L'esito delle elezioni e il conseguente governo di Alexis Tsipras in Grecia stanno ricevendo applausi anche fuori dalla Grecia. In Italia la destra leghista e la sinistra di Sel non si sono tirate indietro. Pare infatti a questi estimatori che sia la volta buona per darla sui denti all'Europa del rigore e dei bilanci. C'è chi si augura che questa sia la volta buona anche per far morire l'euro.
Eppure Alexis Tsipras non ha mai detto che vuole uscire dall'euro. Sa benissimo infatti che il prezzo del ritorno ad una dracma svalutata sarebbe quasi interamente pagato dalle classi già martoriate dalle conseguenze di bilanci allegri, cioè le classi che lo hanno portato alla guida della Grecia. Gli altri, quelli che comunque soldi ne hanno, si sono già salvati, portando i loro capitali in euro da qualche altra parte. Solo al consolidarsi dei sondaggi al favore del partito Syriza, a dicembre, dalle banche elleniche sono usciti 4 miliardi e mezzo di euro. Nella settimana post-elettorale i depositi bancari greci sono calati di un altro 10 per cento e l'interesse sui titoli di stato a tre anni è balzato al 19 per cento. Non sono numeri di economia: sono le premesse perché chi ha soldi tra i greci faccia ancora più soldi con la possibile uscita dall'euro e che ha pagare questo ulteriore arricchimento sia la maggioranza impoverita dei greci.
I mercati e i mercanti sono in grado di non aspettare gli eventi, ma di precederli e magari di determinarli. Ciò vale per la Grecia, ma vale anche per l'Italia dove c'è pure chi sta raccogliendo consensi illudendo gli impoveriti dalla crisi.
Le condizioni da cui partire. Per l'Italia - al di là dello sterile dibattito sull'euro - c'è anche da ricordare che una rottura tra Grecia ed Europa metterebbe a rischio i 40 miliardi di crediti diretti e indiretti che l'Italia ha versato alla Grecia durante la crisi.
Quello che rimborso del debito contratto dalla Grecia è un punto fermo di ogni discussione tra il nuovo governo greco e l'Unione Europea. Oltre che una questione di sostanza (ho appena ricordato l'esposizione dell'Italia) è una questione di reputazione nei confronti di tutti i debitori: il rischio di un effetto contagio rende impraticabile la strada di un "abbuono".
Ciò non significa che gli obblighi contratti dalla Grecia non possano essere discussi e adattati alla diversa stagione economica rispetto a quando sono stati scritti.
C'è innanzi tutto una situazione che allora non c'era. In Grecia non c'è più solo una crisi finanziaria; c'è una crisi umanitaria. Il tasso altissimo di disoccupazione, la riduzione drastica degli stipendi, il collasso del sistema sanitario, l'impoverimento generalizzato della popolazione costituiscono una crisi altrettanto e più grave di quella del deficit del bilancio statale. Nella discussione si parta da qui e proprio qui l'Europa (assieme alla Grecia) trovi politiche finanziarie ed economiche che effettivamente sostengano la parte debole della popolazione e non la parte forte, quella che riesce ad evadere il fisco e a farsi mantenere dai poveri.
Un altro elemento di novità è la consapevolezza - che è alla base del programma della Commissione europea presieduta da Jean-Claude Juncker - che se l'equilibrio di bilancio è importante per le future generazioni, occorre fare in modo che il futuro ci sia attraverso una politica attiva di investimenti. Un piano di investimenti pubblici opportunamente governato darà alla Grecia (oltre che al resto dell'Europa) le risorse per un circolo virtuoso che facili il pagamento del proprio debito. In particolare per quanto riguarda la Grecia questo non appare neppure tanto difficile, visto che l'economia greca pesa attorno al 2 per cento del prodotto interno lordo dell'Eurozona.
Oltre la campagna elettorale. Nei primi approcci tra le parti sia il primo ministro Alexix Tsipras sia il suo ministro delle Finanze Yanis Varoufakis hanno scelto la linea dura, come se stessero ancora cercando voti fra i greci. In un gioco al rialzo hanno addirittura ventilato di poter giocare la carta della Russia: veto ad eventuali sanzioni europee in cambio di finanziamenti russi.
Certo non è prevedibile che sia un dialogo facile. Syriza ha vinto le elezioni con una serie di proposte (e di promesse) che occorre ora misurare anche al di fuori della Grecia. La ribellione solitaria oltre che inconcludente per i greci, potrebbe essere avvertita come un pericolo dalla maggioranza dei cittadini europei e rendere più complicato per le istituzioni dell'Unione e per i singoli governi nazionali cercare soluzioni utili all'insieme dell'Europa.
La vera carta, anche in questo passaggio, non è ridurre l'Europa ma avere più Europa. È la carta che ha in mano soprattutto Tsipras: sfidare l'Europa sui suoi valori e soprattutto sulle sue prospettive; in particolare sulle prospettive dell'euro al quale al momento della nascita era stata promessa una Unione Economica e Monetaria vera con l'integrazione delle politiche fiscali e degli investimenti. La promessa è ancora da mantenere; realizzarla adesso è il momento buono.
30 gennaio 2015