Su 600 mila domande di regolarizzazione presentate entro l'11 novembre per cittadini stranieri presenti in Italia, ben 350 mila riguardano collaboratori e assistenti familiari. E' la conferma di una situazione sulla quale inutilmente avevamo richiamato l'attenzione nel corso dell'approvazione della nuova legge sull'immigrazione. La situazione è questa: la regolarizzazione di assistenti e collaboratori familiari non è solo la risposta alle esigenze degli immigrati irregolari; è innanzi tutto la risposta alle esigenze di centinaia di migliaia di famiglie italiane; è - potrebbe essere - la condizione per una più articolata politica di assistenza alle persone non autosufficienti, sia per età che per condizioni fisiche.
Così come è impostata la legge della Destra la regolarizzazione non darà una risposta adeguata alle esigenze delle famiglie e non verrà sfruttata dalle istituzioni per innovative politiche di assistenza.
Torno brevemente sulle cifre. Seicentomila domande di regolarizzazione costituiscono di per sé la più clamorosa smentita di una delle promesse elettorali con le quali la Destra ha vinto le elezioni facendosi portavoce delle paure di una parte della società italiana: la paura dello "straniero". La sanatoria Bossi-Fini riguarda un numero di persone più elevato di tutte le altre sanatorie messe insieme che sono state fatte in Italia in dieci anni. Lo ricordo non per recriminare, ma perché di fronte a questa cifra è possibile che ora coloro che interpretano la legge come lo strumento per bloccare le presenze straniere in Italia, in particolare i leghisti, potrebbero essere spinti a frapporre molti ostacoli nella fase della verifica delle domande presentate. La Caritas italiana ha lanciato l'allarme: tra il 20 e il 30 per cento delle richieste di regolarizzazione presentate entro l'11 novembre potrebbero risultare imperfette e non essere accolte: in numeri di persone con nome e cognome si tratterebbe di almeno 150 mila persone, di cui dunque almeno 100 proprio collaboratori ed assistenti familiari.
Si tratterebbe di una insopportabile angheria a decine e decine di migliaia di famiglie, molte delle quali hanno riflettuto a lungo su un passo impegnativo dal punto di vista delle finanze familiari, orientandosi alla fine per la regolarizzazione sia per avere la sicurezza dell'assistenza sia per rispetto di persone che ormai sono "entrate" nella famiglia. Si tratta di un passaggio delicato nel quale non bisognerà lasciare sole le organizzazioni assistenziali o i sindacati o le famiglie: è compito delle istituzioni, a partire dal ministero dell'Interno, assicurare appunto che la legge non venga disapplicata nel momento più delicato, cioè quando dalle intenzioni si deve passare ai fatti.
Gestita questa fase, occorrerà poi consolidare la nuova realtà che si si sarà venuta a creare in modo da rispondere in maniera strutturale ad una esigenza esistenziale delle famiglie italiane.
Un'indagine condotta quest'anno dall'Iref-Acli in collaborazione con Eurisko stima in 950 mila le famiglie interessate a maggiori servizi di cura e assistenza per anziani e bambini, perché quelli offerti sono spesso poco soddisfacenti o comunque incompatibili con gli orari della vita familiare; altri servizi sono troppo costosi per la gran parte delle famiglie: mi riferisco agli istituti di assistenza per non autosufficienti.
Le centinaia di migliaia di lavoratori stranieri che sono ogi in famiglia svolgono dunque un utile socialmente, che va inquadrato dunque nell'insieme dei servizi sociali alla persona.
La prima conseguenza è di riprendere con urgenza la proposta che l'Ulivo ha ripetuto durante tutto il dibattito sulla Bossi-Fini: occorre trasformare le entrate previdenziali ed assistenziali che deriveranno dai contributi dei lavoratori stranieri regolarizzati in un fondo destinato ad alimentare incentivi fiscali alle famiglie per le famiglie che ricorrono a collaboratori e assistenti familiari e in contributi per le famiglie a più basso reddito che hanno questa esigenza.
La Cisl del Veneto ha calcolato che nella più prudente delle ipotesi potrebbero arrivare a questo fondo 400 milioni di euro ntti all'anno appunto dai contributi previdenziali e assistenziali dei lavoratori stranieri. Nel Veneto potrebbero essere disponibili 30 milioni di euro: sei volte il fondo che attualmente è reso disponibile dalla regione Veneto.
Questo tipo di servizio poi consentirebbe di qualificare diversamente le strutture pubbliche attualmente operanti, in modo che tendenzialmente siano in grado di soddisfare esigenze che le famiglie non potrebbero comunque coprire. A parità di costi avremmo così un sistema sociale fondato sulla gestione familiare da una parte ed un sistema pubblico di supporto e di specializzazione. So che questo ridurrà l'area di impresa che anche in questo bisogno sociale si sta proponendo, ma chi vuole stare sul "mercato" deve accettare anche la concorrenza sociale.
12 novembre 2002