Nessuno smartphone è mai il più nuovo. Appena il tempo di scegliere quello "giusto" (per prestazioni e per prezzo), immesso ieri sul mercato, e di comprarlo, ed ecco che arriva la pubblicità di un altro "più giusto". La staffetta tra produzione e consumo continuerà: le aziende multinazionali e cinesi correranno a "migliorare" gli smartphone, i pubblicitari allestiranno le piste su cui far correre i nuovi "bisogni", i consumatori si sentiranno "obbligati" a partecipare alla staffetta afferrando il nuovo cellulare e portandolo al traguardo dell'acquisto. E sarà di nuovo quello "giusto", perché la scala di valore sarà ancora ed esclusivamente l'esigenza individuale di ciascuno.
Eppure, altre scale di valore esisterebbero per valutare la "giustezza" di uno smartphone.
La scala dello scarto, ad esempio: quanto butto via per ricavare quello che mi serve? Ho letto che la fabbricazione di un microchip da due grammi comporta la creazione di circa due chili di materiale di scarto.
Oppure la scala dell'ecologia integrale che mette insieme persone e creato: di chi è originariamente il materiale che adopero? Ho letto ancora che nella fabbricazione dei telefoni cellulari finisce il 19 per cento della produzione di metalli rari come il palladio e il 23 per cento di quella del cobalto (oltre ad una quarantina di altri metalli contenuti solitamente nei cellulari). Le terre rare sono prevalentemente estratte nell'Africa centrale, da multinazionali non africane, e sono oggetto di contese globali: insomma, le terre rare fanno funzionare gli smartphone soprattutto altrove, mentre in Africa impoveriscono le popolazioni e generano guerre.
La mentalità estrattiva. La misurazione del rifiuto e la misurazione dell'equità socio-ambientale sono pratiche che hanno preso piede in persone e in comunità; sono però generalmente applicate ai comportamenti collettivi, con particolare riferimento ai consumi; quasi mai sono applicate alla produzione e alla commercializzazione. Meno che mai sono applicate all'innovazione tecnologica. Eppure, come abbiamo visto nel caso degli smartphone, è quella la fase decisiva: è lì che è concentrata la potenza finanziaria in grado di comprare tutto quello che serve per innescare la staffetta con il consumatore.
Nella Giornata mondiale di Preghiera per la cura del Creato di martedì scorso (quest'anno il 1° settembre, Capodanno ortodosso, è stato il 50° anniversario della sua istituzione da parte del Patriarca di Costantinopoli Dimitrios) Papa Francesco ha twittato un video in spagnolo in cui sintetizza con dura efficacia questa situazione e ne fa intenzione di preghiera: "Stiamo spremendo i beni del pianeta. Spremendoli, come se si trattasse di un'arancia. Paesi e imprese del Nord si sono arricchiti sfruttando doni naturali del Sud generando un debito ecologico. Chi pagherà questo debito? Questo debito ecologico aumenta quando le multinazionali fanno fuori dal loro Paese quello che nel proprio non è permesso. Oggi, non domani, dobbiamo prenderci cura del Creato con responsabilità. Preghiamo affinché le risorse del pianeta non siano saccheggiate, ma condivise in modo equo e rispettoso".
Non sono in discussione solo il modo di produrre i beni e il modo di usarli, avverte Papa Francesco. Questa discussione è utile, ma non è sufficiente per la salvaguardia del Creato (e dell'umanità che ne è parte); potrebbe essere addirittura deviante.
Nella staffetta produzione-consumo degli smartphone, ad esempio, l'innovazione tecnologica punta molto sulla qualità delle batterie agli ioni di litio. Sono le batterie che si stanno sempre più perfezionando anche per i veicoli elettrici. Una componente indispensabile per questo tipo di batterie è il cobalto. Si tratta di uno dei "metalli rari", le cui riserve naturali sono per due terzi nella Repubblica Democratica del Congo e la cui raffinazione è oggi quasi monopolio della Cina. Per far andare a batteria un quarto dei veicoli nel mondo bisognerà almeno triplicarne l'estrazione; se si vogliono abbandonare del tutto i combustibili fossili per l'autotrazione, secondo gli analisti della banca svizzera UBS, bisognerà aumentare l'estrazione di cobalto del 1928 per cento: significherà trasformare il Congo in un grande miniera a cielo aperto; significherà rischiare nuove guerre dell'energia, come quelle che abbiamo conosciute per il petrolio.
L'innovazione tecnologica in due strumenti di massa come gli smartphone e gli autoveicoli non ridurrà, dunque, l'impatto ambientale e sociale; semplicemente lo sta spostando.
La crisi climatica è sistemica. Non cambia di fatto la qualità dell'approccio: si conserva la mentalità estrattiva (la "spremitura" dei beni del pianeta) e si aumenta il debito del Nord del mondo verso il Sud (la "spremitura" di milioni di abitanti del pianeta).
Le conseguenze di questa doppia spremitura non figurano nelle agende politiche nazionali o multilaterali e nell'attenzione delle opinioni pubbliche. Sono considerate inevitabili e quindi "incurabili", anche se sono la fonte delle crisi che maggiormente spaventano le opinioni pubbliche e preoccupano i governi: la crisi climatica (con le devastanti emissioni di CO2) e la crisi migratoria (somma di sofferenze e di paure) hanno origine da questo processo di impoverimento contestuale della terra e dei suoi abitanti.
La connessione tra pratica estrattiva, crisi climatica e crisi migratoria è scientificamente descritta dall'International Resource Panel (IRP), il gruppo di 34 scienziati di fama mondiale di 30 diversi Paesi istituito dall'Assemblea del Programma Ambiente delle Nazioni Unite nel 2007, nell'ultimo Rapporto "Global Resources Outlook 2019". I dati del Rapporto sono abbondanti e interessanti le letture intrecciate che di questi dati fanno gli scienziati, proprio sul tema che ci interessa.
Nel periodo 1970-2017, la domanda media pro-capite di materie prime è aumentata da 7 a 12 tonnellate l'anno. Su scala globale in meno di mezzo secolo la domanda annua di risorse naturali è passata da 27 a 92 miliardi di tonnellate e a questi ritmi salirà a 190 miliardi di tonnellate nel 2060.
All'aumento dell'estrazione di risorse, più che triplicata dal 1970, hanno contribuito anche i combustibili fossili, la cui estrazione è passata da 6 miliardi di tonnellate nel 1970 a 15 miliardi nel 2017. "L'estrazione e la lavorazione di materiali, combustibili e alimenti - si legge nel Rapporto - rappresentano circa la metà delle emissioni totali di gas serra globali e sono responsabili di oltre il 90 per cento della perdita di biodiversità e dello stress idrico".
Si legge anche: "La rapida crescita dell'estrazione di materiali è il principale responsabile dei cambiamenti climatici e della perdita di biodiversità, una sfida che peggiorerà se il mondo non intraprenderà urgentemente una riforma sistemica dell'uso delle risorse". In questo scenario, infatti, le emissioni di gas serra potrebbero aumentare del 43 per cento entro il 2060.
Se ne ricava che la crisi climatica è una dimensione costitutiva di un sistema di produzione e consumo che considera la spremitura della natura una propria componente essenziale e non una conseguenza.
6 settembre 2020