di Tino Bedin
Senza nessun rispetto: per i sindaci, per chi lavora politicamente nelle piccole comunità, per i cittadini di queste piccole comunità. La Camera dei deputati ha chiuso per Pasqua senza dire una parola sulla possibilità che nei Comuni fino a tremila abitanti i sindaci in carica già da due mandati possano ricandidarsi alle elezioni municipali del 12 e 13 giugno. Il disegno di legge, già approvato dal Senato il 31 marzo, è stato incardinato il 6 aprile, ma non ha fatto un passo. Se ne riparla, forse, il 20 aprile: allora mancheranno 20 giorni per la presentazione delle liste (il termine è il 10 maggio) per i consigli comunali e per i sindaci. Tra commissione e aula della Camera almeno quella settimana passerà e di giorni per scegliere a livello locale ne resteranno ancora meno.
Nella ultima seduta prima delle lunghe ferie pasquali (dall'8 al 19 aprile, compresi) la Commissione Affari costituzionali della Camera ha trovato il tempo per discutere delle regole per le elezioni europee: questo è stato giusto ed importante, perché anche per queste elezioni è urgentissimo definire le condizioni (basti pensare al riequibrio delle liste tra uomini e donne, che viene incentivato nel testo approvato dal Senato).
Secondo logica, il secondo argomento cui dedicarsi avrebbe dovuto essere quello sul terzo mandato dei sindaci nel comuni fino a tremila abitanti: si tratta di un testo che tutti ritengono debba valere anch'esso il 12 e 13 giugno prossimi (altrimenti cade la motivazione concreta costituita da 2.623 sindaci per cui scade il secondo mandato e dalle rispettive comunità); il testo è stato approvato a larghissima maggioranza dal Senato (sia pure dopo un tira e molla di molti mesi); si tratta di una legge di poche parole, sulle quali dire sì o no. Secondo logica se ne doveva discutere, si poteva anche decidere, in modo che dopo le ferie pasquali il testo andasse in aula, con già un'indicazione politica sul suo destino.
Invece di discutere di questi comuni e delle elezioni ormai imminenti, la Commissione Affari costituzionali della Camera ha discusso di altre elezioni: quelle contenute in proposte di legge riguardanti il riconoscimento di voto dei cittadini stranieri, con relativa modifica costituzionale in materia di cittadinanza. La maggioranza di centrodestra ha preferito parlare di voto agli stranieri piuttosto che delle scelte che devono fare intanto i cittadini italiani a proposito del loro sindaco.
E già che c'era con le grandi riforme la stessa commissione si è messa a parlare della riforma costituzionale, quella "grande" già votata dal Senato, quella che cambia il federalismo dell'Italia. Questa "deforma costituzionale" non ha una scadenza. Oppure sì? Oppure deve passare davanti a tutto per avere il voto in commissione prima del 13 giugno, per far contenta la Lega? E la Lega, che al Senato ha votato contro il terzo mandato ai sindaci nei piccoli Comuni, magari è disposta a cedere ma solo dopo aver ottenuto questo risultato?
Sempre che al voto ci si arrivi. Martedì scorso, quando la legge sul terzo mandato ha cominciato il cammino alla Camera, il presidente della Commissione e il relatore (entrambi di Forza Italia) non hanno parlato solo della "leggina" approvata dal Senato. Ci hanno attaccata una lunga serie di progetti di legge, sui quali avevano smesso di discutere il 6 febbraio del 2002 e hanno detto che il discorso doveva riprendere da quel punto, cioè dove l'avevano lasciato oltre due anni fa. Per esempio - hanno detto - c'è da discutere se sia meglio tremila o cinquemila come numero di abitanti di riferimento; oppure se non sia più corretto arrivare fino a quindicimila, quando cambia anche il sistema elettorale.
Tutte discussioni forse interessanti, ma intanto in 2.623 Comuni non si può discutere del futuro e delle persone cui affidarlo.
8 aprile 2004
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