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Cinquant'anni dopo la "Domenica di Sangue" per il movimento per i diritti civili degli afroamericani Sul ponte di Selma, piccolo paese dell'umanità, ad incontrare l'America che vogliamo Barack Obama dice ai giovani di tutto il mondo che quella marcia non è ancora conclusa
di Tino Bedin Sabato 7 marzo 2015, Selma (Alabama): ricordiamoci questa data, ricordiamoci questo luogo. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama va lì per ricordare, ma dice parole che dovranno essere citate in America, nel mondo.
Domenica 7 marzo 1965, Selma, Alabama: Martin Luther King, premio Nobel per la Pace, sceglie il piccolo paese di Selma come luogo simbolo della battaglia per il diritto di voto degli afroamericani; cinquecento dimostranti danno inizio a una marcia da Selma a Montgomery, la capitale dello Stato di Alabama; vengono bloccati brutalmente dalle forze dell'ordine sull'Edmund Pettus Bridge, un ponte sul fiume Alabama: quel giorno sarà ricordato per sempre come il "Bloody Sunday" statunitense, la "Domenica di Sangue".
Va a dire che l'America è ancora in marcia: "L'errore più comune è quello di far intendere che il razzismo sia stato tolto di mezzo, che il lavoro che portò uomini e donne a Selma sia stato completato, e che qualsiasi siano le tensioni razziali che restano esse siano una conseguenza di coloro che cercano di giocare la "carta della razza" per i loro scopi. Non abbiamo bisogno del rapporto su Ferguson per sapere che non è vero. Abbiamo solo bisogno di aprire gli occhi, e le orecchie, e il cuore, sapere che la storia razziale di questa nazione getta ancora la sua lunga ombra su di noi. Sappiamo che la marcia non è ancora finita, la corsa non è ancora vinta, e che il raggiungimento di tale meta benedetta dove si è giudicati in base al contenuto del nostro carattere, richiede che lo si ammetta". La marcia di Selma è continuata e continua in tutto il mondo. Così la descrive il presidente degli Stati Uniti, tornato sull'Edmund Pettus Bridge : "Gli americani che attraversarono questo ponte non erano fisicamente imponenti. Ma diedero coraggio a milioni di persone. Non avevano alcun mandato elettivo. Ma guidarono una nazione. Marciavano come americani che avevano sopportato centinaia di anni di brutale violenza, e innumerevoli umiliazioni quotidiane, ma non cercavano un trattamento speciale, solo la parità di trattamento promessa loro quasi un secolo prima. Quello che fecero qui si riverbererà nei secoli. Non perché il cambiamento che ottennero fosse preordinato; non perché la loro vittoria fosse completa; ma perché dimostrarono che il cambiamento non violento è possibile; che l'amore e la speranza possono vincere sull'odio. (…) L'istinto americano che portò questi giovani uomini e donne a prendere in mano la torcia e ad attraversare questo ponte è lo stesso istinto che spingeva i patrioti a scegliere la rivoluzione non la tirannia. È lo stesso istinto che ha attirato gli immigrati che hanno attraversato gli oceani e il Rio Grande; lo stesso istinto che portò le donne a conquistare il voto e i lavoratori a organizzarsi contro un ingiusto status quo; lo stesso istinto che ci portò a piantare una bandiera a Iwo Jima e sulla superficie della Luna. È l'idea tenuta da generazioni di cittadini che hanno creduto che l'America sia un costante lavoro in progressione; che hanno creduto che amare questo paese richieda ben più che cantarne le lodi o evitare scomode verità. Richiede la rottura, talvolta, la disponibilità a battersi ad alta voce per ciò che è giusto e scuotere lo status quo. Questo è ciò che ci rende unici, e cementa la nostra reputazione di faro di opportunità. I giovani che stanno dietro la cortina di ferro avrebbero visto Selma e, alla fine abbattuto un muro. I giovani di Soweto avrebbero sentito Bobby Kennedy parlare di barlumi di speranza e alla fine sarebbe stato messo al bando il flagello dell'apartheid. I giovani in Birmania sono andati in prigione, piuttosto che sottostare al governo dei militari. Dalle strade di Tunisi a Maidan in Ucraina, questa generazione di giovani può trarre forza da questo luogo, dove gente senza potere potè cambiare la più grande superpotenza del mondo, e spingere i loro leader ad ampliare i confini della libertà. Hanno visto quell'idea diventare realtà a Selma, Alabama. L'hanno vista diventare realtà in America".
"A cinquant'anni dal Bloody Sunday la nostra marcia non è ancora finita. Ma ci siamo vicini. A 239 anni dalla fondazione di questa nazione, la nostra unione non è ancora perfetta. Ma ci siamo vicini. Il nostro lavoro è più facile, perché qualcuno ci ha già portato oltre quel primo miglio. Qualcuno ci ha già fatto passare attraverso quel ponte. Quando la strada si farà troppo dura, quando la torcia che ci è stata passata sembrerà troppo pesante, ci ricorderemo di questi primi viaggiatori, trarremo forza dal loro esempio, e ci atterremo saldamente alle parole del profeta Isaia: Quelli che sperano nell'Eterno acquistan nuove forze, s'alzano a volo come aquile; corrono e non si stancano, camminano e non s'affaticano". 8 marzo 2015 |
ci-101 14 aprile 2015 |
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