Questa sarà una settimana buona per noi europei. Lunedì 24 aprile comincerà a cadere un'altra barriera nella nostra vita di cittadini dell'Unione: la barriera telefonica. La Wind ha infatti deciso che a partire dal 24 aprile, tutti i clienti con sim ricaricabile, abbonamento o partita Iva potranno utilizzare il proprio pacchetto di chiamate, sms e dati in Italia come in tutti i paesi dell'Unione Europea. Cade la barriera del roaming.
La Wind non lo fa per buon cuore. L'applicazione delle tariffe nazionali per le telefonate da e per tutto il territorio dell'Unione Europea è prevista da una disposizione Ue in materia appunto di roaming: per tutti gli operatori telefonici l'abolizione degli extracosti finora in vigore quando si è in Europa ma fuori del proprio paese deve entrare in vigore entro il prossimo 15 giugno. Spiega l'europarlamentare finlandese Miapetra Kumpula-Natri, che ha seguito la materia per conto del Parlamento europeo: "Possiamo celebrare il 15 giugno 2017 come una grande vittoria dei consumatori europei. Gli europei in viaggio potranno controllare le loro e-mail, usare le mappe, caricare le foto sui social media, telefonare e scrivere messaggi a casa senza costi aggiuntivi".
Il cellulare diventa così un altro pezzo di Europa che noi cittadini ci mettiamo in tasca, assieme all'euro e alla carta d'identità europea.
Un paese per giovani. Il "roaming a tariffa nazionale" è contemporaneamente lo strumento con il quale realizzare e favorire il funzionamento di un mercato unico digitale in tutta l'Unione, spiega e assicura la risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 6 aprile scorso.
Mercato digitale e roaming fanno parte della vita dei giovani europei; altrettanto si può dire della libera circolazione delle persone, degli scambi culturali, della mobilità lavorativa.
Si conferma così che l'Europa è un paese per giovani.
Gran parte di loro sono "nativi europei". L'Unione Europea, come oggi la conosciamo e come oggi la chiamiamo, è nel Trattato di Maastricht, firmato nel 1991. Il Trattato di Schengen sull'abolizione dei controlli alle frontiere interne è del 1985. Significa che gli europei che hanno dai trent'anni in giù sono nati europei senza confini.
È una condizione sulla quale non c'è sufficiente attenzione da parte dei commentatori e da parte della politica e neppure da parte delle generazioni precedenti: le valutazioni sull'Europa si fanno quasi sempre (sia dai detrattori sia dai sostenitori) con riferimento ad un "prima" che ormai per un'intera generazione non c'è mai stato. Il guaio per è giovani è che "quelli del prima" sono assai più numerosi di loro e utilizzano il loro numero per far valere le loro ragioni, come abbiamo constatato con il referendum sulla Brexit. Nel giugno scorso il 75 per cento dei ragazzi fra i 18 e i 24 anni si è espresso contro la Brexit, così come il 54 per cento delle persone con un'età compresa tra i 25 e i 49 anni, a fronte degli ultrasessantacinquenni che hanno votato in massa (il 61 per cento) per l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea. Saranno però i giovani che vivranno più a lungo le conseguenze del voto: una media di 69 anni a fronte dei 16 anni degli anziani.
Sessant'anni con i loro occhi. Per questo mi pare coerente con la storia e il futuro di noi europei "leggere" i sessant'anni dell'Europa unita con gli occhi dei giovani e approfondire le politiche europee per le nuove generazioni.
Mentre si è iniziato da tempo a riflettere sui "nativi digitali" e a considerarne l'originalità rispetto ai loro genitori e nonni, poco ancora si parla dei "nativi europei". I giovani sono del resto gli interlocutori decisivi per l'Europa (e gli Stati che la compongono) su lavoro e occupazione, istruzione e formazione, integrazione e inclusione sociale. Da questo dialogo con i cittadini più giovani si capirà se l'Europa è un patrimonio da investire o solo un'eredità.
23 aprile 2017