COMUNITÀ INTERNAZIONALE

La Colombia sulla dura e pericolosa strada della pace - 2
"Demos el primer paso"
fuori dal passato che non passa

La strada della riconciliazione non è meno impervia, dolorosa e pericolosa della strada che ha portato fuori dalla guerra

di Tino Bedin

"Demos el primer paso" dice Papa Francesco ai colombiani mentre si prepara al suo viaggio pastorale in Colombia tra il 6 e il 10 settembre. Coniuga il verbo alla prima persona plurale, per dire che la cosa riguarda anche lui, che anche il Papa cammina loro a fianco sulla strada della riconciliazione, che non è meno impervia, dolorosa e pericolosa della strada che ha portato fuori dalla guerra. Papa Francesco lo sa e continua a preparare la strada della riconciliazione.
Lo ha fatto anche il 16 dicembre scorso, con un'iniziativa pubblica inconsueta per la diplomazia vaticana: ha ricevuto in udienza il presidente colombiano Santos; poi ha ricevuto il senatore Álvaro Uribe Vélez, presidente della Colombia prima di Santos e principale sostenitore del "no" al referendum sul trattato di pace. Poi li ha incontrati tutti e due insieme, parlando con loro della "cultura dell'incontro" e dell'importanza del "dialogo sincero fra tutti gli attori della società colombiana in questo momento storico".
Papa Francesco si è così "esposto" per mettere al sicuro l'atto successivo alla bocciatura del referendum del 2 ottobre: il nuovo e definitivo accordo di pace sottoscritto il 24 novembre al teatro Colón di Bogotá tra il presidente Juan Manuel Santos e il comandante delle Farc Timochenko. Il testo accoglie alcune delle proposte dei sostenitori del "no" e viene approvato l'1 dicembre dal Parlamento colombiano, senza voti contrari sia alla Camera sia al Senato. Però i parlamentari del partito dell'ex presidente Uribe abbandonano l'aula prima del voto. "Demos el primer paso" racconta ora ai colombiani la foto di Santos e Uribe insieme al Papa il 16 dicembre. Sul tavolo di Papa Francesco c'è un "balografo", uno dei proiettili diventati penna.

L'incommensurabile forza del narcocapitalismo. Sul tavolo del Papa c'è ancora un'orchidea, fiore nazionale della Colombia, in porcellana. È un regalo del presidente Santos.
Immagino non sia solo una gentilezza. C'è un messaggio da trasmettere al resto del mondo: voi ci conoscete per la coca, il "Cartello di Medellin" è diventato sinonimo mondiale del narcotraffico, ma la Colombia è molto altro, soprattutto altro. È il paese del caffè; il paese delle orchidee; il paese dove gli smeraldi sono purissimi; il paese delle foreste equatoriali; il paese dove le Ande vanno spesso più in alto del Monte Bianco. Il messaggio era stato rappresentato in grande dal Padiglione della Colombia all'Expo di Milano; in miniatura è ora nell'orchidea di porcellana sul tavolo del Papa.
"Demos el primer paso" dice a se stessa la Colombia della biodiversità, perché le piantagioni di coca sono ancora lì, immense, appetitose. Ancora più rischiose, ora che i combattenti delle Farc si sono ritirati dalla battaglia, che non impongono più regole, che non sorvegliano più i traffici illegali, da cui traevano attraverso le "tasse" sulla produzione gran parte delle risorse finanziarie per la guerriglia. Il rischio è che le organizzazioni criminali internazionali si approprino delle colture abbandonate dalle Farc: la Colombia potrebbe diventare ostaggio del narcocapitalismo internazionale.
Le capacità finanziarie del narcocapitalismo sono infatti incommensurabili.
Tra i personaggi del romanzo di Roberto Saviano, che ho citato, c'è Pablito Escobar, un giovane proletario ma intraprendente di Medellin (Colombia, appunto) che all'inizio degli anni Ottanta guadagnava mezzo milioni di dollari al giorno e che come "cauzione" per non finire in prigione offrì alla Colombia di pagare l'intero debito estero del proprio paese.
La potenza finanziaria dei narcocapitalismo in quarant'anni si è ancora ampliata e globalizzata. È della fine dello scorso gennaio questo titolo di giornale che riguarda l'Italia: "Colpo ai narcos calabro-colombiani: cocaina in fumo per 1,6 miliardi". Una sola operazione del narcotraffico vale metà di una manovra annuale di un grande paese come l'Italia membro del G7. Il paragone finanziario non è assolutamente una curiosità statistica; è la misura dello stravolgimento sociale ed economico che rischia l'Italia, non diversamente dal resto del mondo, a causa del narcotraffico.
Nella primavera dello scorso anno la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo ha diffuso una relazione di appena 37 pagine, quindi facilmente leggibile, passata però sopra l'opinione pubblica distratta da riforme costituzionali e relativo referendum. Vi si può leggere: "La strada che stiamo percorrendo ci condurrà a sistemi economici e sociali nei quali, progressivamente, i beni e i servizi che acquisteremo, i supermercati dove andremo quotidianamente, i ristoranti e gli alberghi in cui ci recheremo con le famiglie, il lavoro che avremo, ci saranno, in larga parte, forniti dalla emanazione di associazioni criminali. In questa prospettiva, inoltre, per una qualsiasi persona onesta, mettersi sul mercato e iniziare una qualsiasi attività economica sarà come partecipare a una gara truccata, perché i concorrenti potranno lavorare in perdita, disponendo di liquidità gratuita e quasi illimitata".

Riforma agraria e partecipazione politica. Se questi sono i rischi per l'Italia, si comprende facilmente quanto drammatico sarà "il primo passo" della Colombia fuori dalla coca. Richiede tanti primi passi in molte direzioni finora poco esplorate. Tra queste saranno decisive la riforma agraria e la partecipazione politica, perché è in particolare su questi due terreni che la Colombia ha cominciato a bruciare 52 anni fa e continua a farlo.
La costituzione delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia - Esercito del Popolo (Farc-Ep) è infatti la risposta alla repressione militare nel 1964 delle esperienze di auto-organizzazione agraria dei campesinos nella regione montuosa di Marquetalia, nelle Ande centrali. Oggi il problema resta: l'1 per cento della popolazione possiede il 60 per cento della terra coltivata.
Nel 1984 governo colombiano e Farc avevano raggiunto un accordo di pacificazione e le Farc avevano promosso un movimento politico legale, l'Unione Patriottica. Il successo elettorale di quel partito sia nel Parlamento sia nelle amministrazioni locali ebbe come risposta centinaia di assassini politici da parte di gruppi paramilitari di destra. Oggi una delle ragioni del "no" al referendum è stata proprio la clausola dell'accordo che facilita la trasformazione delle Farc in un movimento politico che avrà accesso al Parlamento.
È il passato che non passa. Per questo a settembre Papa Francesco va a Bogotà, per camminare con la politica, poi va a Villavicencio, per camminare con i campesinos tra vittime e persecutori, poi va Medellin, capitale di coca ma anche di vocazione, poi va a Cartagena, non sulla spiaggia ma a camminare tra le baracche. Tutti primi passi.

28 maggio 2017


ci-111
11 luglio 2017
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Tino Bedin