EUROPEI

Operativo il Fondo di adattamento alla mondializzazione
Il lavoro è decisivo per l'Europa
A livello continentale il confronto sulla distribuzione dei benefici della crescita

di Tino Bedin

Sta per diventare operativo in Europa il Fondo di adattamento alla mondializzazione (FAM). Entrato in vigore il 1° gennaio 2007, il FAM dispone di 500 milioni di euro l'anno (per il periodo 2007-2013) per aiutare i lavoratori a seguito di operazioni di delocalizzazione delle loro imprese verso paesi terzi, vale a dire fuori dell'Unione Europea. Il regolamento del nuovo Fondo prevede che per beneficiarne, uno Stato membro ne faccia richiesta ufficiale, precisando il legame "chiaro" con la globalizzazione delle imprese e dimostrando che almeno mille lavoratori sono stati licenziati in un determinato settore, una regione o un'impresa in seguito ad un piano di ristrutturazione dell'impresa per cui lavoravano.
Il FAM è nato per finanziare solo misure "attive" di formazione o di ricerca di un lavoro per le persone licenziate, ma non può in alcun modo finanziare un'indennità di disoccupazione.

Il secondo grande adattamento. La scelta dell'Unione Europea di essere presente in quanto tale in questa fase di trasformazione economica è importante non solo per le risorse finanziarie che mette in campo, ma anche per la scelta politica che esprime.
L'Unione Europea si dimostra in grado di cogliere i momenti di passaggio della società europea e di saperli accompagnare: il Fondo di adattamento alla mondializzazione può essere paragonato, nella sua filosofia, all'insieme di politiche che l'allora Comunità Europea ha messo in campo per accompagnare la trasformazione della manodopera continentale da agricola ad industriale. La Politica agricola comune è frutto di scelte sociali prima che di scelte economiche.
Oggi i lavoratori europei si trovano di fronte ad un'analoga sfida: l'adattamento al mercato globale non per subirlo ma per essere in grado di influenzarlo e possibilmente di guidarlo.
In secondo luogo il FAM può diventare uno strumento di governo dell'economia continentale e di indirizzo verso il futuro. Inserendo orientamenti condivisi, privilegiando alcuni settori, favorendo aggregazioni tra imprese a livello continentale, il FAM potrebbe essere il "secondo pilastro" delle politiche economiche accanto alla Banca centrale europea per l'euro.

Aggiustamenti nell'applicazione, pensando all'Italia. Servono però alcune condizioni. Quella più attuale, quella che riguarda direttamente l'Italia, è una ridefinizione dell'operatività del Fam più adeguata ai "numeri" dell'economia italiana.
Così come sono attualmente indicati nel regolamento di applicazione, questi numeri non corrispondono alle esigenze di gran parte della società italiana. Mille lavoratori di un'azienda sono una "eccezione" non la regola. Più realistico e più normale è invece il riferimento a mille posti di lavoro che complessivamente la delocalizzazione di un'impresa può mettere in discussione in un'area geografica. Faccio un esempio drammatico che riguarda la provincia di Padova in queste settimane con la "soppressione" Magrini-Galileo di Battaglia Terme decisa dalla Siemens. I posti di lavoro diretti sono assai meno di quelli previsti per attivare il FAM. L'insieme delle persone che rischiano il lavoro (non solo il posto, ma la possibilità di guadagnare) si avvicina invece alle previsioni del FAM.
Occorre che al più presto l'Italia si adoperi per un'applicazione adeguata alla propria economia.
Il secondo "aggiustamento", anch'esso operativo, è il Fam non sia gestito solo amministrativamente, ma politicamente: le decisioni dovrebbero essere portate in una sede comunitaria, in modo che la progressiva applicazione determini anche un indirizzo economico di carattere generale.

Le più recenti proposte di Jacques Delors. Ho detto prima che uno degli aspetti politicamente interessati di questo nuovo strumento europeo per l'occupazione è che esso può costituire anche uno strumento per il governo dell'economia.
L'urgenza di uno strumento che si affianchi alla Banca centrale europea è stato ribadito nei giorni scorsi da Jacques Delors. Presentando a Bruxelles il libro "The New Social Europe", di cui è coautore assieme al presidente del Partito dei Socialisti Europei (PSE) Poul Nyrup Rasmussen, l'ex presidente della Commissione europea ha dichiarato che "qualora vi fosse, affianco al Trattato costituzionale un protocollo sociale saggio e ragionevole, ciò permetterebbe di riavvicinare le opinioni europee" e di uscire dall'impasse istituzionale.
Fra le cinque misure europee possibili Jacques Delors indica al primo posto proprio la necessità di aggiungere il patto di coordinamento delle politiche economiche (che egli aveva proposto dalla nascita della moneta unica) al Patto di stabilità, per permettere finalmente all'Unione economica e monetaria (UEM) di appoggiarsi su due gambe.
Delors propone inoltre di:
- unificare rapidamente nell'area dell'euro la base imponibile dell'imposta sugli utili delle imprese, quale primo passo verso l'armonizzazione dei tassi o fissare un tasso minimo, per eliminare la concorrenza fiscale tra gli Stati, pericolo mortale per l'Unione;
- introdurre il principio di un salario minimo, che non sarebbe uniforme, ma in relazione con la situazione economica e la ricchezza di ogni Stato membro;
- moltiplicare per tre nel bilancio comunitario la dotazione del programma Erasmus per gli scambi di studenti, programma che rappresenta uno dei grandi successi della politica europea;
- attribuire ad ogni giovane che non abbia completato la propria formazione prima di accedere al mercato del lavoro un "assegno di istruzione" di due anni che potrà utilizzare più tardi per completare o aggiornare la propria formazione;
- definire una legge quadro europea per i servizi di interesse economico generale.

Premiare i lavoratori, non solo gli azionisti. Il momento per una riflessione che riavvicini gli europei all'Europa sembra propizio. Finalmente, infatti, si comincia a mettere in discussione il "pensiero unico", secondo cui le uniche regole che contano sono la moderazione salariale e la mobilità dei lavoratori. Va in questa direzione la dichiarazione firmata il 14 febbraio a Parigi da nove Stati membri (Francia, Italia, Spagna, Belgio, Grecia, Ungheria, Lussemburgo, Bulgaria e Cipro) che chiede un nuovo impulso per l'Europa sociale.
In questa direzione va soprattutto l'annuncio di Jean-Claude Juncker, presidente dell'Eurogruppo, relativo in merito alla riflessione tra i ministri dell'economia e delle finanze dell'area dell'euro a proposito della ridistribuzione dei benefici della crescita.
Il dibattito sulla ridistribuzione dei benefici della crescita è indispensabile e, ha detto Juncker. Le ragioni sono state riassunte da due importanti figure europeo: il ministro tedesco delle finanze, Peer Steinbrück, presidente del Consiglio Ecofin, ha affermato che gli utili delle imprese e degli azionisti sono saliti alle stelle, mentre si sono constatate diminuzioni dei redditi dei salari più bassi e delle classi medie; il commissario europeo agli affari economici e monetari, Joaquin Almunia, ha osservato che la quota dei salari nel reddito globale degli Stati membri è al livello più basso da parecchi anni e che non pensa che questo stato di cose sia sostenibile.

4 marzo 2007


27 marzo 2007
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Tino Bedin