L'intervento unilaterale angloamericano ha già avuto come "effetti collaterali" il blocco delle Nazioni Unite, la frammentazione dell'Unione Europea, la rottura della solidarietà euroatlantica, strutturata nella Nato. Sono macerie meno coinvolgenti ma più rischiose per il presente dell'Iraq ed il nostro comune futuro delle macerie sanguinanti, fumanti, dell'Iraq che sembrano bastare da sole a riempire i compiti della politica. Sono macerie così incombenti da sgomentare la coscienza e far sentire inadeguata la politica. Ma non sono, appunto, le uniche macerie.
Potrebbe del resto trattarsi non di "effetti collaterali", ma di altri "fronti" che una parte dell'Amministrazione americana ha volontariamente aperto, contemporaneamente a quello dell'Iraq, nell'ambito della sua strategia per il nuovo ordine mondiale. La guerra è stata preceduta da duri attacchi di Bush all'Onu, dal disprezzo per la "vecchia Europa", dall'abbandono della Nato come strumento politico-militare a vantaggio di alleanze operative variabili.
Davvero "irrilevante" l'Onu?
In questi giorni di conflitto si moltiplicano poi le voci che affermano che ormai è chiaro che le istituzioni multilaterali nate direttamente o indirettamente dalla seconda guerra mondiale hanno concluso il loro compito e che occorre crearne di nuove.
Sono a volte voci di chi si sente deluso dai risultati che sperava da queste istituzioni. Ad esempio il premio Nobel egiziano Nagib Mahfuz ha affermato che non abbiamo più nulla da aspettarci dall'Onu per il dopoguerra.
Sono anche voci di chi ritiene le istituzioni multilaterali un inciampo per l'unica superpotenza. Il presidente del Consiglio italiano ha affermato al termine del Consiglio europeo di primavera che l'Onu "è ormai impotente e priva di credibilità" e che si sarebbe salvata solo assecondando la "determinazione assoluta degli Stati Uniti". Berlusconi non dice mai dice mai chiaramente le cose sgradevoli di casa nostra, ma in più occasioni si è rivelato un ottimo altoparlante per le parole sgradevoli di Bush: il presidente americano aveva infatti parlato per la prima volta di "irrilevanza" dell'Onu proprio all'incontro di Camp David con Silvio Berlusconi.
Un riferimento per le opinioni pubbliche
Fra i tre "fronti collaterali" (Onu, Unione Europea e Nato) dell'offensiva in corso, quello di maggiore attacco sembrano in questo momento le Nazioni Unite.
È il fronte più rischioso: la codificazione planetaria di un'unica superpotenza senza un luogo di mediazione e di confronto, renderebbe assai precaria qualsiasi tipo di unità europea (che non regredisse ad area mercantile) e renderebbe inutile la trasformazione in corso dei compiti della Nato.
Non è tuttavia un fronte debole. È vero che la crisi irachena non è gestita dall'Onu. È vero che la decisione della guerra è stata presa fuori dall'Onu. Ma forse per la prima volta nella storia delle Nazioni Unite una crisi internazionale seria è stata gestita nell'Onu, si sono applicate le regole della sua Carta per i momenti in cui non c'è un consenso facile e l'unanimità è impossibile. Il Palazzo di Vetro è stato trasparente nei confronti delle opinioni pubbliche. Stati Uniti e Regno Unito hanno dovuto fare i conti non solo con i rappresentanti diplomatici, non solo con i governi, che anche con i cittadini del mondo, proprio grazie all'esistenza delle Nazioni Unite. La centralità dell'Onu è un elemento dell'architettura internazionale acquisito proprio in questa occasione, al punto che nel mondo si è creato un "partito dell'Onu" e Kofi Annan è diventato un leader, certo sconfitto temporaneamente, ma non inutile.
La partita degli aiuti umanitari
E infatti Kofi Annan, dopo pochi giorni di silenzio, è tornato all'attacco. Lo ha fatto non sul fronte che lo aveva visto perdente (quello della scelta tra guerra e diplomazia) ma su un fronte successivo, quello del dopoguerra e della sua gestione.
È, e sarà sempre più con il perdurare del conflitto, un fronte altrettanto duro di quello che è stato temporaneamente chiuso con l'intervento unilaterale angloamericano. Gli Stati Uniti sono determinati a gestire direttamente l'Iraq a conclusione del conflitto; pensano di poterlo fare dal punto di vista politico, da quello della ricostruzione e da quello degli aiuti umanitari. Kofi Annan ha rilanciato la partita intanto per la gestione degli aiuti umanitari, nella consapevolezza che probabilmente gli Stati Uniti dovranno cedere di fronte ai costi economici dell'operazione. I paesi "donatori" poi difficilmente accetteranno di passare attraverso gli Stati Uniti, anche se per ora l'Amministrazione americana pretende che perfino le Organizzazione non governative Usa passino attraverso una agenzia del Pentagono per i loro interventi umanitari. Candidando le Nazioni Unite per gli aiuti umanitari, Kofi Annan ha messo una zeppa nel progetto americano, che alcuni Stati potrebbero subito sfruttare, per rientrare in gioco (senza dover dare una legittimità a posteriori alla decisione americana) oppure per restarci.
Blair pensa all'Onu per il dopoguerra
Quest'ultimo è il caso del Regno Unito. Non è casuale che del "consiglio di guerra" che si è tenuto la scorsa settimana a Camp David tra Bush e Blair il primo ministro inglese abbia voluto rendere preventivamente nota la sua posizione favorevole al coinvolgimento dell'Onu nella gestione del dopoguerra. Anche l'Inghilterra infatti - al di là delle "ricompense" per l'alleanza - rischia molto da un insediamento troppo pesante degli Usa nell'area del Golfo dopo il conflitto. Blair va oltre la mossa di Kofi Annan: ritiene indispensabile che all'Onu sia affidata anche la gestione politica dell'Iraq. L'esperienza dell'Afghanistan è quella che Blair ritiene di dover ripetere per l'Iraq: lì - a fianco di "Libertà duratura" - è iniziata appena dopo la prima fase dell'intervento la missione Isaf, multilaterale e a guida Onu.
Questa decisione pubblica di Blair non è estemporanea. Egli aveva voluto il vertice delle Azzorre del 16 marzo tra Usa, Gran Bretagna e Spagna; con quella richiesta egli aveva segnalato che al di là della decisione di andare in guerra, bisognava tenere conto che c'è l'Onu e che ci sarebbe stato. Inoltre al vertice di Camp David Blair, portando la sua posizione, ha di fatto sostenuto la decisione presa dal Consiglio europeo di Bruxelles di coinvolgere l'Europa nel dopoguerra iracheno.
Con Bush il primo ministro inglese ha aggiunto la necessità di risolvere subito il conflitto israelo-palestinese. Anche questa proposta rilancia l'Onu e la dimensione multilaterale della politica mondiale, perché nella crisi mediorientale è coinvolto il Quartetto (Onu, Usa, Ue e Russia).
Certo il netto dissenso con la scelta di Blair di entrare in guerra resta ed è confermato dall'andamento del conflitto. Blair però sa che le armi potranno far vincere la guerra, ma non faranno vincere la pace e prepara altre soluzioni per la pace. Berlusconi invece si accontenta di fare il tifoso di guerra, fischiando l'Onu e lanciando invettive alla "vecchia" Europa.
2 aprile 2003