EUROPEI

Conferenza all'Istituto alberghiero Algarotti di Venezia
Siamo diventati europei
per sentirci più sicuri

Pace, pensioni, polmonite atipica: ci chiediamo cosa fa l'Europa, pronti ad affidarle le nostre "sicurezze", più di quanto non pensino i governi

La Giornata dell'Europa, 9 maggio, è stata celebrata dagli studenti medi veneziani con un incontro nell'aula magna dell'istituto alberghiero Algarotti. Tra gli altri gli studenti hanno ascoltato il senatore Tino Bedin, membro dell'Intergruppo parlamentare per la Costituzione europea. Riportiamo la parte centrale della suo intervento.

di Tino Bedin Intergruppo parlamentare per la Costituzione europea

Ci sono governi che per nostalgia di una gloria nazionale ormai al tramonto (il Regno Unito e, sempre meno, la Francia), per convenienze di politica interna (i paesi mediterranei) o per riflessi ancora condizionati dall'esperienza sovietica (nuovi membri dell'Est), sono portati a difendere il loro limitato e sempre più effimero potere statale nei confronti dell'Europa politica. Un'Europa che i cittadini ormai sentono come un bisogno.

"Ma cosa fa l'Europa?". L'Europa è passata da ambizione a bisogno. È ancora un'ambizione, certo, per molti che l'hanno sempre considerata tale. Il Movimento che organizza la Giornata dell'Europa, ad esempio, ha scelto la data del 9 maggio come Festa dell'Europa, non perché in questo giorno sua "successo" qualcosa, ma perché il 9 maggio del 1950 Robert Schuman tenne a battesimo la Casa europea con una Dichiarazione: un'ambizione, appunto.
Quell'ambizione di Europa è continuata nei decenni ed ha prodotto molti fatti. Quando l'Europa era poca cosa in dimensioni ed anche in ruoli, quell'ambizione si è diffusa nelle opinioni pubbliche. Era una idea bella e generosa alla quale non si poteva non esprimere simpatia.
Mano a mano che l'Europa è cresciuta in dimensioni ed in ruoli, una parte dell'opinione pubblica ha cominciato ad assumere un atteggiamento diverso. Un po' come i genitori con i figli ormai grandi, anche i cittadini europei hanno cominciato a chiedere all'Europa di dimostrare quello che è capace di fare. Sempre più spesso sentiamo dire, sempre più spesso diciamo: ma cosa fa l'Europa? Di fronte alle difficoltà, sempre più spesso ci pare che da soli non sia più possibile superarle e ci diciamo che ci vuole l'Europa.
Cosa fa l'Europa per la pace e per la guerra in Iraq? Anche dopo che le ostilità sono finite, la maggioranza degli italiani si è detta convinta che ci starebbe bene l'Europa per dare certezze al dopo-Saddam.
Cosa fa l'Europa per le pensioni? Dobbiamo lavorare più a lungo? Dobbiamo prendere meno pensione? Tu Europa che sei grande e hai tante esperienze, forse riesci a trovare la soluzione che noi da soli non troveremo. Datti da fare, dunque.
E se arriva la polmonite atipica, ci appare indispensabile non solo che seguiamo tutti in Europa le stesse regole, ma che - già che ci siamo - mettiamo insieme la ricerca. E così martedì scorso il commissario europeo alla Salute, l'irlandese David Byrne, ha insistito perché l'Europa abbia il suo centro di controllo delle malattie, sul modello del "Center for Disease Control" americano, che ha sede ad Atlanta. Ma non era un'idea di Bruxelles: la richiesta è stata fatta da Girolamo Sirchia, ministro italiano della Salute, e il suo collega greco Kostas Stefanis gli ha subito dato ragione. Il 2 giugno in Lussemburgo si passa alle proposte concrete.
I tre esempi hanno in comune solo l'attualità. Per il resto riguardano temi, problemi, scelte in campi diversissimi: dalla pace allo stato sociale alla salute. Sono tre "sicurezze" esistenziali che la gran parte delle opinioni pubbliche europee è disposta ad affidare all'Europa, avvertendo che in questa dimensione sono meglio garantite.

Il torneo per la "coppa" del Trattato costituzionale. Siamo oltre il punto di non ritorno nella costruzione di una vera e propria sovranità europea, che procede ininterrottamente, a partire dagli anni Cinquanta, e che ha attraversato una sorta di Rubicone non solo istituzionale ma di cittadinanza con l'introduzione della moneta unica e prima con la creazione di un territorio unico con lo spazio di Schengen.
Ecco la sfida che hanno di fronte i governi.
Se l'Europa diventa un'esigenza dei cittadini e non solo un progetto politico, essa potrebbe assumere direzioni e velocità che i governi non riescono a controllare, prima di aver adeguato gli ordinamenti interni.
Se l'ambizione degli europeisti si può anche non seguire, al bisogno di Europa dei loro cittadini i governi democratici non possono non dare risposte.
Il torneo tra opinioni pubbliche e governi è in corso ed è arrivato al girone finale. La coppa in palio è il Trattato costituzionale.
È una finale che si gioca in due partite di andata e ritorno. Attualmente la si gioca nello "stadio" della Convenzione europea, dove le opinioni pubbliche si sentono di più in casa. Il ritorno si giocherà allo "stadio" della Conferenza intergovernativa, che è decisamente il terreno di gioco dei governi. Il recente Consiglio europeo di Atene ha chiesto alla Convenzione di concludere i lavori entro il 20 giugno, siano essi soddisfacenti o meno.
Inevitabilmente le due squadre tendono a sfruttare al meglio il "fattore campo". Le incertezze sul calendario e sul contenuto delle decisioni finali della Convenzione ed in particolare della Cig comportano infatti incognite e suscitano preoccupazioni nelle opinioni pubbliche. Non arrivare con un risultato chiaro alla fine dei lavori della Convenzione, significa dare maggiore spazio alla Conferenza intergovernativa.
Alcuni risultati della Convenzione sono comunque già acquisiti e su di essi penso che non si ritornerà, come la personalità giuridica dell'Unione, l'inclusione della Carta dei diritti fondamentali nel Trattato e così via. Ha recentemente osservato Jacques Delors: "Non si deve dimenticare che le scorse conferenze intergovernative erano fallite proprio su questi punti, cosicché si può affermare giustamente che la Convenzione ha già fatto il lavoro di due o tre CIG. E poi, ci sono i progressi, a volte rilevanti, realizzati su diversi capitoli". Per la partita fuori casa i sostenitori dell'Europa politica hanno quindi una buona differenza-reti.

L'Italia nella squadra europeista? La decisione di Atene potrebbe perciò essere l'espressione di una "certa irritazione delle diplomazie nazionali" che "non vogliono più la Convenzione", soprattutto perché, qualora i suoi lavori continuassero ad essere un successo, il metodo della Convenzione potrebbe essere applicato anche alle revisioni future del trattato.
I capi di Stato e di governo non sono dunque ancora pronti ad accettare che si sviluppi un potere europeo. Sempre ad Atene, al vertice per l'allargamento, la nota e sempre esplicitamente dichiarata intenzione degli inglesi si impedire la strutturazione comunitaria, sovranazionale dell'Unione Europea, deve aver trovato terreno fertile. Di ritorno da Atene il presidente della Convenzione Valery Giscard d'Estaing ha ritenuto di dover provocare lo scontro fra le due posizioni contrapposte: quella comunitaria sovranazionale e quella "sovranista" intergovernativa. Giscard ha fatto capire che se non si troverà un compromesso, la Convenzione dovrà consegnare alla Conferenza intergovernativa due opzioni, trasferendo lì i negoziati e la definizione del Trattato costituzionale. Alla Cig vige il diritto di veto e più facilmente vince Blair.
Decisivo risulterà il semestre di presidenza italiano, in cui si svolgerà la Conferenza intergovernativa e sarà varato il Trattato costituzionale. Non pretendo che il Governo italiano faccia l'arbitro. Non sarebbe nemmeno giusto, visto il peso ed il ruolo storico dell'Italia. Importante è che il governo scenda in campo per rafforzare ed attualizzare la grande tradizione europeista italiana.
Per una fortunata coincidenza l'Italia è arrivata al semestre di presidenza non solo con il proprio governo, ma anche con altri due protagonisti: il presidente della Commissione europea Romano Prodi e il vicepresidente della Convenzione Giuliano Amato. Vogliamo augurarci che questa sia davvero un'opportunità per l'Italia in Europa, anche se non posso nascondere le preoccupazioni per il clima di questi giorni.

Lo spazio della cittadinanza europea. Questi tre italiani per l'Europa: Berlusconi, Prodi e Amato potranno contare sull'alleanza delle opinioni pubbliche europee. Oggi dai cittadini europei proviene una precisa richiesta di completamento della costruzione europea. Essi chiedono un'Unione più democratica, più vicina ai cittadini, più efficiente nelle sue istituzioni.
Questi cittadini hanno appreso che si può discutere di Europa. L'operato della Convenzione è in tutti i modi positivo, perché ha cambiato le procedure dell'Unione. Ha osservato Jacques Delors nella stessa intervista: "Qualsiasi sia l'esito finale, avrà rilanciato il dibattito europeo al di fuori degli ambienti specializzati, avrà suscitato l'interesse crescente dei Parlamenti nazionali e preparato discussioni più ampie con i cittadini. Nella Convenzione, è stato possibile ricominciare a sognare l'Europa". Dunque, se il lavoro di riforma del trattato deve protrarsi oltre il mese di giugno, bisogna affidarlo alla Convenzione, in cui sono rappresentati governi e parlamenti, e che, quindi, ha una legittimità maggiore di una Conferenza intergovernativa.
Il punto centrale, sul quale l'Italia gioca la sua storia di paese fondatore e federatore, è la continuità e l'aggiornamento del modello comunitario.
Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha recentemente detto che occorre evitare di impelagarsi nella "disputa lessicale fra i sostenitori del modello federale e quelli del modello confederale".
È vero: poco importa se nel testo della Costituzione europea ci sarà o no la parola "federale". Ma importa molto che ci sia la concezione della sussidiarietà dei vari livelli dei poteri politico-amministrativi e l'organizzazione delle istituzioni per gestirli anche a livello sovranazionale, che costituiscono appunto il federalismo. Ed importa molto che vengano definite le politiche che si decide di fare in comune, non solo nel campo economico, ma anche sociale, ma anche nella politica estera e di sicurezza. Importa estendere le competenze europee alle materie del cosiddetto "terzo pilastro", quali la giustizia e gi affari interni. Importa che siano definiti gli strumenti istituzionali, le procedure ed i finanziamenti per attuarle. Importa che queste istituzioni comuni siano strutturate in modo da costituire un vero e proprio "governo" europeo (democraticamente responsabile di fronte al Consiglio che lo designa e al Parlamento che lo elegge), perché altrimenti quelli politiche non si potrà né definirle né attuarle. Importa dunque che sia istituzioni comunitarie, sovranazionali, non istituzioni intergovernative.
Si compirà così quello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, preconizzato fin dal 1999 ad Amsterdam. Quest'unico spazio giuridico e di relazioni civili, fondato sulla cittadinanza europea, i cui termini di qualificazione sono definiti nella Carta europea dei diritti, vuole fondare una comune società civile nel nostro continente che, oltre al mercato unico e alla moneta, si proponga come una grande realtà politica nel mondo globalizzato.

9 maggio 2003

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13 maggio 2003
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