ECONOMIA E LAVORO

Milioni di famiglie l'hanno potuto misurare durante la pandemia
La produzione di valore economico
del lavoro di cura

Il suo riconoscimento sociale e stipendiale può favorire l'aumento complessivo dell'occupazione in Italia

di Tino Bedin

La sospensione, la limitazione o la riorganizzazione delle attività per arrivare alla riduzione dei contagi ha in questi mesi trasferito parti rilevanti del lavoro di cura sulla famiglia: mamma e papà, figlie e nipoti hanno svolto in proprio servizi e cure prima affidate ad altri. Il "risparmio di spesa", rilevato dall'indagine straordinaria della Banca d'Italia all'inizio della primavera, è in buon parte l'auto-remunerazione di un lavoro.
Per molte, interminabili settimane le residenze assistenziali non hanno potuto accogliere anziani: impegnate a frenare il Covid al loro interno, le Rsa sono state di fatto interdette ai nuovi ingressi; il lavoro di cura è stato inevitabilmente assunto (in prevalenza) dalle figlie e dalle nipoti, perché anche avere l'assistente domiciliare era rischioso. Migliaia di badanti sono ritornate nei paesi di origine; molte altre migliaia non hanno potuto spostarsi. Anche per gli anziani meno fragili, il lavoro di sostegno è passato alla famiglia, con la relativa "remunerazione". Questa non è di poco valore. La retta mensile per l'ospitalità in una residenza sanitaria assistenziale non è uniforme sul territorio nazionale, ma si può calcolare tra 1.500 e i 1.800 euro mensili a carico dei familiari; cifre che molti stipendi non raggiungono.
Questo "fai-da-te" assistenziale ha riguardato genitori e fratelli maggiori nei confronti dei componenti più piccoli della famiglia: la didattica a distanza (insufficiente in sé e per l'inesistenza di esperienze) è stata necessariamente integrata in casa, specialmente in quelle componenti di sostegno che in condizioni normali sono a pagamento (o dell'istituzione o della famiglia).

La rilevanza nell'economia domestica. Ogni famiglia (prevalentemente, ogni donna) può allungare la lista con altri lavori di cura che si è assunti, a volte in sostituzione del lavoro perduto o sospeso, sempre con una riduzione di spesa, quindi con una rilevanza nell'economia domestica, che è genericamente registrata dalle statistiche, e con un contraccolpo nell'economia generale, che invece non trova misurazioni e valutazioni nelle ricerche sul mercato durante la pandemia. Questa assenza è la conferma della scarsa valutazione sociale delle lavoratrici e dei lavoratori della cura: dagli insegnanti agli operatori sanitari, dalle assistenti familiari agli specializzandi ospedalieri, dalle cooperanti degli asili-nido agli educatori di comunità; scarsa valutazione che si traduce in ingiustizia salariale.
Milioni di famiglie italiane hanno in questi mesi "misurato" il valore economico effettivo del lavoro di cura ed è quindi il momento di inserirlo a pieno titolo nella "produzione di valore" della nostra economia. Un valore economico, ma anche un valore collettivo: attraverso il lavoro di cura si può preparare il futuro che coinvolge la parità di genere, le opportunità formative dei ragazzi, l'invecchiamento sicuro della popolazione, la compensazione delle insufficienze personali: sono tutti obbiettivi che società e istituzioni dicono di volersi dare.
Oggi ci sono anche le risorse finanziarie per farlo.

Una catena di buon lavoro. Il 7 maggio scorso in Portogallo le Istituzione europee e rappresentanze sociali ed economiche hanno sottoscritto l'Impegno sociale di Porto, che ha questo primo obiettivo: "almeno il 78% della popolazione di età compresa tra i 20 e i 64 anni dovrebbe avere un lavoro" entro il 2030. L'Italia parte dal 58 per cento di occupati e per aumentarli di un terzo in dieci anni serve investire nei settori ad alta occupazione e il lavoro di cura è uno di questi. Un servizio di qualità ad una persona anziana consente ad un familiare di lavorare almeno a tempo parziale; un posto di lavoro in asilo nido ne attiva altri per le mamme, che lavorando potranno aver bisogno di collaborazione domestica…
Questa catena di buon lavoro va tenuta stretta con un incremento delle opportunità offerte ai giovani, ma soprattutto con un adeguamento degli stipendi che corrisponda non solo alla qualità del lavoro richiesto, ma anche alla considerazione sociale di cui i lavori di cura in generale devono godere. Non serve a nulla, ad esempio, continuare ad allarmare le persone per la scarsità di medici e in particolare per la "sparizione" dei medici di famiglia: la scarsità di "vocazioni" in questa come in altre professioni di cura si supera con la loro valorizzazione sociale ed economica.
Il PNRR italiano è stato scritto per rispondere ad obiettivi europei, compreso quello dell'occupazione, e quindi ha le risorse per questo futuro collettivo. Naturalmente bisogna scegliere questo futuro e non un altro, per esempio non quello della privatizzazione della cura. E nella pandemia si sta misurando la differenza tra servizio sanitario universale e prestazioni individuali.

11 luglio 2021



la-088
Aggiornato: 29 ottobre 2021
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Tino Bedin