EUROPEI

Se di fronte alla globalizzazione prevale la paura
Sovrani su tutto, padroni di niente
Senza una forza adeguata, la sovranità nazionale è una finzione; l'Unione Europea è una soluzione

di Tino Bedin

L'Europa è molto spesso vissuta (o presentata) come un problema. C'è questo problema? Lo si può risolvere?

La scelta tra forza e paura. Il nodo politico del problema europeo di oggi è questo: da un lato, vi è l'esigenza, profondamente sentita da governi e cittadini, di avere la forza necessaria al ruolo che gli europei potrebbero e dovrebbero giocare tra loro stessi e nel mondo, dall'altro lato c'è nei governi la difficoltà ad esercitare in forma collettiva il potere e c'è nei cittadini il timore di perdere il controllo di questo potere se "esce da casa". Ci si sente, insomma, più forti se si "esce" in Europa, ma più sicuri se ci si "chiude" in Italia (o in Irlanda, o in Francia, o in Olanda).
Invece di riconoscere questa loro difficoltà a scegliere tra forza e paura, sia governi sia cittadini quasi sempre, motivano il "problema Europa" con la "burocratizzazione" delle istituzioni dell'Unione.

L'eurocrazia occupa il vuoto voluto dalla politica. Il problema della burocratizzazione dell'Unione c'è ed è grave.
Anche questo problema, tuttavia, è prima nei protagonisti e poi nell'Unione. Bastano due cifre. La spesso temuta e vituperata "eurocrazia" europea ha meno funzionari della regione Lombardia. L'intero sistema delle istituzioni europee va avanti con l'1 per cento dei bilanci nazionali.
Con queste forze umane e finanziarie si può "comandare" solo se chi ha titolo per guidare non lo fa. La burocratizzazione è una conseguenza della depoliticizzazione dell'Europa.
I governi nazionali tendono a tenere basso il profilo politico dell'Unione anche perché solo così riescono a non apparire i veri responsabili della frustrazione creata dallo scarto tra le ambizioni che propongono all'Europa (ad esempio, in materia di immigrazione, di politica estera, di sicurezza e - anche - di ricerca e di infrastrutture) e l'avarizia della delega di poteri e di risorse. Bravi dunque a rivendicare i denari da Bruxelles, ma anche a scaricare a Bruxelles i costi delle riforme necessarie.
È in questo vuoto politico (voluto dai governi) che passa il potere della burocrazia europea e, talvolta, un liberismo esagerato, che impaurisce i cittadini.

Robinson Crusoe citato da Geoffrey Howe. Con questo comportamento i governi finiscono per limitare davvero il loro potere. L'Europa è, infatti, l'unico modo per i nostri Stati di recuperare peso reale e capacità di azione. Davanti alle sfide di questo tempo (clima, energia, immigrazione, lavoro, qualità sociale) gli Stati nazionali da soli non bastano. Vale per loro ciò che Geoffrey Howe osservava di Robinson Crusoe sulla sua isola: Robinson Crusoe era sovrano su tutto ma padrone di niente. Sir Geoffrey Howe aveva applicato questa osservazione alla sua isola, la Gran Bretagna. Egli è stato uno dei protagonisti dell'era thatcheriana nel Regno Unito: cancellerie dello Scacchiere e poi ministro degli Esteri appunto con Margareht Tatcher; nel 1990 si dimette perché la Thatcher decide di lasciare la Gran Bretagna fuori del Sistema monetario europeo.
Quello che valeva nel 1990 per gli inglesi, vale oggi per gli europei: costruire una sovranità adeguata a quelle sfide. La contrapposizione tra rafforzamento dell'Unione e perdita di sovranità nazionale è una falsa contrapposizione. Senza Europa, la sovranità è solo formale, una finzione. Da soli, i nostri Stati sono in balìa degli eventi globali.

Dimensione sopranazionale della cittadinanza. Resta invece aperta la profonda riflessione sul rapporto tra autorità e sovranità popolare, rapporto fondativo degli Stati democratici, che è in atto, non solo in sede accademica, ma anche nelle aule parlamentari e nelle opinioni pubbliche nazionali dei Paesi europei. Il diverso esercizio della sovranità nazionale esige una discussione circa la nuova dimensione della cittadinanza sovranazionale, che rischia di scontrarsi con i modelli tradizionali di organizzazione statale.
A richiedere questa discussione non è solo l'affermazione di entità sopranazionali, come l'Unione europea, ma anche l'aumento esponenziale dei flussi di informazioni che consentono ai cittadini di avere maggiore cognizione e consapevolezza delle cose che accadono non solo sul proprio territorio, ma più in generale sull'intero pianeta.
Questa possibilità di conoscenza e quindi di giudizio, invece che creare le condizioni per affrontare con consapevolezza il futuro, accresce nelle opinioni pubbliche le paure.

La globalizzazione tra sospetti e attese. I gridolini di giubilo del ministro italiano dell'agricoltura Zaia all'indomani del recente fallimento della trattativa sul Commercio mondiale, sono molto eloquenti, dicono tutta intera questa fuga dal futuro, anche a costo di abbandonare posizioni favorevoli. Ad esempio nella trattativa di Ginevra poi fallita, il negoziato sulle indicazioni geografiche dei prodotti agroalimentari stava avanzando con l'estensione del registro ad altri prodotti oltre a vino ed alcoolici. Come italiani avremmo ottenuto quello che volevamo; ora però la trattativa è fallita e quella parte non è entrata nel pacchetto concordato. L'Italia è un grosso esportatore di prodotti agricoli e industriali. Quindi ha bisogno della domanda dei mercati emergenti. Se si alzano muri protezionisti, si accelera il nostro declino relativo di fronte alla forza montante altrui.
Il ministro Zaia interpreta comunque una contraddizione diffusa. "Misurati" da Eurobarometro 2008, i cittadini europei ritengono che la globalizzazione produca effetti benefici in gran parte assorbiti dai profitti delle grandi multinazionali (63%), che non li protegga dalla crescita dei prezzi (61%) e, in definitiva, costituisca una minaccia all'occupazione e alle imprese (42% di europei, 41,5% di italiani). Di conseguenza, in Europa prevalgono il sospetto e la paura.
La maggior parte dei cittadini europei (64%) sostiene tuttavia che sulla globalizzazione è necessario scrivere una nuova pagina di regole comuni a livello mondiale.
L'Europa è esperta, perché lo ha fatto al proprio interno. Può rendere produttiva questa sua esperienza anche per altri nella grande partita degli scambi commerciali se ha una sua un'identità, per arrivare alla quale deve necessariamente portare progressivamente a unità le politiche dello sviluppo e della crescita. In questo modo, per tornare alla domanda iniziale, l'Europa unita non è un problema o un pezzo del problema; è una parte di soluzione ai problemi di una globalizzazione governabile e di una sovranità nazionale e di un controllo democratico adatti alle sfide di oggi.

17 agosto 2008


19 agosto 2008
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