La recessione si mangia posti di lavoro (stipendi che entravano in famiglia o di giovani che li aspettavano), si mangia i risparmi familiari e personali (messi nella casa o nella formazione dei figli ed ora necessari per mantenere il tenore di vita), si mangia la democrazia quotidiana (mezzi di trasporto troppo costosi e senza alternative, ticket sulla sanità, blocco del valore delle pensioni, luce acqua e gas da usare come "beni", e via tagliando).
La recessione si mangia anche i governi: quelli appena eletti con speranza (come in Grecia), quelli di consolidato successo (come in Spagna), quelli dell'ottimismo faccendiero (come in Italia). Così si mangia anche il normale punto di riferimento per i cittadini. Non possono più fidarsi neppure della propria banca. Addirittura non possono più fidarsi del proprio Stato e dei suoi Bot.
La recessione si mangia ogni buona iniziativa. Cambi governo e non succede nulla. Aggiungi anni di lavoro alla tua vita e il tuo sudore scivola via. Dai soldi al tuo Comune per la casa in cui vivi e le rette dell'asilo nido crescono ancora. Deprimente.
Il mondo che ci avevano detto essere il nostro, il migliore possibile e insieme sempre insufficiente, non c'è più. Improvvisamente siamo stranieri nel nostro mondo. Letteralmente spaesati.
Dai bisogni ai desideri. Spaesati e depressi, i cittadini europei ed americani si stanno progressivamente rendendo conto che non sono solo chiamati ad affrontare una crisi finanziaria ed economica; sono soprattutto protagonisti (loro malgrado) di un cambiamento della loro vita collettiva e personale.
Lo spaesamento e la depressione non sono certo le condizioni migliori per governare il cambiamento. Tuttavia l'assunzione di questa consapevolezza è la condizione preliminare per uscire dalla recessione. Non aiutano perciò né i proclami di ottimismo ("i ristoranti sono pieni"), né le ricette confezionate con gli ingredienti che hanno causato la recessione ("aumentiamo i consumi per far ripartire la ripresa").
Il consumismo e l'ottimismo nel mercato sono infatti all'origine di questa recessione. Le cause sono state poi necessariamente molteplici ed intersecate: studiosi, economisti e governanti ce ne indicano a sufficienza. L'origine è però politico-culturale: il pensiero unico che da trent'anni sostiene il "primato dell'economia", la "capacità autoregolatoria e redistributiva del mercato", la riduzione delle tasse per far spendere di più le persone (invece che investire in opere pubbliche e servizi sociali), l'inarrestabilità dei consumi.
La felicità - secondo il pensiero liberista - non deriva dal soddisfacimento dei bisogni, ma dal soddisfacimento dei desideri. E siccome i desideri sono infiniti, il consumismo ha provveduto innanzi tutto alla alimentazione di molti desideri (che ora sono diventati bisogni e il cui mancato soddisfacimento è tra le cause dello spaesamento collettivo di fronte alla crisi). I mezzi di comunicazione di massa da strumenti di costruzione di identità collettive sono stati piegati a strumenti di rappresentazione dei desideri, sia direttamente attraverso la pubblicità sia indirettamente con la descrizione di modelli di vita non solo appetibili ma apparentemente raggiungibili. Sono stati poi creati e diffusi capillarmente i "templi" del nuovo ordine mondiale: i centri commerciali nella loro imponenza, modernità, ripetitività servono a dare al consumatore il luogo in cui compiere un rito strettamente privato (quale è l'acquisto) in una dimensione collettiva e quindi rassicurante e autogiustificabile.
Il "trasferimento" del debito. Trasformati i desideri in bisogni, il consumismo ha attaccato uno dei fondamenti dello sviluppo sostenibile di una società, che è riassumibile nella saggezza popolare "Fai il passo secondo la gamba". È stato invece detto: non hai i soldi per la vacanza? ricorri ad un prestito al consumo; vuoi una nuova casa? c'è una banca che ti finanzia.
La crisi del 2008 e l'attuale recessione mondiale sono state scatenate dall'aver indotto negli Stati Uniti milioni di cittadini indotti ad indebitarsi oltre le loro possibilità. Quando "la propaganda di liberismo, di libertà senza verità e responsabilità" (Giovanni Paolo II, Cracovia, 2002) è diventata evidente, il sistema finanziario è entrato in crisi. I governi sono intervenuti per evitare la catastrofe creditizia. Il peso del debito si è trasferito sugli Stati ed ora sono gli Stati a non avere credibilità. Così gli organismi sovranazionali sono stati investiti della responsabilità di evitare la catastrofe sociale negli Stati. Di conseguenza ora l'Europa si trova in difficoltà e c'è chi parla di una possibile morte della nostra moneta unica.
Il "trasferimento del debito" non è ancora finito ed il liberismo - lasciato a se stesso - lo trasferirà inevitabilmente sull'anello debole del sistema, cioè sulle persone, che alla fine della recessione si troveranno non solo con una forte riduzione dello Stato sociale, con un'erosione duratura dei posti di lavoro, con l'azzeramento dei risparmi, ma anche con la riduzione della propria capacità economica in quanto una fetta cospicua sarà a lungo impiegata per pagare i debiti promossi dal sistema liberista.
La "bolla generazionale". Bisognava arrivare a questo punto per accorgersi che liberismo e consumismo non possono avere l'esclusiva nei rapporti economici e sociali? Bisognava arrivare a questo punto per accorgerci che alla fine ci sarebbe stato il disastro?
La domanda riguarda tutti: i governanti, gli economisti, i giornalisti, gli imprenditori, le persone e le loro famiglie. Proviamo a rispondere noi persone, noi famiglie, noi cittadini.
Per le famiglie si è già accesa da qualche anno una spia allarmante: sta crescendo la prima generazione di giovani che starà peggio dei padri.
Quante volte ce lo siamo detti! Con rammarico, ma senza reazione. La si è presa come una situazione ineluttabile, sia da parte dei padri che da parte dei figli. Mamme e papà a mantenere i figli e i figli a pensare che c'è sempre tempo per uscire dalla casa paterna. Genitori e figli a consumare più di quello che producono, utilizzando le risorse messe da parte.
La recessione, che mette in difficoltà anche questa "bolla generazionale" nelle nostre famiglie, è l'occasione per considerare con più attenzione la "spia" accesa della condizione giovanile e di riempire… il serbatoio di giovani, carburante straordinario per il cambiamento.
Il carburante del cambiamento. La prima "pompa di benzina" dove fare rifornimento è il lavoro; il lavoro "buono", il lavoro stabile. Fra gli errori di questi trent'anni c'è stato infatti anche il considerare il lavoro esclusivamente come merce, che in società consumistica significa immediatamente essere catalogato tra "l'usa e getta". Della precarietà lavorativa si è fatta una dottrina. Si è preteso che i ragazzi si mettessero nell'ottica di cambiare mestiere a seconda del mercato.
Si è visto che il lavoro precario non alimenta l'occupazione e lascia a secco altre risorse comuni di cui i giovani sono portatori: nuove famiglie, rischio di impresa, stimolo alla conoscenza. Dare valore al lavoro è la prima e decisiva scelta da fare.
La seconda "pompa di benzina" sono i beni collettivi. Il referendum sull'acqua pubblica è la base culturale e sociale di un ripensamento collettivo sull'esistenza di beni che sono destinati per la loro natura ad essere parte della democrazia sostanziale e che quindi non possono avere come principale finalità la produzione di reddito ma il soddisfacimento dei bisogni.
Ciò vale anche per i beni individuali e familiari, cioè per il consumo. Misurare il consumo sui bisogni e non sui desideri, oltre che una necessità dettata dalla crisi economica, è la molla che porterà i giovani ad impegnarsi per superare le effettive situazioni di bisogno e contemporaneamente ad essere attenti alle risorse finite di un pianeta limitato.
Per dare valore al lavoro, per dare valore ai beni pubblici e ai beni familiari bisognerà passare da una terza "pompa di benzina": la politica. Da troppo tempo i cittadini europei - specialmente quelli meglio preparati - hanno smesso di scegliere la politica, di occuparsi della cosa pubblica. Oltre che cattivi esempi, a tenerli lontani è stato in pensiero liberista della capacità del mercato di creare giustizia. Ora è chiaro che il messaggio è falso ed è tempo che i giovani rinvigoriscano i circuiti democratici, partendo dal punto più avanzato a cui essi avevano fatto arrivare l'Occidente: quella Costituzione Europea che era pronta all'inizio del Millennio e che ora avrebbe protetto gli europei dalla recessione, se essi non l'avessero affossata con i referendum in Olanda e in Francia.
15 gennaio 2012