Con questo 2 giugno 2005 comincia un lungo compleanno. Una lunga festa di compleanno: non dunque una ricerca storica, ma un'esperienza di vita presente, di speranze e di confronti, capaci di cambiare il futuro.
È come se - celebrati i sessant'anni della liberazione e della pace in Italia ed in Europa, con l'anniversario del 25 aprile 1945 - molti sentissero il bisogno di immaginare un percorso comunitario che faccia fare esperienza contemporanea dello spirito che cambiò la società italiana ed europea tra il 1945 e il 1948.
Il 1945 è l'anno della fine della guerra. Il 1948 è l'anno dell'entrata in vigore della nostra Costituzione.
In mezzo c'è il 2 giugno del 1946: l'anno della rivoluzione; di una rivoluzione pacifica a profonda da cui è cominciata una vita collettiva, ma con cui sono cambiate molte vite personali.
Quando era "normale" che votassero gli uomini (solo perché erano uomini). Il 2 giugno del 1946, con il referendum istituzionale a suffragio universale, in Italia fu scelta la forma di governo repubblicana.
La prima rivoluzione del 2 giugno 1946 fu però il voto delle donne. Per la prima volta in Italia le donne conquistavano il diritto di dire la loro sulla vita pubblica e collettiva.
Oggi è normale, naturale, che donne e uomini votino. In Italia, in un tempo che appartiene alla vita di molte persone e non ai libri di storia, era invece normale che votassero solo gli uomini, che votassero per il solo fatto di essere uomini.
Già solo per questo la data del 2 giugno merita una lunga festa collettiva. Festa di ragazze e ragazzi insieme, ai quali quella "rivoluzione di parità", dentro la quale continuano a vivere, chiede di interrogarsi ancora sulle situazioni che sembrano ovvie, "naturali", e di chiedersi se sono anche giuste, se sono anche vere.
Possiamo ad esempio - restando nel campo dei diritti delle persone, delle donne e degli uomini - domandarci sull'organizzazione del tempo di vita e di lavoro nella società di oggi. Sessant'anni fa era "naturale" che le donne non votassero. Oggi all'organizzazione della società appare normale, "naturale", ovvio che alle donne - che intanto si sono conquistate istruzione e competenze sia economiche che pubbliche - siano assegnati due lavori, quello proprio di lavoratrice e quello "normale" di cura della famiglia, in particolare dei soggetti deboli della famiglia.
È davvero "giusta" questa organizzazione che appare "normale"? Non sarebbe necessaria una "rivoluzione"?
Questo è solo un esempio dell'attualità della rivoluzione cominciata il 2 giugno del 1946, con il voto alle donne.
La monarchia non aveva fatto bella figura, eppure... La seconda rivoluzione cominciata il 2 giugno 1946 è il contenuto stesso del referendum proposto alle italiane e agli italiani.
Volete la monarchia o la repubblica? Volete il re o il parlamento?
Ricordo il risultato di quel referendum in termini di numeri. I voti a favore della repubblica furono 12.718.641, pari al 54,3 per cento dei voti validi; a favore della monarchia si espressero invece 10.718.502 elettori, pari al 45,7 per cento. Ben oltre 10 milioni di italiani dunque dissero che volevano la monarchia; certo vinse la repubblica, ma non con lo scarto di voti che oggi potremmo pensare.
Non credo ci fossero dieci milioni di italiani affezionati a Casa Savoia. La monarchia non aveva fatto bella figura con gli italiani né durante il fascismo né durante la seconda guerra mondiale. Molti tra i votanti erano giovani che si erano trovati in guerra senza poter sapere dove stesse il loro Stato.
In quei 10 milioni di voti per la monarchia c'era piuttosto la comprensibile paura di fronte alla novità che la repubblica rappresentava. Non era solo una riforma costituzionale, come la chiamiamo oggi, era un salto nel futuro. Cambiava la vita, non cambiava solo lo stato. Ogni persona, assieme ed accanto a tutte le altre persone, diventava titolare della propria vita collettiva.
La forma repubblicana di Stato vede il potere supremo come espressione della rappresentanza del popolo, tanto è vero che l'articolo 1 della Costituzione dice che la sovranità, il potere supremo, appartiene al popolo che lo esercita nelle forme previste dalla Costituzione. Il popolo non è una entità amorfa, bensì un'entità fisica che, dal punto di vista giuridico, diventa titolare del potere supremo che lo esercita nelle forme della democrazia rappresentativa.
All'origine del potere non c'è un'investitura, ma semplicemente l'essere persona. E la persona è il fine dello Stato.
Se cambia forma di governo, cambiano i cittadini. Scegliendo la repubblica al posto della monarchia, mettendo la persona e non l'investitura all'origine del potere, il 2 giugno 1946 ci ha consegnato non solo una diversa forma istituzionale, ma una diversa società.
Anche questa è un'indicazione per il presente.
Il Parlamento è impegnato da mesi in un complesso e discusso cambiamento della nostra Costituzione.
La nostra Costituzione si divide in due parti, oltre ai primi dodici articoli dedicati ai "Principi fondamentali". Oggetto di cambiamento è l'intera Parte seconda che riguarda l'Ordinamento della Repubblica. Si sostiene che i cambiamenti nell'organizzazione dello Stato, quindi il potere legislativo, il potere esecutivo, il potere giudiziario, il Presidente della Repubblica, la Corte Costituzionale, le Regioni, non intaccherebbero la prima parte "Diritti e doveri dei cittadini" e tanto meno i "Principi fondamentali".
Non è così. Se si esce da questo equilibrio, si rompe il principio fondamentale che sta alla base del costituzionalismo e ne è quasi l'essenza, il principio cioè del "potere che limita il potere".
Il cambiamento proposto pone invece in capo al primo ministro tutti i poteri, compreso quello di mandare a casa il parlamento. Qui viene messo in discussione l'articolo 1 della Costituzione. I cittadini potrebbero esprimersi solo ogni cinque anni. Ma poi se qualcosa non va, non sono più in grado di esercitare il loro potere.
Quelle tre firme sotto la Costituzione. Ho continuato a citare la nostra Costituzione illustrando la "rivoluzione" iniziata il 2 giugno 1946, perché quel giorno donne e uomini votarono non solo su monarchia o repubblica, ma anche per scegliere i membri dell'Assemblea Costituente che avevano il compito di preparare la nuova Costituzione italiana.
Fu un cammino lungo un anno e mezzo. La Costituzione venne approvata e fu promulgata il 27 dicembre 1947; in base alla XVII disposizione finale, entrò in vigore il 1° gennaio 1948.
La Costituzione scritta nel 1946-47 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948 esprime le sue tre culture, armoniosamente fuse, nelle firme del liberale Enrico De Nicola, capo provvisorio dello Stato, del comunista Umberto Terracini, presidente dell'Assemblea costituente, e del democristiano Alcide De Gasperi, presidente del consiglio dei ministri.
Questa capacità di fare sintesi che si trova nella Costituzione italiana non è solo un pregio storico, è un valore per il presente.
Oggi siamo in una fase costituente, non tanto in Italia quanto in Europa. Una fase complessa, ma per questo impegnativa ed entusiasmante.
I cittadini francesi e quelli olandesi in questi giorni hanno rifiutato la prima Costituzione europea. Altri popoli, come gli spagnoli, l'hanno invece accettata. Numerosi parlamenti, come quello italiano, hanno riconosciuto la sua validità.
Opinioni diverse, dunque. Molti si sono affrettati a dire che bisogna continuare a "contarsi", a vedere chi accetta e chi non accetta la Costituzione europea: questo sono le ratifiche che si vuole portare avanti. Ma non è un metodo costituente. Con la stessa pazienza che ha visto nascere e poi svilupparsi la Costituzione italiana, ora tutti insieme - non solo i governi, non solo i parlamenti - possiamo creare le condizioni per una grande assemblea costituente europea.
1 giugno 2005