Il Consiglio europeo ha fatto le "ore piccole" il 17 dicembre par raggiungere un accordo sulle prospettive finanziarie 2007-2013 il cui volume globale sarà di 862,363 miliardi di euro (cioè 1,045 per cento del Prodotto interno lordo dell'Unione Europea). Questa "finanziaria europea" prevede la soppressione progressiva del rimborso agli inglesi su tutte le spese legate agli allargamenti dell'Unione (tranne quelle della politica agricola comune) fino al 2013 come termine ultimo, e comprendono una clausola di revisione in vista di una revisione di fondo, sin dal 2008, di tutte le spese e risorse dell'UE in vista del prossimo bilancio 2014-2020.
Questa clausola di revisione consentirà di rivedere tutti gli aspetti del bilancio sin dal 2008 (in base ad una relazione della Commissione), in vista di preparare i negoziati sul bilancio 2014-2020. L'Unione Europea si doterà di un bilancio più razionale e il negoziato finanziario, nel 2013, non sarà più dominato dallo sconto britannico o dalla politica agricola, ma dalla ricerca di sapere in quali settori una Unione europea moderna e competitiva intende collocare le sue priorità di bilancio.
Al Parlamento europeo l'ultima parola
L'accordo raggiunto non è né perfetto né bello, ma accettabile. È certamente lontano dalle proposte di chi chiedeva 8 miliardi di euro in più rispetto alla proposta ora approvata, ma anche su questo punto non è detta l'ultima parola: il Parlamento europeo può fare l'ultimo passo avanti per migliorarla.
Ma se il Parlamento dell'Unione non riuscisse a superare l'accordo raggiunto tra i governi, occorre avere la consapevolezza che la dimensione finanziaria dell'Unione Europea non esaurisce la politica comunitaria. Era certamente un'esagerazione affermare fino a venerdì che l'Europa era persa con una dotazione equivalente a 1,03 del suo reddito globale, ma si esagererebbe ora ad affermare che con l' 1,045 per cento è in salvo.
Il punto importante risiede nel fatto che il Consiglio europeo ha espresso la volontà di riaffermare il principio di solidarietà destinando i 16 miliardi di euro al miglioramento della situazione dei dieci nuovi Stati membri, senza tuttavia dimenticare il finanziamento della ricerca, dell'innovazione e dello sviluppo rurale. Questi miliardi addizionali saranno utilizzati per il futuro dell'Unione e non per fare regali a taluni Stati. Si è riusciti a mantenere la parola data ai nuovi Stati membri, senza sfociare in misure discriminatorie per i paesi "contribuenti netti", cioè che versano all'Unione più di quanto ricevono.
Isolate le minacce dell'Italia
ATra questi paesi "contributori netti" c'è la Germania. Tutti i commentatori hanno indicato la nuova cancelliera Angela Merkel quale protagonista dell'accordo. Il ruolo giocato dalla cancelliera tedesca è stato essenziale. Se la Germania, il più grande contribuente, avesse detto che l'1,03 per cento del RNL era troppo non si sarebbe mai raggiunto un accordo. La posizione della Merkel ha confermato una caratteristica costante di mezzo secolo di storia dell'Europa unita: nei momenti difficili, la Germania è sempre dal lato giusto, andando persino aldilà di ciò che sarebbe la sua parte equa del costo dell'impresa. Ed ha al tempo stesso confermato che i paesi d'Europa centrale e orientale possono contare sul suo sostegno nelle Istituzioni comunitarie.
Pur in una situazione finanziaria difficile la Germania ha mostrato ancora una volta la sua leadership in Europa. Ben diversa la posizione dell'Italia che è stata ancora una volta assente dal confronto, si è arroccata nella miope difesa di interessi nazionali, al punto che è rimasta l'unica ad un certo momento a minacciare il diritto di veto assieme alla Polonia.
Saper spendere i soldi
Certo, ci sono obiettivi per i quali il finanziamento europeo è indispensabile: la politica di coesione (per far progredire i paesi in ritardo), la politica agraria (per mantenere l'attività agricola in tutto il territorio), alcune reti transeuropee (che sarebbero fortemente ritardate e i cui tratti che attraversano i confini non sarebbero mai ultimati in assenza di sostegno comunitario). Ma in altri settori, come la strategia di Lisbona, l'essenziale è nelle mani degli Stati membri perché le riforme nazionali, non possono essere fatte a Bruxelles. Comunque, il modo in cui gli stanziamenti sono usati è spesso più importante dell'importo dei finanziamenti (alcune regioni italiane che ricevono la manna europea da mezzo secolo non hanno progredito, mentre altrove, altre regioni hanno fatto passi da gigante in una diecina d'anni).
18 dicembre 2005