La settimana scorsa a Ginevra ha preso il via un'ulteriore sessione di consultazioni per il "Trade in Services Agreement", che il sito della Commissione Europea descrive così: "L'accordo sugli scambi di servizi (TiSA) è un accordo commerciale che viene attualmente negoziato tra 23 membri dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization), tra cui l'UE. Insieme, questi paesi rappresentano il 70% del commercio mondiale di servizi".
I governi trattano la loro perdita di ruolo. Ci sono anche altre negoziazioni mondiali in corso con l'obiettivo di fare del pianeta un'unica area di libero scambio. Non discuto se siano opportune (di sicuro non sono necessarie alla stragrande maggioranza dei cittadini). Osservo solo che a condurre le trattative sono i governi e che il risultato finora verificato con i trattati già operativi è che i governi perdono poi potere a vantaggio di istituzioni economiche e soprattutto di entità finanziarie, che per la loro dimensione economica e la diffusione planetaria contano più dei governi. Mi sembra davvero singolare che soprattutto i governi democratici, invece di mettersi insieme per rafforzare la rappresentanza dei cittadini in un mondo globale, si dedichino a ridurre il proprio potere e quindi la rappresentanza.
È esattamente il caso di questo possibile accordo sugli scambi di servizi, il TiSA.
Le prestazioni di servizi sono le più varie: comunicazioni, trasporti, distribuzione, turismo, cultura, sport, scuola, servizi finanziari, servizi ambientali (acqua, smaltimento di rifiuti), sanità, servizi sociali. Alcune di queste prestazioni come la salute e la scuola in Italia, in Europa e in altri paesi sono servizi pubblici: la titolarità e l'organizzazione sono cioè in capo allo Stato, anche se la distribuzione avviene o può avvenire in compartecipazione con il privato sociale o con il privato commerciale. Il servizio però è unico e non è soggetto a concorrenza.
La logica è che salute, scuola, acqua (per fare qualche esempio) non sono una merce ma componenti della cittadinanza.
Se questi servizi vengono messi in concorrenza, diventano merce e non più condizione di cittadinanza. Addirittura con le loro tasse i cittadini finanziano non più un servizio pubblico ma i bilanci di società che hanno come finalità il guadagno.
Riassumiamo: i governi perdono potere, perché la loro capacità di incidere nella società viene trasferita ai privati; i cittadini perdono diritti ma soprattutto servizi: salute e scuola li compro se ho i soldi non se ne ho bisogno o diritto.
Una torta di 6 trilioni di dollari. Eppure i governi insistono a lavorare per "liberalizzare" e globalizzare: anche la salute.
La scelta è ancora più incomprensibile (dal punto di vista dei governi), perché si tratta di una montagna di soldi. Attorno al tavolo ginevrino del TiSA ci sono 23 soggetti, ma uno di questi - l'Unione Europea - sta trattando per conto dei suoi 28 Stati membri: in tutto gli stati coinvolti sono cinquanta. Il Public Services International ha misurato che mediamente in questi Stati la sanità vale il 12,5 per cento del prodotto interno lordo; passando dalle percentuali ai soldi, si tratta di oltre 6 trilioni di dollari all'anno, che sono il 90 per cento della spesa sanitaria annuale di tutto il pianeta. Appunto: una montagna di soldi nel mercato della salute più ricco del mondo. Se questa montagna di denaro viene messa a disposizione del "mercato", che percentuale resterà da gestire ai governi?
"Liberalizzare" - e faccio un solo esempio - non significa solo che un ospedale americano si impianterà a Padova (il caso non è ipotetico, vista l'inettitudine con cui il tema è attualmente gestito), significa che avrò titolo - a parità di costo - di andarmi a curare in Florida. Il "turismo sanitario", oggi ridotto e limitato alle necessità di cura, diventerà una condizione normale. Le conseguenze sul sistema pubblico, sui costi, sulla ricerca medica, sull'occupazione sono facilmente immaginabili.
Il governo italiano rassicura. Sono anche inevitabili? Per la Commissione europea la risposta è rassicurante: "No. Nessun accordo di libero scambio dell'UE costringe i governi a privatizzare o deregolamentare un servizio pubblico a livello nazionale. Lo stesso vale per il TiSA o per qualsiasi altro accordo che l'UE è impegnata a negoziare", è scritto sul sito della Commissione.
Quasi le stesse parole che a nome del governo Renzi il viceministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda ha utilizzato il 16 gennaio scorso alla Camera rispondendo ad un'interrogazione. "Per quanto riguarda i servizi?? pubblici o di interesse pubblico, spesso il TiSA è criticato in quanto si ritiene che comporti la loro privatizzazione. Anche questo è un falso mito: non è vero che la liberalizzazione commerciale comporta la fine dello stato sociale e obbliga a privatizzare scuola e sanità. Il GATS esclude espressamente dalla liberalizzazione commerciale i servizi pubblici e quelli esercitati con finalità pubbliche, come scuola, sanità, servizi sociali eccetera, per non parlare di giustizia e polizia. I servizi pubblici che sono essenziali non sono minimamente oggetto del negoziato TiSA. L'offerta dell'Unione europea, infatti, prevede espressamente sia una riserva generale per l'accesso al mercato europeo dei servizi pubblici, sia una riserva di trattamento nazionale particolare riguardo a quattro settori specifici di servizi, quali acqua, salute, educazione e audiovisivo".
Sono buone posizioni. Ma piuttosto che "riservarsi" poi regole europee e nazionali di salvaguardia, forse sarebbe più rassicurante se proprio si tirassero via dalla trattativa i servizi pubblici o di interesse pubblico.
Nel Parlamento europeo sta prendendo forza questa posizione. A metà gennaio l'europarlamentare del Ppe Viviane Reding, relatrice al Parlamento dell'Unione sul negoziato TiSA, ha detto che la salute, l'istruzione e l'acqua dovrebbero essere escluse dalla liberalizzazione. Reding è stata influente vicepresidente della Commissione europea precedente e quindi la sua voce è ancor più persuasiva mentre afferma che "questi servizi non sono in vendita".
Se non sono in vendita, non sono neppure in concorrenza: quindi non centrano nulla con la discussione su un possibile accordo sullo scambio di servizi.
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16 febbraio 2015