All'inizio della seduta pomeridiana del Senato di martedì 17 maggio 2005, senatori di molti gruppi dell'Unione hanno chiesto la parola per commentare la notizia dell'espulsione verso la Libia, avvenuta nei giorni precedenti, di 50 persone detenute nel Centro di permanenza temporanea di Lampedusa. Secondo indiscrezioni, il ritorno in Libia dei 50 sarebbe avvenuto con un volo militare. Né gli immigrati né tanto meno il Centro di prima accoglienza dell'isola erano stati informati di tale decisione, assunta a Roma.
Il respingimento è avvenuto dopo che appena una settimana prima la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo aveva dichiarato illegittime le procedure italiane. Per questo i senatori dell'Unione hanno nuovamente chiesto che il governo riferisca al Senato, come avevano fatto la settimana scorsa.
A nome del gruppo Margherita-L'Ulivo è intervenuto il senatore Tino Bedin, vicepresidente della Commissione Diritti Umani e segretario della Commissione Europa.
intervento di Tino Bedin vicepresidente commissione Diritti umani
La settimana scorsa, chiedendo, come stiamo facendo adesso, che il Governo venisse a riferire sulle politiche di respingimento delle persone che giungono sulle coste italiane del Mediterraneo, avevo posto come tema principale quello della riservatezza che di fatto esiste sugli accordi che intercorrerebbero tra l'Italia e la Libia. Questo problema è riemerso ieri con notizie di stampa che riferiscono del respingimento di cinquanta immigrati clandestini arrivati a Lampedusa; respingimento che - riferiscono i giornali - sarebbe avvenuto, in gran segreto, sulla base di accordi tra l'Italia e la Libia.
Questo è il punto centrale sul quale occorre ormai fare chiarezza e sul quale chiediamo che il Governo riferisca urgentemente. Si tratta di un tema che ha certamente risvolti di carattere umanitario, che ha certamente i risvolti di carattere istituzionale che i colleghi hanno già ricordato, ma che ha anche risvolti di politica europea.
Tali procedure, infatti, sono non solo in contrasto - sulla base di quello che abbiamo potuto leggere - con la pronuncia della Corte europea di Strasburgo, che ha vietato all'Italia un respingimento di massa alle sue frontiere, ma appaiono altresì in contraddizione con l'iniziativa della Commissione europea, in particolare del vice presidente Frattini (la notizia è ribadita in un'intervista che appare oggi su un quotidiano nazionale), volta alla costituzione di una polizia europea di frontiera, un Corpo europeo che sarà costituito, secondo il progetto del commissario Frattini, dalle varie polizie nazionali che faranno parte di questo network di frontiera.
Evidentemente, il nostro Paese non potrà entrare a far parte di questa polizia europea di frontiera se non con procedure estremamente chiare e secondo dispositivi che anche tutti gli altri Paesi dell'Unione devono poter condividere. C'è quindi anche questo motivo che rende urgente che il Governo venga a riferire in Senato.
Infine, c'è un altro tema, anche questo di carattere internazionale. Per la gran parte, infatti, le persone che vengono mandate in Libia vengono respinte e non rimpatriate in quel Paese, perché non si tratta di cittadini libici, bensì di cittadini di altri Paesi dell'Africa, prevalentemente Paesi in cui è difficile, se non drammatico, vivere; Paesi al cui sviluppo, peraltro, l'Italia, in altri programmi, in altre situazioni, dice di essere attenta.
Anche questo è un aspetto, che vogliamo richiamare. La discussione infatti non riguarda l'aver fatto un accordo tra l'Italia e la Libia per rimpatriare cittadini libici. La discussione riguarda il fatto che questo accordo segreto prevede che cittadini di altri Paesi siano rimandati in Libia e da qui nuovamente smistati verso Paesi poveri. Anche tale aspetto va precisato da parte del Governo.
Per questi motivi di politica internazionale, oltre che di carattere umanitario, insistiamo per una immediata risposta del Governo.
Senato, Aula, 17 maggio 2005
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