"Il Muro di Berlino, il suo cemento dell'arbitrio dello Stato, spezzò molti destini. Non c'è da meravigliarsi che, subito poche ore dopo l'apertura della barriera, la gente incominciò a demolire quel simbolo". Nel suo discorso a Bernauer Strasse, il giorno del 25 anniversario della caduta del Muro di Berlino, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha spiegato quel gesto collettivo dei berlinesi tra il 9 e il 10 novembre 1989; un gesto così straordinario da diventare uno spartiacque della storia europea e globale.
Ancor oggi, a 25 anni di distanza, raccontiamo la storia "prima" e "dopo" il Muro: non la storia tedesca, ma la storia di tutti.
Ciò avviene perché anche quel gesto collettivo di 25 anni era un gesto di molti, non solo dei berlinesi, non solo dei tedeschi. Angela Merkel lo sa bene, perché un quarto di secolo fa lei stava ad Est, era cittadina della Repubblica Democratica Tedesca.
Cominciò un Papa. Per questo accanto a sé per la festa a Berlino di domenica 9 novembre ha voluto particolarmente alcune persone. C'è il polacco Lech Walesa, l'operaio dei cantieri navali di Danzica, il fondatore di Solidarnòsc, il primo sindacato indipendente nell'Europa comunista. C'è l'ungherese Miklos Németh, che nel 1989 era presidente della Repubblica ungherese: decise di smantellare la frontiera fra Ungheria ed Austria e così offrì a migliaia di tedeschi dell'Est un passaggio sicuro alla Repubblica Federale di Germania. C'è Mikhail Gorbaciov, presidente dell'Unione Sovietica in quell'anno straordinario per l'Europa; il promotore della glasnost e della perestrojka nell'Unione Sovietica, tre settimane prima del 9 novembre 1989 aveva abbandonato al suo destino il capo del Partito comunista della Germania orientale Erich Honecker. Meno di un mese dopo la caduta del Muro, l'1 dicembre, è in Vaticano a stringere la mano a Papa Giovanni Paolo II.
Non fosse già nell'eternità e nella santità proclamata, oggi Papa Giovanni Paolo II sarebbe di sicuro qui, al posto d'onore. "Tutto quello che è successo nell'Europa Orientale in questi ultimi anni non sarebbe stato possibile senza la presenza di questo Papa, senza il grande ruolo, anche politico, che lui ha saputo giocare sulla scena mondiale", ha scritto nel marzo del 1992 proprio Mikhail Gorbaciov in un articolo per "La Stampa".
"Tutto quello che è successo" comincia nel giugno del 1979; Karol Wojtyla torna nella sua Polonia da Papa. È un viaggio trionfale che restituisce fiducia nel proprio destino a milioni di polacchi. E assieme a loro anche cechi e slovacchi, ungheresi e ucraini, lituani ed estoni sentono pronunciare a gran voce dal Papa che la divisione in due dell'Europa è transitoria, che il comunismo è solo una parentesi della storia. E l'anno dopo a Danzica nasce Solidarnòsc, un sindacato che si dà come nome una parola che ricorre nelle omelie di Giovanni Paolo II: solidarietà.
Vittoria di popoli e famiglie. Straordinaria Angela Merkel: dà risalto al mondo in cui è cresciuta, l'Europa dell'Est, la Cortina di ferro. Denominazione che ormai appartengono ai "miti", tanto sono distanti dalla nostra realtà, tanto sono stati davvero la "parentesi" evocata da Giovanni Paolo II.
La Cancelliera assicura: "Noi tedeschi non dimenticheremo mai che i movimenti per la libertà e la democrazia negli Stati dell'Europa centrale e orientale ci aprirono la strada verso il momento più felice della nostra storia recente. Pensiamo ad esempio a Charta 77 in Cecoslovacchia o a Solidarnòsc in Polonia. E come non ricordare anche lo smantellamento da parte ungherese delle barriere di frontiera con l'Austria e naturalmente la politica della glasnost e della perestrojka nell'Unione Sovietica".
Non cita gli americani, gli inglesi e i francesi alla festa delle nozze d'argento di tutta la Germania con la libertà. Eppure gli Alleati hanno consentito la sopravvivenza di Berlino, prima che il Muro fosse costruito e soprattutto finché il Muro è stato in piedi.
Non è ingratitudine.
Piuttosto la festa a Berlino racconta che 25 anni fa è finito il regime oppressivo, ma che continuava la storia di popoli e di famiglie che avevano trovato al loro interno il coraggio di sommergere quel regime. Non è stato l'Occidente a "regalare" la libertà, e forse non lo poteva neppure fare. Se la sono costruita.
La generazione Berlino. La festa è tale perché tutti si sentono a casa propria e ciascuno ha la certezza di aver contribuito a restaurarla. È una casa "grande" non solo come la Germania unificata, ma come l'Europa; non solo l'Europa politica ma l'Europa dei popoli che va dall'Atlantico agli Urali.
Niente parate militari, allora; niente cerimonie ufficiali: tutto come quella notte di 25 anni fa. Protagonista è la gente, giovani, famiglie: quelli che il Muro l'hanno abbattuto. A martellate; a picconate; strappato con i polpastrelli. Una festa così ricorda che il Muro non è "caduto", il Muro è stato demolito pezzo a pezzo, prima dai berlinesi dell'Est, poi dai berlinesi dell'Ovest, poi tutti i berlinesi insieme, per un'intera notte. E ora sono qui di nuovo, quelli di quella notte e quelli che sono venuti dopo, i loro figli. Dove c'era il Muro c'è una scia di settemila palloncini luminosi: e quando si alzano in cielo la gioia esplode. Come fosse Capodanno a Berlino. E come a Capodanno anche in questo 9 novembre i giovani sono arrivata in centinaia di migliaia a Berlino. Loro conoscono solo questa città, che in questi 25 anni è diventata la capitale mondiale dei giovani, probabilmente perché è loro… coetanea ed è cresciuta con loro.
Sono qui a Berlino a festeggiare il Capodanno di una storia che continua; noi non sappiamo dove ci porterà; loro, i giovani della generazione-Berlino, non se lo chiedono perché è la "loro" storia.
9 novembre 2014