristici contro i cristiani in Africa, in Medio Oriente e in Asia sono aumentati del 309 per cento tra il 2003 e il 2010.
Teatri di questa strage non sono solo i paesi nei quali i cristiani sono una goccia in un mare. Sono colpite anche grandi comunità. In Egitto i copti, in maggioranza ortodossi, sono sei milioni. Dei 170 milioni di abitanti della Nigeria, i cristiani sono quasi 70 milioni (il 40 per cento, per metà cattolici).
Già da soli questi numeri confermano la dolorosa constatazione di Papa Benedetto XVI: la religione cristiana è la più perseguitata al mondo; molto più di quella ebraica, islamica, buddista, induista.
L'assassinio e il martirio sono gli atti estremi di una persecuzione che si sviluppa in numerose tappe: attraverso l'oppressione, la discriminazione e l'attacco ai diritti sociali, come la limitazione all'accesso allo studio e al lavoro, si determinano condizioni in cui i cristiani sono trattati da cittadini inferiori, ai quali si rifiutano i diritti umani elementari.
Molti diventano esuli e profughi, alimentando un'emorragia inarrestabile. Costretti dalle negative condizioni di cittadinanza, vendono tutto e se ne vanno, impoverendo se stessi e la comunità in cui sono nati. In Medio Oriente le comunità cristiane si svuotano: all'inizio del secolo scorso i cristiani erano almeno il 20 per cento della popolazione mediorientale. Oggi sono al massimo 12 milioni, vale a dire appena il 5 per cento.
Un'ingannevole neutralità. Il secolo che abbiamo iniziato si sta insanguinando di cristiani come quello che è alle nostre spalle. Eppure ad ogni attentato, ad ogni strage, ad ogni martire la reazione prevalente in Occidente è di sorpresa. È come se ci si chiedesse: ma come? c'è ancora chi uccide per la fede? c'è ancora chi muore per la fede?
Mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, ha osservato: "Il martirio di molti cristiani non è diverso da quello sofferto nel corso dei secoli della nostra storia, eppure è veramente nuovo perché provoca gli uomini del nostro tempo spesso indifferenti a riflettere sul senso della vita e sul dono della fede".
Profeta anche in questo, Papa Giovanni Paolo II aveva saputo proporre una risposta alla sorpresa dei contemporanei già nell'annuncio del grande Giubileo del Duemila, che pure era un evento gioioso: "Al termine del secondo millennio la Chiesa è divenuta nuovamente Chiesa dei martiri", ci ha ricordato.
"Chiesa dei Martiri" è dall'inizio di maggio il nome di una piccola cappella appena costruita vicino all'arcivescovado di Kirkuk: onora i 937 cristiani che tra il 2003 ed oggi sono stati uccisi in Iraq, dove i cristiani ci sono da quasi venti secoli e da quattordici secoli convivono con l'Islam e dove ora l'immotivato assassinio dei fedeli di Cristo è quotidiano.
Il richiamo di Giovanni Paolo II, che diventa sangue e pietra nella "Chiesa dei Martiri" a Kirkuk, non era rivolto solo ai luoghi della persecuzione, ma anche ai luoghi dell'indifferenza.
In molti continuano ad interrogarsi sul "silenzio" dell'Occidente nei riguardi di una tragedia globale che Benedetto XVI ha definito "cristianofobia".
A lasciarci senza parole è a volte la "sorpresa incredula" appena descritta. Ma a giustificare il mutismo è molto più spesso la scelta di non interferire sulle questioni religiose, di sospendere il giudizio morale e politico quando potrebbe esserci di mezzo la fede.
Si tratta di una "ingannevole neutralità, che di fatto mira a neutralizzare la religione", ha commentato un rappresentante della Sante Sede all'Onu. In verità, una cultura che sta cercando di eliminare la religione dalla vita pubblica, viene messa in discussione dai martiri e per questo li rimuove dall'attenzione.
Un drammatico atlante della sofferenza. L'ingiustificato mutismo sulla cristianofobia si affievolisce solo contro l'estremismo islamico. In questo caso (non solo in Italia, non solo in Europa) i giornalisti fanno buoni titoli e i politici fanno convinte dichiarazioni.
Indubbiamente dall'estremismo islamico sono arrivate le più diffuse persecuzioni nei confronti dei cristiani nel corso dell'ultimo anno. La Nigeria ha il primato delle persone assassinate per la fede. Su una lista di 50 Stati messi sotto osservazione per la persecuzione religiosa, ben 38 sono a maggioranza islamica.
Si tratta di una lista aggiornata annualmente. Vale la pena scorrerla sia perché è un drammatico atlante della sofferenza, sia perché aiuta a capire l'atteggiamento dell'Occidente.
In testa a questa lista non c'è un paese islamico, ma una dittatura comunista, quella della Corea del Nord, che ha per il decimo anno consecutivo il primato di paese che più perseguita i cristiani. Si stima che vi siano dai 50 mila ai 70 mila cristiani che soffrono nei campi-prigione nord-coreani a causa della loro fede.
Tra i primi dieci Stati della lista c'è anche il Laos, altro paese comunista.
Il Paese con il più alto numero di cristiani perseguitati è la Cina, che è al 21° posto della lista. Con i suoi 80 milioni di componenti la comunità cristiana cinese è la terza dopo gli Stati Uniti e il Brasile.
Nella lista c'è anche un altro grande paese, l'India: qui il nazionalismo religioso ad un certo punto è riuscito addirittura ad arrivare al potere innescando una caccia al cristiano, che continua anche dopo il cambio di governo.
Addirittura in sesta posizione si trovano le isole Maldive: qui è vietata ogni religione che non sia la musulmana e vige la sharia, ma il turismo non vede e non parla.
"Una nazione, una religione". Questo atlante della sofferenza dei cristiani, nel quale pur prevalgono gli Stati musulmani, non descrive tuttavia una guerra di religione. Vi si legge piuttosto un capitolo della globalizzazione: il capitolo che riguarda le culture.
Nel nostro tempo le persone di culture diverse vengono in contatto come mai prima d'ora. L'inevitabile "contagio" può essere percepito come un'opportunità (sia per accrescere le conoscenze sia per ridurre le diseguaglianze) o come una minaccia (sia ai tradizionali stili di vita delle persone sia agli interessi consolidati dei potenti). Oggi prevale la percezione della minaccia e la conseguente chiusura. Succede dovunque sul pianeta, non solo in Medio Oriente, non solo nel Sud del mondo.
Sono passati vent'anni dalla teorizzazione dello "scontro di civiltà" da parte dello studioso americano Samuel P. Huntington, che ha previsto un mondo organizzato non in Stati ma in Civiltà (e ne ha elencate nove). Una teoria che gli Stati Uniti hanno trasformato in politica globale sotto la presidenza di George W. Bush.
A manifestarsi oggi in tutto il Medio Oriente, ma anche in Cina, in India, ed ultimamente in Africa (sia quella mediterranea sia quella sub sahariana) è una forte spinta ad omogeneizzare il tessuto sociale prima che la multiformità della globalizzazione "contagi" comunità spesso tenute insieme dalle classi dirigenti più che dalla loro storia. La religione e la religiosità sono - oggi come ieri, lì come in Europa - contenuto e forma essenziali delle comunità, per cui rendere religiosamente omogenee le società è uno degli obiettivi della cristianofobia e della repressione religiosa in generale.
"Una nazione, una religione" è un programma ufficiale di governo in Kazakistan; così infatti la statale Agenzia per gli affari religiosi interpreta dichiaratamente la libertà religiosa, aumentando il controllo statale sui gruppi religiosi e incrementando le sanzioni penali.
Nelle società musulmane, come è quella kazaka, la persecuzione riguarda cristiani e buddisti e indù e animisti e testimoni di Geova ed ebrei. Tutti. Specularmente avviene in società, come quella indiana, dove i musulmani sono minoranza e sono a loro volta soggetti a persecuzione.
Poiché in generale non si tratta, come abbiamo detto di una guerra di religione, il fine ultimo non è l'affermazione della supremazia di una religione sull'altra, ma la "ripulitura" dalle minoranze religiose e la conseguente ridefinizione delle aree culturali del pianeta: proprio come gli Stati Uniti hanno teorizzato con Huntington e praticato con Bush.
Continuiamo a tornare sul Golgota. Per quanto riguarda il Cristianesimo il conseguente disegno finale è di "occidentalizzare" questa religione, di lasciarle cioè il suo spazio storico, ma di interdirle il ruolo di religione planetaria. Questa azione è particolarmente violenta e particolarmente estesa contro i cristiani, perché per sua natura il Cristianesimo è una religione universale: si incarna in ogni persona e in ogni luogo. Il 64 per cento dei fedeli della sola Chiesa cattolica vive oggi nel Sud del mondo. Complessivamente oggi l'Asia e l'Africa hanno tassi di battesimi cristiani sconosciuti in Occidente.
Fede e storia rendono oggi i cristiani sia figli del mondo sia fratelli di ciascuno dei loro popoli. In molte situazioni essi sono parte più aperta della società, capaci di esprimere comunità-ponte nelle divisioni sociali, come negli Stati indiani dove contrastano il sistema delle caste e per questo finiscono nel mirino di un'atroce pulizia solo nominalmente religiosa. E in America Latina come in Africa i cristiani sono un argine alle dittature sanguinare e alla violenza della finanza globale, spesso alleate o addirittura coincidenti. Nei rapporti internazionali il rifiuto della guerra è inequivocabile: basti ricordare l'opposizione all'attacco all'Iraq o ai più recenti bombardamenti sulla Libia.
Interrogandosi sull'accanimento contro i cristiani, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, si è chiesto: "Forse i cristiani sono discriminati e perseguitati perché parlano di dignità e di uguaglianza di ogni persona, uomo o donna che sia? Di libertà di coscienza? Perché predicano la giustizia e lo Stato di diritto? Forse è per questo che qualcuno li giudica pericolosi e inaccettabili, oggetto di intolleranza, meritevoli di persecuzione e di morte?".
È per questo.
La cristianofobia contemporanea ci riporta inevitabilmente alla Croce di Cristo, innalzata sul Golgota per paura: la paura dei sacerdoti di perdere il potere, la paura di Pilato di perdere il consenso. I carnefici di allora hanno nascosto le loro paure dentro la violenza della forza. Succede anche oggi.
3 giugno 2012