Una risoluzione della Giunta affari europei del Senato
La forza pacifica dell'Europa anche nel Mediterraneo
E gli americani ritroveranno se stessi più nelle scelte dell'Unione che in quelle di Bush
La Giunta affari europei del Senato ha approvato risoluzione molto ampia sull'attualità europea, a conclusione dell'esame del programma della Commissione europea e del Consiglio europeo. Al documento hanno dato un contributo singificiativo i senatori dell'Ulivo, tra i quali il senatore Tino Bedin, che qui commenta alcuni contenuti della risoluzione.
di Tino Bedin segretario della Giunta Affari europei>
C'è ancora spazio per l'unanimità nel Parlamento italiano. Almeno solo per questo avrebbe dovuto far notizia - ma non l'ha fatta - la Risoluzione approvata l'8 maggio dalla Giunta Affari europei del Senato, dedicata ai programmi della Commissione europea e del Consiglio europeo per il 2003. La risoluzione, cui abbiamo lavorato per alcune settimane, è stata approvata all'unanimità e nella mia dichiarazione di voto ho sottolineato che questo risultato era importante anche per il Parlamento, dove non è più scontato che le posizioni sull'Europa superino le contrapposizioni tra maggioranza ed opposizione come avveniva fino a pochi mesi addietro.
La Risoluzione del Senato è molto dettagliata, sia nei riferimenti politici e diplomatici che negli impegni che propone al governo. Mi limito a richiamarne pochi contenuti.
Una federazione di Stati nazione. Proprio al primo punto di questa risoluzione il governo è impegnato "a sostenere l'attività della Convenzione nella ricerca di un assetto istituzionale che coniughi l'esigenza dell'efficienza con quella di una piena legittimità democratica e che garantisca rapidità di azione all'Unione attraverso la generalizzazione della procedura di codecisione e del voto a maggioranza qualificata in Consiglio, salvo determinate eccezioni di carattere costituzionale".
Come si può vedere l'organismo del Senato specializzato in affari europei compie una netta scelta per un'Europa di tipo federale, nella quale il Parlamento europeo diventa attore protagonista attraverso la codecisione e il diritto di vero, tipico di una organizzazione "sovranista" dell'Europa, viene di molto attenuato attraverso il voto a maggioranza.
La scelta è chiara ed è esplicitamente in continuità - dice la Risoluzione - con un precedente documento del Senato del 28 novembre 2001, in vista del Consiglio europeo di Laeken del 14-15 dicembre 2001, nel quale "veniva dato pieno sostegno all'obiettivo della costruzione politica dell'Europa e ribadito il ruolo di Paese "federatore" storicamente svolto dall'Italia, al fine di pervenire alla costituzione di una Federazione di Stati nazione".
La pace attraverso la cooperazione. L'altro punto della Risoluzione votata dalla Giunta affari europei del Senato che richiamo è l'impegno al governo "ad affermare con forza nell'area mediterranea i valori della democrazia, della pace e dell'equilibrio, attraverso un'attività di coinvolgimento dei paesi della sponda sud del Mediterraneo nello Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, migliorando la cooperazione, rafforzando gli investimenti, assicurando una maggiore efficacia del Programma Meda, rinnovando l'impegno per la costituzione della Banca Euromediterranea, valorizzando le iniziative Leader e rilanciando il processo di Barcellona nel suo complesso, anche per il tramite delle comunità regionali e locali".
Non si tratta solo di impegni economico-politici, che sono particolarmente rilevanti per gli italiani e che diventano stringenti per l'Italia come prossimo presidente di turno dell'Unione. Ho richiamato questo punto soprattutto perché esso propone un modello di Politica estera e di sicurezza comune che è alternativo a modelli che sono stati applicati recentemente nella comunità internazionale.
Nel momento in cui il Trattato costituzionale dà una dimensione più strutturata alla Politica estera e di sicurezza comune, mi pare importante che il Senato italiano indichi che gli strumenti della Pesc sono prima di tutto la cooperazione internazionale e la collaborazione regionale.
L'Europa in costruzione tende ad assumere realtà e valori peculiari dell'esperienza storica statunitense: la conquista del territorio (nel caso europeo, pacifica), un federalismo che esclude la guerra al proprio interno, lo sviluppo graduale delle proprie istituzioni democratiche.
Una pace duratura al proprio interno che porta a privilegiare gli strumenti della politica e della diplomazia nei confronti del resto del mondo; un modello di difesa legato al concetto di sicurezza collettiva e di polizia internazionale; una visione socialmente ed ecologicamente responsabile dei rapporti tra il Nord ed il Sud del Mondo: sono antichi valori statunitensi ed americani, che tanto più per questo costituiscono un rischioso confronto per una politica estera unilitarista e fortemente militarizzata degli Stati Uniti di oggi.
Del resto questo è lo spirito fondativo dell'Unione europea: l'allontanamento della guerra dalle opzioni possibili in politica estera. L'Europa ha finora soddisfatto questo spirito e lo sta facendo anche in questo momento con la più grande rivoluzione della sua storia: l'allargamento. Ricordo che il Consiglio europeo di Copenaghen del 12-13 dicembre 2002, dove il processo di allargamento è stato definitivamente varato, ha scelto questa strada come "superamento dell'eredità del conflitto e della divisione in Europa". Il Senato italiano ribadisce che l'Europa può fare la stessa scelta nel Mediterraneo, in un'area che non solo ci è prossima, ma nella quale si alimentano molte delle ragioni di difficoltà e di insicurezza del pianeta.
La continuità programmatica nell'Unione. Cito la Risoluzione del Senato anche per un aspetto formale: essa è il risultato dell'analisi di due documenti: il Programma annuale della Commissione europea (e questo non costituisce una novità) ed il Programma operativo del Consiglio dell'Unione europea per il 2003: questo è invece una novità. Si tratta infatti del primo programma che è stato elaborato e proposto non dalla sola Presidenza di turno dell'Unione Europea ma congiuntamente dalle due presidenze che coprono l'intero 2003: la Grecia e l'Italia. Potrebbe sembrare una semplice novità organizzativa. In parte lo era quando è stata decisa; in questa fase del dibattito sui lavori della Convenzione europea assume però anche un seppur parziale contenuto politico.
Il tema della continuità nella guida programmatica dell'Unione è stato spesso evocato come una delle esigenze alle quali occorre dare risposta. Il susseguirsi semestrale delle presidenze di turno viene giudicato già adesso dispersivo e c'è chi lo valuta improponibile in un'Europa a 25 o a 27 membri.
Il problema indubbiamente esiste. Ma la successiva evoluzione del dibattito e soprattutto le conclusioni alle quali è arrivato il presidente della Convenzione Valery Giscard d'Esteing, con la proposta di un presidente stabile per il Consiglio europeo, rendono evidente che quello della rotazione semestrale della Presidenza è un problema preso a pretesto per una diversa organizzazione non solo delle procedure ma delle politiche dell'Unione Europea. Per le procedure può essere continuata e perfezionata appunto quella del programma annuale comune, eventualmente codificando il ruolo della Troika europea (presidenza di turno, quella precedente e quella seguente), in modo che ciascun paese si trovi a guidare l'Unione per un anno e mezzo, pur assumendo di sei mesi in sei mesi ruoli diversi. Osservo poi che la connessione tra le successive presidenze sarebbe così forte che ogni nuovo ingresso non potrebbe che raccordarsi con i progetti in corso, introducendovi solo limitati elementi di novità.
Questo - come dimostra appunto la sperimentazione del programma annuale - si può già fare. Ma - come ho detto - per alcuni dei protagonisti l'obiettivo dell'efficienza è solo lo strumento per altri obiettivi di tipo politico ed istituzionale.
8 maggio 2003 |