I francesi scelgono il loro presidente domenica 7 maggio. Ma è in ballo qualcosa che riguarda anche gli europei. Bernardo Valli ha commentato su "Repubblica" subito dopo il primo turno delle presidenziali francesi: "Il duello decisivo sarà tra l'Europa e l'anti Europa: la prima rappresentata da Emmanuel Macron, ieri arrivato in testa con il 23,9 per cento dei voti, la seconda rappresentata da Marine Le Pen, rimasta sotto il 21,7 percento. Questo è il principale significato del doppio voto. Dopo il primo scrutinio possiamo tirare un respiro di sollievo. Chi teme e rifiuta una disintegrazione dell'Europa può rallegrarsi del 23 aprile francese. Una diserzione elettorale dei transalpini, sulla traccia dei britannici, avrebbe avuto tristi conseguenze".
Un gruppo di ex universitari europei. Il vincitore del primo turno e in ballottaggio per la presidenza della Repubblica francese è dunque Emmanuel Macron, che era responsabile nel governo di Parigi per Economia, Industria e Digitale. Macron è stato uno degli studenti dell'Erasmus. Non se n'è dimenticato, tanto che nelle piazze francesi dove c'è lui sventolano insieme la bandiera della Francia e la bandiera dell'Europa: tante bandiere, come non si vedevano da tempo; tante bandiere, in controtendenza rispetto molti altri politici, compreso il nostro Matteo Renzi che ad un certo punto ha schierato alle sue spalle solo bandiere italiane (copiando dalla Polonia).
C'è oramai, al vertice dei vari governi europei, un gruppo di ex ragazzi che all'università condivisero valori e viaggi in tutto il Continente col programma di scambio studenti.
Solo per fare qualche nome c'è il finlandese Alexander Stubb, ministro delle Finanze dopo essere stato primo ministro; c'è Michael Roth, ministro tedesco per gli Affari Ue, che viveva da ragazzo a pochi chilometri dal Muro e oggi rappresenta la politica europea di Berlino. In Svezia è un "erasmiano" anche Mikael Damberg, potente ministro che riunisce Imprese, Innovazione, Agricoltura, Infrastruttura.
La reversibilità del processo europeo. Sono erasmiani come Sandro Gozi, sottosegretario italiano alla presidenza del Consiglio con delega agli Affari europei, che l'anno scorso ha pubblicato da Egea-Università Bocconi, il libro "Generazione Erasmus al potere: il coraggio della responsabilità".
È stato chiesto al sottosegretario Gozi se riconosce qualche debolezza a questa generazione? "Ci siamo confrontati solo adesso - ha risposto - con la reversibilità del processo. Aver pensato che oramai fossimo alla "fine della Storia" e che tutto fosse ineluttabile ha fatto sì che ci siamo lasciati prendere di sorpresa dai momenti di crisi profonda dell'Europa. L'eccesso di ottimismo è stato ingenuo, anche se dovuto alla spinta di fine Guerra Fredda".
Proprio i sessant'anni dei Trattati di Roma e le belle celebrazioni fatte a Roma sono lo specchio delle difficoltà e delle sfide. Romano Prodi le riassume così: "Il progetto europeo ha avuto tanta capacità di attrazione nei confronti di tutti i paesi del nostro continente: nelle sale del Campidoglio per i sessant'anni dei Trattati di Roma non vi saranno i rappresentanti di sei paesi, come nel 1957, ma di ventisette nazioni europee. Tuttavia proprio questo numero, che ci ricorda un passato di cui possiamo andare orgogliosi, ci ammonisce anche sulle difficoltà del presente, perché i membri dell'Unione Europea sono ventotto, ma a Roma non è venuta la Gran Bretagna, in via di uscita dopo un referendum popolare che ne ha sancito il definitivo distacco dall'Unione. Un distacco che ha radici lontane nella storia ma che è il simbolo delle difficoltà e dei problemi che l'Europa sta affrontando in questo difficile momento".
L'involuzione demografica. La crisi attuale economica e il futuro incerto creato dall'uscita dell'Inghilterra dall'Unione rendono più urgente che mai la necessità di politiche e azioni a favore dei giovani in modo da garantire che il futuro dell'Unione Europea possa fondarsi sullo sviluppo del capitale umano mai come oggi ancor più colpito dagli effetti dello scontro intergenerazionale.
Giovani sì, ma quali?
In Europa la fascia di età tra i 15 e i 29 anni rappresenterà nel 2050 il 15,3 per cento della popolazione europea, contro l'attuale 19,3. Questa involuzione demografica si ripercuoterà sulle famiglie, sulla solidarietà intergenerazionale e sulla crescita economica. Per questo motivo per l'Europa diventa strategico e urgente mettere al centro delle politiche i giovani e i loro bisogni.
La strategia europea per la gioventù prevede di investire nei giovani attraverso scelte politiche e azioni dirette ma garantendo anche i diritti dei giovani in tutte quelle altre politiche che vedano i giovani tra i protagonisti su temi di rilevanza globale quale educazione e salute.
L'investimento prevede un ritorno in termini di maggiore partecipazione attiva dei giovani nella società e negli ambiti di interessi strategici per l'Europa.
Aver paura dell'isolamento. Mai come in questa fase, all'indomani della Brexit che ha visto i giovani di un paese uscire sconfitti sull'idea di Europa stessa, progetti come questi sono fondamentali perché i "nativi europei" possano diventare adulti senza ritrovarsi stranieri fra loro.
Dopo sei decenni di storia comune, i giovani hanno ragione quando si aspettano che questo viaggio nella storia nuova continuerà, ha detto recentemente presidente della Commissione Europa Jean-Claude Juncker, che ha osservato: l'Europa unita "ha dato grandi benefici a molti e ne darà anche di più alle prossime generazioni, perché in questo mondo tutto cambia, ma qualcosa deve essere ben chiaro: il continente europeo resterà il più piccolo sul pianeta. Tutti lo sanno tranne gli europei. La nostra proporzione di Pil scenderà dal 25 per cento di oggi al 15 per cento tra dieci anni. Nessuno dei nostri paesi sarà membro del G7 entro 20 anni. E demograficamente siamo debolissimi: alla fine di questo secolo, su 10 miliardi di persone solo il 4 per cento sarà europeo".
Uno scenario che può mettere paura, ma che contemporaneamente offre a tutte le generazioni dell'Europa la possibilità di misurarci con il futuro come cittadini europei, ben radicati anche nei loro paesi.
È dell'isolamento che dobbiamo avere paura.
7 maggio 2017