COMUNITÀ INTERNAZIONALE

Cinquant'anni dopo la "Domenica di Sangue" per il movimento per i diritti civili degli afroamericani
Sul ponte di Selma, piccolo paese dell'umanità,
ad incontrare l'America che vogliamo

Barack Obama dice ai giovani di tutto il mondo che quella marcia non è ancora conclusa

di Tino Bedin

Sabato 7 marzo 2015, Selma (Alabama): ricordiamoci questa data, ricordiamoci questo luogo. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama va lì per ricordare, ma dice parole che dovranno essere citate in America, nel mondo.
In America quelli che sono giovani ricorderanno che il presidente ha detto che la loro nazione è pronta a mettersi al loro seguito. Non è il presente a preparare la strada al futuro; è il futuro che trascina il presente.
Dice Barack Obama: "Rispettiamo il passato, ma non ci struggiamo per il passato. Non temiamo il futuro; vogliamo afferrarlo. L'America non è un qualcosa di fragile; siamo grandi, nelle parole di Whitman, conteniamo moltitudini. Siamo vivaci, un popolo variegato e pieno di energia, perennemente giovane nello spirito. Ecco perché qualcuno come John Lewis all'età matura di 25 anni poteva guidare una possente marcia. Ed è quello che i giovani qui oggi e in ascolto in tutto il paese devono prendere da questo giorno. Tu sei l'America. Non vincolato da abitudini e convenzioni. Libero dall'impaccio di quel che è, e pronto a cogliere ciò che dovrebbe essere. Perché ovunque in questo paese, ci sono i primi passi da intraprendere, e nuovi percorsi da battere, e ponti da attraversare. E sei tu, giovane e senza paura nel cuore, la generazione più plurale e istruita nella nostra storia, che la nazione è in attesa di seguire".
Nel mondo tutti possiamo ora incontrare l'America che vogliamo: non la "superpotenza del bene" che comanda con la ricchezza, la tecnologia e le armi, ma un popolo che contagia il mondo con la sua libertà.
Dice Barack Obama: "Siamo nati dal cambiamento. Abbiamo rotto le vecchie aristocrazie, dichiarandoci titolari di diritti, non per discendenza di sangue, ma perché dotati dal Creatore di diritti inalienabili. (…) Siamo gli immigrati arrivati clandestinamente in nave per raggiungere questi lidi. Siamo le masse di popolo che bramano di respirare liberamente: i sopravvissuti all'Olocausto, i disertori sovietici, i Lost Boys del Sudan. Siamo i disperati pieni di speranza che attraversano il Rio Grande, perché vogliono che i loro figli conoscano una vita migliore. Ecco come siamo arrivati a essere quel che siamo. (…) Siamo gli schiavi che costruirono la Casa Bianca e l'economia del Sud. Siamo gli stallieri dei ranch e i cowboy che aprirono la strada al West, gli innumerevoli operai che posero le rotaie ed eressero i grattacieli, e che si organizzarono per i diritti dei lavoratori. (…) Siamo i narratori, gli scrittori, i poeti e gli artisti che aborrono l'ingiustizia, e disprezzano l'ipocrisia, danno voce a chi non ha voce, e raccontano verità che devono essere raccontate. Siamo gli inventori del gospel e del jazz e del blues, del bluegrass e della country, dell' hip-hop e del rock 'n' roll, i nostri stessi suoni con tutto il dolce dolore e la gioia sfrenata della libertà".
Questa libertà contagiosa è probabilmente la risposta decisiva al fanatismo, alle chiusure, alla ferocia che riaffiora da secoli lontani. È già successo. Succederà di nuovo. L'America si è ritrovata a Selma per testimoniarlo.

Domenica 7 marzo 1965, Selma, Alabama: Martin Luther King, premio Nobel per la Pace, sceglie il piccolo paese di Selma come luogo simbolo della battaglia per il diritto di voto degli afroamericani; cinquecento dimostranti danno inizio a una marcia da Selma a Montgomery, la capitale dello Stato di Alabama; vengono bloccati brutalmente dalle forze dell'ordine sull'Edmund Pettus Bridge, un ponte sul fiume Alabama: quel giorno sarà ricordato per sempre come il "Bloody Sunday" statunitense, la "Domenica di Sangue".
Quel sangue, invece di bloccare la libertà, dà nuova forza al movimento per i diritti civili; dopo altre due marce, cinque mesi dopo la Domenica di Sangue, gli Stati Uniti si danno il Voting Rights Act, una legge che proibisce la discriminazione razziale e rafforza il diritto di voto difeso dal 15° Emendamento della Costituzione. Quella legge garantirà la registrazione di massa nelle liste elettorali delle minoranze razziali, soprattutto nel Sud.
Cinquant'anni dopo Barack Obama, primo presidente degli Stati Uniti afroamericano, assieme alla moglie Michelle e alle loro due figlie Malia e Sasha, è a Selma alla manifestazione per ricordare quella marcia e il suo significato nella lotta per l'uguaglianza.

Va a dire che l'America è ancora in marcia: "L'errore più comune è quello di far intendere che il razzismo sia stato tolto di mezzo, che il lavoro che portò uomini e donne a Selma sia stato completato, e che qualsiasi siano le tensioni razziali che restano esse siano una conseguenza di coloro che cercano di giocare la "carta della razza" per i loro scopi. Non abbiamo bisogno del rapporto su Ferguson per sapere che non è vero. Abbiamo solo bisogno di aprire gli occhi, e le orecchie, e il cuore, sapere che la storia razziale di questa nazione getta ancora la sua lunga ombra su di noi. Sappiamo che la marcia non è ancora finita, la corsa non è ancora vinta, e che il raggiungimento di tale meta benedetta dove si è giudicati in base al contenuto del nostro carattere, richiede che lo si ammetta".
L'America lo ammette.
Sono presenti alle celebrazioni un centinaio di membri del Congresso, tra cui il senatore Tim Scoot, repubblicano del Sud Carolina, e il leader della maggioranza alla Camera, Kevin McCarthy. Alle celebrazioni partecipa inoltre l'ex presidente, George W. Bush, che nel 2006 firmò la ri-autorizzazione per il Voting Rights, la storica legge promossa da Martin Luther King per escludere ogni discriminazione razziale alle urne. "Vogliamo che gli americani vedano che l'Alabama è un posto diverso rispetto a 50 anni fa. Siamo orgogliosi dei progressi che abbiamo fatto", proclama il governatore dell'Alabama, il repubblicano Robert Bentley.
Il 7 marzo 1965 è infatti una data patriottica. Dice Barack Obama: "Quale più grande espressione di fede nell'esperimento americano di questa; quale più grande forma di patriottismo; più della convinzione che l'America non è ancora finita, che siamo abbastanza forti da essere autocritici, che ogni generazione successiva possa guardare alle nostre imperfezioni e decidere che è in nostro potere rifare questa nazione perché s'allinei sempre più vicino ai nostri ideali più alti?".

La marcia di Selma è continuata e continua in tutto il mondo. Così la descrive il presidente degli Stati Uniti, tornato sull'Edmund Pettus Bridge : "Gli americani che attraversarono questo ponte non erano fisicamente imponenti. Ma diedero coraggio a milioni di persone. Non avevano alcun mandato elettivo. Ma guidarono una nazione. Marciavano come americani che avevano sopportato centinaia di anni di brutale violenza, e innumerevoli umiliazioni quotidiane, ma non cercavano un trattamento speciale, solo la parità di trattamento promessa loro quasi un secolo prima. Quello che fecero qui si riverbererà nei secoli. Non perché il cambiamento che ottennero fosse preordinato; non perché la loro vittoria fosse completa; ma perché dimostrarono che il cambiamento non violento è possibile; che l'amore e la speranza possono vincere sull'odio. (…) L'istinto americano che portò questi giovani uomini e donne a prendere in mano la torcia e ad attraversare questo ponte è lo stesso istinto che spingeva i patrioti a scegliere la rivoluzione non la tirannia. È lo stesso istinto che ha attirato gli immigrati che hanno attraversato gli oceani e il Rio Grande; lo stesso istinto che portò le donne a conquistare il voto e i lavoratori a organizzarsi contro un ingiusto status quo; lo stesso istinto che ci portò a piantare una bandiera a Iwo Jima e sulla superficie della Luna. È l'idea tenuta da generazioni di cittadini che hanno creduto che l'America sia un costante lavoro in progressione; che hanno creduto che amare questo paese richieda ben più che cantarne le lodi o evitare scomode verità. Richiede la rottura, talvolta, la disponibilità a battersi ad alta voce per ciò che è giusto e scuotere lo status quo. Questo è ciò che ci rende unici, e cementa la nostra reputazione di faro di opportunità. I giovani che stanno dietro la cortina di ferro avrebbero visto Selma e, alla fine abbattuto un muro. I giovani di Soweto avrebbero sentito Bobby Kennedy parlare di barlumi di speranza e alla fine sarebbe stato messo al bando il flagello dell'apartheid. I giovani in Birmania sono andati in prigione, piuttosto che sottostare al governo dei militari. Dalle strade di Tunisi a Maidan in Ucraina, questa generazione di giovani può trarre forza da questo luogo, dove gente senza potere potè cambiare la più grande superpotenza del mondo, e spingere i loro leader ad ampliare i confini della libertà. Hanno visto quell'idea diventare realtà a Selma, Alabama. L'hanno vista diventare realtà in America".

"A cinquant'anni dal Bloody Sunday la nostra marcia non è ancora finita. Ma ci siamo vicini. A 239 anni dalla fondazione di questa nazione, la nostra unione non è ancora perfetta. Ma ci siamo vicini. Il nostro lavoro è più facile, perché qualcuno ci ha già portato oltre quel primo miglio. Qualcuno ci ha già fatto passare attraverso quel ponte. Quando la strada si farà troppo dura, quando la torcia che ci è stata passata sembrerà troppo pesante, ci ricorderemo di questi primi viaggiatori, trarremo forza dal loro esempio, e ci atterremo saldamente alle parole del profeta Isaia: Quelli che sperano nell'Eterno acquistan nuove forze, s'alzano a volo come aquile; corrono e non si stancano, camminano e non s'affaticano".
Con Barack Obama anche noi ci ricorderemo del 7 marzo: quello del 1965, quello del 2015, sempre a Selma, piccolo paese dell'umanità.

8 marzo 2015


ci-101
14 aprile 2015
scrivi al senatore
Tino Bedin