La Colombia sulla dura e pericolosa
strada della pace - 1
Tra guerra civile e violenza mondiale del narcotraffico
"Demos el primer paso" è il motto del viaggio pastorale di Papa Francesco all'inizio di settembre
di Tino Bedin
"Demos el primer paso". Facciamo il primo passo. Papa Francesco si fa accompagnare da questo motto nel suo viaggio pastorale in Colombia. Quando vi arriverà, tra il 6 e il 10 settembre di quest'anno, quel "primo passo" potrebbe sembrare a molti già stato fatto; cronisti e commentatori racconteranno, anzi, tanti passi; descriveranno quasi un percorso, prendendo come data di partenza il 23 giugno 2016. Quel giorno all'Avana, la capitale di Cuba, il governo colombiano e la guerriglia delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) si sono accordati su un cessate il fuoco definitivo. L'accordo porta le firme di Juan Manuel Santos Calderón, presidente della Colombia, di Timoleón Jiménez "Timochenko", comandante delle Farc, di Raúl Castro, presidente di Cuba, di Ban Ki-moon, segretario generale delle Nazioni Unite.
Quell'accordo e le sue successive evoluzioni hanno fatto e fanno notizia non solo in Colombia, non solo in America Latina. I negoziati per quell'accordo erano infatti iniziati nel 2012 a Oslo, in Norvegia, per proseguire poi all'Avana, con la mediazione di Norvegia e Cuba, sotto l'egida di Venezuela e Cile, con il sostegno internazionale dei cinque Stati membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e del Vaticano, con l'impegno di personalità di prestigio come Jimmy Carter, già presidente degli Stati Uniti.
L'inciampo della sofferenza, l'agguato del narcotraffico. La "notizia" è che finisce il più lungo conflitto nella storia contemporanea dell'emisfero occidentale. La guerra civile colombiana è infatti cominciata nel 1964 ed è andata avanti per 52 anni con un bilancio tragico: 220 mila morti, 45 mila persone scomparse nel nulla, sette milioni di sfollati interni (mai contati così tanti, neppure in Siria), decine di migliaia di bambini-soldato, la coltivazione della coca, l'esplosione del narcotraffico.
Per via della cocaina, la Colombia è di casa in molta parte del mondo. L'interesse internazionale a por fine ad un conflitto esclusivamente interno nasce prevalentemente da qui. Per noi italiani poi si tratta di una… vicinanza ancora più stretta. Racconta Roberto Saviano attraverso "Zero zero zero", il suo secondo romanzo: "Dalla Spagna al santuario della Madonna dei Polsi, nella Locride, la coca unisce tutte le geografie; una cosa che mi hanno detto e che mi suona vera è: la coca è una pianta che cresce in Sudamerica ed ha le radici in Calabria".
Non è per niente facile camminare dentro la tragedia della guerra civile colombiana e dentro la violenza mondiale del narcotraffico, pronto all'agguato.
Il pericolo di inciampare sulla sofferenza è inevitabile rende incerto ogni passo.
Mons. Luis Augusto Castro Quiroga è arcivescovo di Tunja, sulla Cordigliera delle Ande, e presidente della Conferenza episcopale colombiana (fino a luglio); ha accompagnato il lungo negoziato tra il governo del presidente Santon e le Farc; ha fatto incontrare le vittime. Spiega così la difficoltà di camminare nella sofferenza: "In Colombia le vittime comprovate ufficialmente sono otto milioni. Però per ognuna di loro ce ne sono almeno due in più: un figlio con mamma e papà, un padre con moglie e figli. Se per ogni vittima ce ne sono altre due coinvolte, arriviamo alla cifra di 24 milioni di vittime. Questo significa metà della popolazione. Se non ci sarà il loro perdono, mai smetteranno di essere vittime".
Un popolo può anche rifiutare la pace. I colombiani lo hanno già sperimentato nella loro vita proprio dopo quel 23 giugno dello scorso anno.
Il 26 settembre successivo a Cartagena de Indias, sulla costa caraibica della Colombia, l'accordo siglato all'Avana è diventato il vero e proprio trattato di pace tra colombiani. Per sottoscriverlo Santos e Timochenko hanno usato il "baligrafo", una penna prodotta in 500 esemplari utilizzando proiettili sparati durante la guerra civile (il nome della penna unisce le parole spagnole, "bala" e "boligrafo", rispettivamente pallottola e penna a sfera), che reca l'incisione: "Le pallottole hanno scritto il nostro passato, l'educazione il nostro futuro".
C'è festa a Cartagena quel giorno e c'è una messa solenne durante la quale l'intera Chiesa universale si unisce ai colombiani nella "preghiera di riconciliazione": a celebrarla è infatti arrivato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano; è l'assicurazione della partecipazione di Papa Francesco che ora si realizza con il viaggio del prossimo settembre. "Come ben sapete - dice il cardinale Parolin - il Papa ha seguito con grande attenzione gli sforzi di questi ultimi anni nel cercare la pace e la riconciliazione. Più volte ha animato questi sforzi, senza ovviamente prendere parte alle soluzioni concrete che sono state negoziate e sulle quali i cittadini decideranno in maniera libera, informata e in piena coscienza".
La domenica successiva, 2 ottobre, infatti, il trattato di pace è sottoposto a referendum popolare e i colombiani lo bocciano: pochi voti di vantaggio, circa 65 mila, del "no" sul "sì", in percentuale il 50,22 contro il 49,78.
Ecco la difficoltà di fare "il primo passo". A vincere, infatti, è soprattutto la paura di muoversi: quasi 63 colombiani su 100 non va a votare; dopo 52 anni di guerra l'astensione non può significare scarsa conoscenza o disinteresse, significa paura di fare un passo in qualsiasi direzione.
14 maggio 2017 |