Gli inglesi non possono fare a meno di noi europei. A quasi un anno (23 giugno 2016) dal referendum che ha avviato l'uscita dall'Unione Europea si è tornati a votare (8 giugno 2017) nel Regno Unito per il rinnovo della Camera dei Comuni e gli inglesi se ne sono ben guardati dal dare carta bianca al primo ministro Theresa May; anzi le hanno tolto la maggioranza assoluta che prima aveva.
Neanche noi europei (e quindi noi italiani) possiamo fare a meno degli inglesi: non tanto per gli affari, quanto per le spinte politiche che il Regno Unito è in grado di imprimere ben oltre la Manica.
Ridurre diseguaglianza ed esclusione. Il vincitore politico delle elezioni inglesi è il leader dei laburisti Jeremy Corbyn. Con lui il Labour ha preso il 40 per cento dei voti: 10 punti percentuali in più di appena due anni fa con Miliband; ma ha preso più del 29 per cento di Gordon Brown nel 2010 e addirittura più del 35 per cento di Tony Blair alla sua terza elezione. Corbyn è arrivato a questi consensi nonostante il contrasto con una fetta consistente del suo stesso partito, che continua ad avere come riferimento proprio Blair e le sue politiche.
La spinta che viene da oltre Manica fino in Europa e in Italia è appunto questa: il "blairismo" ha concluso il suo ciclo storico; chi nei partiti popolari ritiene che quella politica sia utile nella globalizzazione va incontro a sconfessioni da parte dell'elettorato, anzi da parte del proprio elettorato. Il regresso costante e generalizzato dei partiti "socialisti" in Europa lo aveva già segnalato in negativo. Ora il risultato politico di Corbyn aggiunge in positivo l'indicazione di come invertire la tendenza.
Nel programma con cui Jeremy Corbyn ha convinto prima la maggioranza degli iscritti al Partito Laburista e ora una parte importante dell'elettorato ci sono welfare e sicurezza, diritto alla salute e all'abitazione, istruzione per tutti e tasse alle multinazionali; l'austerità non è considerata una ricetta e lo Stato non è a servizio del mercato. Parole d'altri tempi, sentenziano tuttora molti nei partiti popolari e progressisti. Invece gli elettori sentono che sono parole moderne, perché consentono di affrontare la sfida mortale che la globalizzazione ha lanciato contro le nostre democrazie: l'aumento delle diseguaglianze, l'inevitabilità dell'emarginazione (propagandata da programmi tv di successo: "Sei fuori", intimano Flavio Briatore e Donald Trump).
Recupero di partecipazione. La campagna elettorale inglese ha innanzi tutto fatto sentire "inclusi" più cittadini.
La percentuale di votanti è stata la più alta degli ultimi vent'anni: è andato a votare il 69 per cento dell'elettorato; il 2 per cento in più rispetto alle elezioni politiche del 2015. La mobilitazione dell'elettorato marginalizzato è tra l'altro uno degli obiettivi di Momentum, il movimento nato con l'elezione di Corbyn alla guida del Labour Party nel 2015.
Il recupero di partecipazione si è avuto in una delle aree sociali in cui maggiore è la diseguaglianza: i dati elettorali segnalano un aumento del 20 per cento di affluenza tra gli elettori con meno di 24 anni. Si tratta della generazione più svantaggiata dalla Seconda Guerra mondiale. Nelle proposte politiche dei laburisti i giovani hanno trovano le motivazioni al voto che non avevano avuto nel referendum sulla Brexit, il cui risultato avevano comunque patito più di altri settori demografici e al quale ora hanno voluto mettere un argine.
Il recupero di consenso politico si è avuto in un'altra delle aree sociali con forti diseguaglianze: quella del lavoro. Con le elezioni di questa settimana scompare di fatto nel Regno Unito l'Ukip: il partito antieuropeista e di destra, protagonista della Brexit, è crollato al 2 per cento dal 13 che aveva due anni fa. Il 2 per cento di nazionalisti e razzisti può essere un dato fisiologico nelle nostre comunità; il dato precedente invece raccoglieva delusione e risentimento di classi sociali, in gran parte operaie, che non si sentivano più rappresentate dal loro partito storico, il Labour. Questa settimana sono "tornati a casa", perché hanno trovato porte aperte e soprattutto la "loro" casa, nella quale la politica parla di loro e loro possono parlare delle proprie sofferenze.
Anche in questo Jeremy Corbyn è il vincitore politico delle elezioni inglesi. Ma i Tories hanno preso il 43 per cento e quindi toccherà ancora a loro formare il prossimo governo. Il risultato numerico non nasconde comunque che c'è uno sconfitto politico dagli elettori ed è il primo ministro Theresa May, che aveva indetto le elezioni anticipate per allargare la maggioranza parlamentare e se la ritrova drasticamente ridotta.
Far da soli non è così semplice. Nel loro insieme gli elettori del Regno Unito hanno così ridotto la forza di chi orgogliosamente ha continuato a dire in campagna elettorale "Nessun accordo è meglio di un cattivo accordo", riferendosi alle trattative per l'uscita dall'Unione Europea. I milioni di cittadini britannici che ogni giorno sono "europei" per lavoro non intendono far prevalere una gestione di rottura nella trattativa. Del resto l'anno quasi trascorso dal referendum ha cominciato a mostrare agli inglesi la complicazione nella quale sono finiti e gli svantaggi che nel deriveranno comunque. È ragionevole ritenere che all'insuccesso politico della May abbiano contribuito numerosi cittadini che al referendum hanno votato per la Brexit.
Anche da questi elettori viene una spinta politica a noi europei, a noi italiani: far da soli a volte sembra il modo più immediato per uscire dalla difficoltà, ma una volta soli le difficoltà rimangono e se ne aggiungono di nuove.
11 giugno 2017