Indagine del Comitato parlamentare Schengen
Immigrazione: inutili le regole nazionali
Un fenomeno planetario che si governa con intese multilaterali
Il Comitato parlamentare di controllo su Schengen Europol ed Immigrazione ha condotto una approfondita indagine su "Gestione comune delle frontiere e contrasto all'immigrazione clandestina in Europa". I risultati dell'indagine sono stati illustrati e commentati nel corso di un convegno pubblico che si è svolto martedì 19 aprile 2005 nella Sala della Sacrestia della Camera dei Deputati, con l'intervento del commissario europeo all'immigrazione Franco Frattini.
Il senatore Tino Bedin, capogruppo della Margherita nel Comitato Schengen, è stato fra parlamentari più attivi nell'indagine ed ha svolto una delle relazioni al convegno. Ne riportiamo il testo:
relazione di Tino Bedin capogruppo nel Comitato Parlamentare Schengen
Il documento che conclude l'indagine parlamentare su "Gestione comune delle frontiere e contrasto all'immigrazione clandestina in Europa" ha trovato il consenso del Comitato bicamerale Europol Schengen Immigrazione. Il consenso non è né scontato né usuale su un tema quale è quello della mobilità delle persone sul pianeta. Nel nostro caso ci siamo arrivati sia perché il percorso dell'indagine è stato elaborato consensualmente, sia perché - al di là di accentuazioni e di sottolineature che anche in questa sede sono state fatte e saranno fatte - le conclusioni danno il senso di un approccio aperto del nostro lavoro.
L'immigrazione incalza, incrocia, inquieta la società italiana. Le risposte legislative sono politiche, ma anche esistenziali e quindi per loro natura incomplete e modificabili. Non volevamo perciò dimostrare una tesi, ma ricercare gli spazi e le prospettive per la gestione di una condizione umana, economica, culturale con la quale confrontarci e non tanto scontrarci.
Questo è lo spirito delle conclusioni della nostra indagine. Lo si è colto anche nella presentazione che è stata fatta dal presidente del Comitato. Lo abbiamo ascoltato nei programmi e nelle valutazioni del vicepresidente della Commissione Europea.
Quanto ai risultati, l'indagine ci consente di condividere alcune constatazioni: la mobilità delle persone è condizione globale che sarebbe illusorio affrontare singolarmente dai singoli Stati; la realtà dei fatti rende velleitaria qualsiasi barriera e fa optare per regolamentazioni; le esigenze dei paesi d'origine sono almeno altrettanto rilevanti dei paesi di accoglienza degli immigrati; le risorse individuali e non solo collettive degli immigrati suggeriscono strumenti di selezione e valorizzazione delle competenze; la salvaguardia dei diritti umani è la premessa di ogni politica della mobilità economica sul pianeta.
L'articolazione dei tempi del convegno mi consente solo brevi "sommari" esplicativi ai "titoli" dell'indice che ho suggerito.
Una necessità strutturale
Dovendo indicare il risultato politico più rilevante di questa nostra indagine, non ho dubbi nel richiamare l'attenzione sulla verificata dimensione non strettamente nazionale dei movimenti di popolazione nel nostro tempo. Uno dei limiti dell'azione politica italiana di questi ultimi anni è stato infatti la duplice e contrastante pretesa da una parte di decidere in proprio le regole sull'immigrazione e dall'altra di chiedere la "protezione" della comunità internazionale e soprattutto dell'Unione Europea nell'applicazione di queste regole e quindi nel contrasto dell'immigrazione clandestina. Così - date le competenze del Comitato parlamentare Europol Schengen Immigrazione - se il punto di partenza è stato quello proposto dal titolo dell'indagine, il punto di arrivo può essere sintetizzato da questa consapevolezza, che cito dalle conclusione: "La migrazione internazionale appare come una necessità strutturale che deve essere governata con programmi specifici, adottando, come da più parti è richiesto, un approccio regionale, che salvaguardi la specificità dei diversi contesti geopolitici e la collaborazione fra paesi appartenenti alla stessa area".
E per quanto riguarda la dimensione europea un altro punto di arrivo si trova in queste altre due conclusioni: "Il cammino verso una politica comune in materia di immigrazione ed asilo, che è alla base della concreta realizzazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, non è ancora giunto a termine... È tuttavia opportuno che la politica europea non si limiti a controllare o a respingere l'immigrazione clandestina ma "apra" all'immigrazione legale nuovi canali che tengano conto delle diverse esigenze del sistema economico-produttivo di ogni Paese: una buona politica di immigrazione legale può così diventare lo strumento più efficace per combattere l'immigrazione clandestina".
Alla verifica del decreto-flussi
Si tratta di scelte inevitabili, come dimostra il decreto flussi emanato dopo la conclusione della nostra indagine.
Complessivamente nel 2005 l'Italia ammette 160.000 lavoratori stranieri. Infatti il decreto che regola i flussi migratori riserva 79.500 ingressi a lavoratori di paesi extracomunitari, di cui 25.000 stagionali. Complessivamente si tratta dello stesso numero del 2004, ma al suo interno gli stagionali sono stati dimezzati .
Questo significa che la stabilizzazione delle presenze è considerata una condizione di migliore gestione della situazione. Significa prendere atto di quello che gli organismi delle Nazioni Uniti hanno ormai verificato in merito alla natura strutturale degli spostamenti di persone nel pianeta.
In più nel decreto-flussi per il 2005 vengono aggiunti altri 79.500 posti per lavoratori provenienti dai dieci paesi entrati nel 2004 nell'Unione Europea, il che equivale a riconoscere che nell'area comunitaria questo è il flusso che si genera spontaneamente e che non sarebbe possibile contrastare. Questo corrisponde a quell'approccio regionale che abbiamo indicato come strumento di governo del fenomeno e corrisponde anche all'obiettivo di preparare nei fatti la libera circolazione dei lavoratori nell'Unione Europea nel periodo di transizione previsto dai trattati di adesione dei paesi neocomunitari.
Al conto degli ingressi legali che abbiamo citato bisogna poi aggiungere i ricongiungimenti familiari.
In proporzione alla popolazione, l'Italia accetta lo stesso numero di immigrati degli Stati Uniti, circa un milione in una popolazione cinque volte più grande.
Meno cittadinanza, meno sicurezza
Gli immigrati negli Usa sono tuttavia assai più numerosi se si calcolano gli irregolari, stimati tra 8 e 12 milioni, fatto che richiede in qualche modo di essere governato. È un dato che abbiamo verificato anche noi nei nostri incontri a New York con i rappresentanti della municipalità, che sono stati illuminanti non solo perché ci hanno fatto conoscere un fenomeno di cui poco si parla e che sembrerebbe inconcepibile con la blindatura degli Stati Uniti dopo l'11 settembre, ma anche perché ci hanno confermato l'approccio pragmatico: accettare l'immigrazione non regolare, senza provvedere all'organizzazione dei diritti ma solo a quella dei doveri degli immigrati, non è una prospettiva di sicurezza per gli Usa.
In effetti il presidente Bush, dopo la sua rielezione, si dimostra consapevole che non si può confidare solo su azioni di controllo e, nonostante l'ostilità di buona parte del suo partito, è intenzionato a procedere ad una sorta di regolarizzazione dei clandestini, soprattutto ai fini della sicurezza interna. Intanto la legge di bilancio 2006 ha attribuito un sostanzioso aumento di risorse al Dipartimento per la sicurezza: lo scopo è quello di arrivare alla legalizzazione, attraverso il "riconoscimento civile" di questi milioni di persone.
In questa maniera gli Stati Uniti daranno un contributo decisivo alla realizzazione del Puebla Process, che ha coinvolto Canada, Messico e Stati Uniti e che si è ora esteso ad altri paesi del Centroamerica e alla Repubblica Domenicana, che abbraccia la gestione dell'immigrazione, ma anche i diritti umani, la cooperazione internazionale e le relazioni economiche più generali.
L'Italia avanguardia d'Europa
Il Puebla Process è un esempio di approccio globale, al quale ci si potrebbe rifare per l'area euromediterranea.
Il decreto-flussi del 2005 conferma infatti che, in Europa l'Italia è, con la Spagna, il maggiore magnete migratorio. Ciò le imporrebbe di accreditarsi come paese europeo di avanguardia, capace di creare politiche per l'accoglienza e l'inserimento, e non solo controlli e rifiuti. Del resto, la necessità di incamminarsi su questa strada è stata riconosciuta anche dalla Commissione europea, che l'11 gennaio scorso ha emesso il Libro verde sull'approccio dell'Ue alla gestione della migrazione economica, con il quale sollecita una discussione e contributi.
Un criterio politico del nuovo corso di gestione potrebbe essere quello di considerare non solo le esigenze dei paesi accoglienti, ma anche quelle dei paesi d'origine. In altre parole, l'Europa dovrebbe interrogarsi sulle cause che provocano immigrazione per noi (cioè emigrazione per i paesi extracomunitari), e sulla necessità di cooperare con loro per ridurre questa pressione. Intendo dire una cooperazione non solo poliziesca.
Le sperimentazioni suggerite dalla Commissione Europea sono tutte interessanti.
Una è l'approccio orizzontale per disciplinare l'ingresso e soggiorno di lavoratori stranieri che si fermano più di tre mesi in uno stato membro, prevedendo disposizioni specifiche per esigenze particolari quali il lavoro stagionale o il distaccamento intrasocietario. In questo modo si creerebbe una disciplina comune globale molto flessibile. Un'altra proposta è la procedura comune accelerata per l'ammissione di lavoratori nei casi di carenza di manodopera e qualifiche specifiche, da adottarsi quando un certo numero di stati membri ottenga l'autorizzazione dal Consiglio. Potrebbe poi essere accordata la cosiddetta preferenza comunitaria, a quei cittadini stranieri che già lavorano in uno stato membro perché si spostino in altri stati. Analogamente potrebbero essere privilegiati coloro che hanno già lavorato nell'Unione europea in passato.
I "talenti" delle singole persone
Un'altra buona idea, suggerita dalle conclusioni di una ricerca dell'università Luiss, potrebbe essere quella di costituire una banca dati nazionale in cui si possano registrare sistematicamente e in tempo reale i dati anagrafici e professionali dei cittadini extracomunitari che entrano in Italia e con cui far incontrare, senza forma alcuna di intermediazione, la domanda di lavoro degli imprenditori italiani con l'offerta dei lavoratori immigrati. In questo modo si potrebbero snellire le procedure di assunzione e dunque di inserimento degli immigrati nel mondo del lavoro e compensare prontamente eventuali carenze di manodopera in determinate aree territoriali con eventuali surplus in altre zone d'Italia, evitando ritardi ed inefficienze.
Con questo strumento l'Italia potrebbe contribuire concretamente, oltre che politicamente, a definire una strategia europea per gestire i flussi migratori come leva per lo sviluppo.
Una gestione cioè che non si "accontenti" di prendere atto dell'attrazione che l'Unione Europea esercita sia al proprio interno che all'esterno nei confronti di alcune categorie di lavoratori, ma sia in grado di selezionare le risorse umane che giungono sul suo territorio e di conoscere chi entra in Europa.
Questa politica è particolarmente necessaria per attrarre in Italia i "talenti" dal resto del mondo, visto che è estremamente basso il numero di studenti e di ricercatori extraeuropei presenti Italia, eppure la nostra qualità della vita e la tradizione delle nostre università dovrebbero consentirci di primeggiare in questo campo.
Si tratta di proposte avanzate dai Giovani Imprenditori di Confindustria. Essi hanno verificato anche l'urgenza di altre iniziative: cambiare il sistema delle quote; incentivare la legalità degli immigrati per aumentare la sicurezza; semplificare le procedure.
Cominciando dai diritti umani
Dobbiamo guardare avanti e guardare avanti insieme. Per questo concludo richiamando il lungo elenco di azioni suggerite al governo italiano dalla Commissione diritti umani del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, che ha compiuto una visita in Italia dal 7 al 17 giugno 2004, su invito dello stesso governo italiano. Il suo scopo era duplice: assumere informazioni sulla sicurezza delle frontiere e sull'accoglienza dei clandestini; verificare l'impatto della riforma introdotta dalla legge 189 del 2002 "Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo" sulle politiche di integrazione. Particolare attenzione è stata posta al traffico di esseri umani, ai richiedenti asilo e ai minori non accompagnati.
Il rapporto, presentato nel novembre 2004, si conclude con una serie di raccomandazioni che qui sintetizzo, non solo come ulteriore elemento di documentazione per il lavoro svolto dal nostro Comitato Schengen Europol Immigrazione, ma come personale condivisione del percorso che abbiamo davanti, percorso che non può non partire dalla valorizzazione dei diritti umani.
Su questo terreno il Rapporto impegna l'Italia a ratificare la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e i membri delle loro famiglie, e la Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, e il protocollo connesso.
Ma cito anche: fare in modo che chi chieda l'asilo non cada nell'illegalità; risolvere il problema della casa; rendere disponibili insegnanti di italiano e mediatori culturali, specialmente nei rapporti tra scuola e famiglia; migliorare l'assistenza sanitaria dei clandestini, specie in campo pediatrico, della maternità e delle malattie sessualmente trasmettibili.
Un capitolo della difesa dei diritti umani riguarda la protezione dei migranti contro la tratta di esseri umani, nelle sue varie forme, sempre gravi e alcune tragiche. Per questo obiettivo ci sono alcuni suggerimenti operativi anche molto diversi tra loro: mettere in atto programmi di cooperazione allo sviluppo e punti informativi nei consolati; coinvolgere le regioni e le forze sociali nel mercato del lavoro italiano che assorbe gli immigrati; rendere più agevole il rinnovo del permesso di soggiorno; introdurre i visti per lavoratori che si rivolgono a piccole imprese o autonomi, come quelli che curano gli anziani o che lavorano negli alberghi; armonizzare le qualifiche e le professionalità e ridurre gli incidenti sul lavoro, favorire la mobilità professionale.
Anche per i rischi derivanti dalla criminalità ci sono degli antidoti: per i prigionieri stranieri - raccomanda l'Onu - creare alternative al carcere, accordi con i paesi di origine e occasioni di riabilitazione con il lavoro; analizzare la relazione tra discriminazione tra immigrati quanto all'accesso al lavoro e l'alta percentuale di stranieri in prigione per reati minori; rendere disponibili interpreti nelle prigioni.
Il rapporto cita poi un caso specifico e chiede all'Italia di assicurare assistenza sanitaria a coloro che arrivano a Lampedusa. La priorità a Lampedusa dovrebbe essere la corretta identificazione degli immigrati e non l'immediato trasferimento. In linea generale ci è chiesto di sviluppare programmi di ritorno volontario in patria.
Ho tenuto per ultima la situazione di Lampedusa, sulla quale abbiamo registrato il richiamo recente del Parlamento europeo, perché anche in questo caso al netto dissenso nei confronti delle scelte compiute dal governo, ho voluto premettere le condizioni di una politica attiva, che mi auguro sia l'asse portante di ogni politica nel settore, proprio come emerge dalla nostra indagine.
"Lo stile e la cultura del dialogo sono particolarmente significativi rispetto alla problematica delle migrazioni, rilevante fenomeno sociale del nostro tempo", ci ricordava infatti papa Giovanni Paolo II, di venerata memoria, nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace, l'1 gennaio 2001.
Roma, 19 aprile 2005 |