L'amministrazione comunale di Galliera Veneta, su iniziativa del sindaco Silvano Sabbadin e dell'assessore alla cultura Gianbruno Cecchin, in occasione della Festa del 2 Giugno 2005 ha organizzato nella palestra polivalente una serata celebrativa rivolta in particolare ai diciottenni. A ciascuno di loro sono state consegnate una copia della Costituzione, una bandiera nazionale ed una bandiera regionale. Prima della consegna il senatore Tino Bedin ha proposto ai diciottenni e ai loro genitori alcune riflessioni su "Attualità e valori della Costituzione italiana".
relazione di Tino Bedin senatore della Repubblica
Il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, presentato la giornata del 2 giugno 2005 ha detto: "Oggi ci stringiamo intorno alle istituzioni della Repubblica, ai valori di una Costituzione, lungimirante e saggia, nobile frutto di quella stagione di straordinaria rinascita che prese le mosse dalla guerra di Liberazione, della quale abbiamo festeggiato il 60° anniversario".
Con questo 2 giugno 2005 comincia un lungo compleanno. Una lunga festa di compleanno, che non è dunque una ricerca storica, ma un'esperienza di vita presente, di speranze e di confronti, capaci di cambiare il futuro.
È come se - celebrati i sessant'anni della liberazione e della pace in Italia ed in Europa, con l'anniversario del 25 aprile 1945 - molti sentissero il bisogno di immaginare un percorso comunitario che faccia fare esperienza contemporanea dello spirito che cambiò la società italiana ed europea tra il 1945 e il 1948
Tra l'anno della pace e l'anno della Costituzione. Il 1945 è l'anno della fine della guerra. Il 1948 è l'anno dell'entrata in vigore della nostra Costituzione.
In mezzo c'è il 2 giugno del 1946: l'anno della rivoluzione; di una rivoluzione pacifica a profonda da cui è cominciata una vita collettiva, ma con cui sono cambiate molte vite personali.
Il 2 giugno del 1946, con il referendum istituzionale a suffragio universale, in Italia fu scelta la forma di governo repubblicana.
La prima rivoluzione del 2 giugno 1946 fu il voto delle donne. Per la prima volta in Italia le donne conquistavano il diritto di dire la loro sulla vita pubblica e collettiva.
Oggi è normale, naturale, che donne e uomini votino. In Italia, in un tempo che appartiene alla vita di molte persone tra noi e non ai libri di storia, era invece normale che votassero solo gli uomini, che votassero per il solo fatto di essere uomini.
Già solo per questo la data del 2 giugno merita una lunga festa collettiva. Festa di ragazze e ragazzi insieme, ai quali viene quella "rivoluzione di parità", dentro la quale continuano a vivere, chiede di interrogarsi ancora sulle situazioni che sembrano ovvie, "naturali", e di chiedersi se sono anche giuste, se sono anche vere.
Possiamo ad esempio - restando nel campo dei diritti delle persone, delle donne e degli uomini - domandarci sull'organizzazione del tempo di vita e di lavoro nella società di oggi.
Quel doppio lavoro "normale" per le donne. Sessant'anni fa era "naturale" che le donne non votassero. Oggi all'organizzazione della società appare normale, naturale, ovvio che alle donne - che intanto si sono conquistate istruzione e competenze sia economiche che pubbliche - siano assegnati due lavori, quello proprio di lavoratrice e quello "normale" di cura della famiglia, in particolare dei soggetti deboli della famiglia.
È davvero "giusta" questa organizzazione che appare "normale"? Non è che sarebbe necessaria una "rivoluzione"?
La strada della possibile rivoluzione, sia nei comportamenti che nelle leggi, per cambiare questa "normalità" è indicata dalla nostra Costituzione. Basta metterne insieme tre articoli.
Dice l'articolo 3: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".
Aggiunge l'articolo 29: "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare".
Completa così l'articolo 31: "La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo".
Questo è solo un esempio dell'attualità della rivoluzione cominciata il 2 giugno del 1946, con il voto alle donne.
Cambiava la vita, non solo lo Stato. La seconda rivoluzione cominciata il 2 giugno 1946 è il contenuto stesso del referendum proposto alle italiane e agli italiani.
Volete la monarchia o la repubblica? Volete il re o il parlamento?
Vi ricordo il risultato di quel referendum in termini di numeri. I voti a favore della repubblica furono 12.718.641, pari al 54,3% dei voti validi; a favore della monarchia si espressero invece 10.718.502 elettori, pari al 45,7%. Ben oltre 10 milioni di italiani dunque dissero che volevano la monarchia; certo vinse la repubblica, ma non con lo scarto di voti che oggi potremmo pensare.
Non credo ci fossero dieci milioni di italiani affezionati a Casa Savoia. La monarchia non aveva fatto bella figura con gli italiani né durante il fascismo né durante la seconda guerra mondiale. Molti tra i votanti erano giovani che si erano trovati in guerra senza poter sapere dove stesse il loro Stato.
In quei 10 milioni di voti per la monarchia c'era piuttosto la comprensibile paura di fronte alla novità che la repubblica rappresentava. Non era solo una riforma costituzionale, come la chiamiamo oggi, era un salto nel futuro. Cambiava la vita, non cambiava solo lo stato.
Il principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione, secondo cui i cittadini sono uguali di fronte alla legge, senza distinzione alcuna di condizioni personali, di sesso, di razza, di religione, non codifica solo un'uguaglianza "formale". L'articolo 3 proclama un'uguaglianza "sostanziale", tanto è vero che è compito della Repubblica rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono ai cittadini di avere pari dignità sociale. Dato che gli uomini nascono tutti diversi l'uno dall'altro, la Repubblica deve fare in modo che tutti possano partire dalla stessa linea di partenza; non solo se ci sono persone meno dotate dal punto di vista fisico, intellettuale ed economico, esse devono essere poste in condizione di poter raggiungere le stesse mete degli altri, sviluppando le proprie potenzialità.
E allora, avanti con la scuola, avanti con la salute, avanti con la casa, avanti con il lavoro. Quando gli italiani apprendono che la sovranità è del popolo, che ad esso vengono riconosciuti diritti inviolabili e che tutti gli uomini sono uguali di fronte alla legge e di fronte alla vita, essi realizzano quel miracolo sociale ed economico che trasforma una nazione sconfitta dalla guerra ed isolata dal fascismo in una delle grandi potenze economiche mondiali.
La persona all'origine del potere. Non è una conquista individuale. Ogni persona, assieme ed accanto a tutte le altre persone, diventava titolare della propria vita collettiva.
La forma repubblicana di Stato vede il potere supremo come espressione della rappresentanza del popolo, tanto è vero che l'articolo 1 della Costituzione dice che la sovranità, il potere supremo, appartiene al popolo che lo esercita nelle forme previste dalla Costituzione. Il popolo non è un'entità amorfa, bensì un'entità fisica che, dal punto di vista giuridico, diventa titolare del potere supremo che lo esercita nelle forme della democrazia rappresentativa.
All'origine del potere non c'è un'investitura, ma semplicemente l'essere persona. E la persona è il fine dello Stato.
Dice l'articolo 2: "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale".
Sembra quasi "ovvio" questo articolo 2 della Costituzione; così "normale" da sembrare banale. Chi non riconoscerebbe oggi i "diritti inviolabili" della persona?
Basta ascoltare la tv di ogni giorno per accorgerci che la risposta non è poi così scontata e che la ricerca in materia di diritti non è mai compiuta. In effetti, se è la persona il fine della Repubblica, la persona con la sua vita e il suo futuro, occorrerà avere sempre l'attenzione ad aggiornare il catalogo dei suoi diritti.
Un catalogo aggiornato delle libertà di stampa. Scelgo come esempio una materia "semplice" come la libertà di stampa e di espressione. Avendo tempo per un dibattito potremmo impegnarci in esempi più drammatici, ed altrettanto attuali, come i diritti delle generazioni future.
Ma torniamo alla libertà di stampa. È scritto nell'articolo 21 della Costituzione: "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure".
Tutto chiaro? Tutto scontato? Forse no. La libertà di stampa certo è una condizione acquisita, ma l'aggiornamento del catalogo delle libertà di stampa oggi contiene anche il diritto a ricevere l'informazione. Non c'è solo il diritto a manifestare il proprio pensiero, c'è anche il diritto a disporre di strumenti da cui avere informazione pluralistica, non condizionata, concorrenziale.
I limiti a questa libertà originati dal potere politico, oggi non solo i soli. Il potere economico, la pubblicità, il possesso degli strumenti tecnologici possono diventare altrettanti limiti al diritto di ricevere idee e non solo di esprimere idee.
Oltre al diritto di parlare, c'è il diritto di ascoltare. Si tratta di un tema attualissimo di democrazia, di libertà, di pluralismo.
Il potere che limita il potere. Scegliendo la repubblica al posto della monarchia, mettendo la persona e non l'investitura all'origine del potere, il 2 giugno 1946 ci ha consegnato non solo una diversa forma istituzionale, ma una diversa società. Anche questa è un'indicazione per il presente.
Il Parlamento è impegnato da mesi in un complesso e discusso cambiamento della nostra Costituzione.
La nostra Costituzione si divide in due parti, oltre ai primi dodici articoli dedicati ai "Principi fondamentali". Oggetto di cambiamento è l'intera Parte seconda che riguarda l'Ordinamento della Repubblica. Si sostiene che i cambiamenti nell'organizzazione dello Stato, quindi il potere legislativo, il potere esecutivo, il potere giudiziario, il Presidente della Repubblica, la Corte Costituzionale, le Regioni, non intaccherebbero la prima parte "Diritti e doveri dei cittadini" e tanto meno i "Principi fondamentali".
Attualmente l'Ordinamento della Repubblica è organizzato nella Costituzione per evitare che sia lo stesso soggetto ad applicare una legge, dopo averla approvata. Ciò avviene negli Stati assoluti, dove è il sovrano a fare le leggi, ad applicarle e a modificarle a suo piacimento. La divisione dei poteri, invece, fa sì che, una volta fatta la legge, sia un altro soggetto giuridico a doverla applicare, che non ha il potere di modificarla. Questa armonia d'impostazione conferisce una visione unitaria a questo documento importante, che è la Costituzione.
Se si esce da questo equilibrio, si rompe il principio fondamentale che sta alla base del costituzionalismo e ne è quasi l'essenza, il principio cioè del "potere che limita il potere".
La nostra è una forma di governo parlamentare. L'equilibrio tra i poteri è garantito dal fatto che c'è una responsabilità politica. Se la maggioranza non è contenta del governo, può mandarlo a casa.
Il cambiamento proposto pone invece in capo al primo ministro tutti i poteri, compreso quello di mandare a casa il parlamento. Qui viene messo in discussione l'articolo 1 della Costituzione.
Giustamente è stato osservato che i cittadini potrebbero esprimersi solo ogni cinque anni. Ma poi se qualcosa non va, non sono più in grado di esercitare il loro potere. Cioè saremmo di fronte a una democrazia a intermittenza. In ogni democrazia che si rispetti il cittadino deve influire sulla vita dello Stato.
La sintesi in tre firme. Ho continuato a citare la nostra Costituzione illustrando la "rivoluzione" iniziata il 2 giugno 1946, perché quel giorno donne e uomini votarono non solo su monarchia o repubblica, ma anche per scegliere i membri dell'Assemblea Costituente che avevano il compito di preparare la nuova Costituzione italiana.
Fu un cammino lungo un anno e mezzo.
Per poter procedere alla stesura della Costituzione nella maniera più efficace, si pensò che fosse meglio incaricare un gruppo più ristretto di persone e predisporne uno schema. Questo schema sarebbe poi stato discusso e votato da tutta l'Assemblea Costituente. Fu così composta una Commissione formata da 75 deputati, scelti su indicazione dei vari gruppi parlamentari ed eletti in modo proporzionale al numero dei componenti dei vari gruppi. La prima riunione fu tenuta il 20 luglio 1946 e ne fu eletto presidente Meuccio Ruini.
La Commissione a sua volta si divise in sottocommissioni: la prima sui diritti e doveri dei cittadini, la seconda sull'ordinamento costituzionale della Repubblica, la terza sui diritti e doveri economico-sociali. Ciascuna sottocommissione lavorò separatamente. Il 31 gennaio 1947 il progetto fu presentato all'Assemblea Costituente accompagnato da una relazione del presidente. La discussione durò otto mesi, dal 4 marzo al 22 dicembre 1947. La Costituzione venne approvata e fu promulgata il 27 dicembre 1947; in base alla XVII disposizione finale, entrò in vigore il 1° gennaio 1948.
La Costituzione scritta nel 1946-47 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948 esprime le sue tre culture, armoniosamente fuse, nelle firme del liberale Enrico De Nicola, capo provvisorio dello Stato, del comunista Umberto Terracini, presidente dell'Assemblea costituente, e del democristiano Alcide De Gasperi, presidente del consiglio dei ministri.
Questa capacità di fare sintesi che si trova nella Costituzione italiana non è solo un pregio storico, è un valore per il presente.
La Costituzione europea nelle mani dei cittadini. Oggi siamo in una fase costituente, non tanto in Italia quanto in Europa. Una fase complessa, ma per questo impegnativa ed entusiasmante.
I cittadini francesi e quelli olandesi in questi giorni hanno rifiutato la prima Costituzione europea. Altri popoli, come gli spagnoli, l'hanno invece accettata. Numerosi parlamenti, come quello italiano, hanno riconosciuto la sua validità.
Opinioni diverse, dunque. Molti si sono affrettati a dire che bisogna continuare a "contarsi", a vedere chi accetta e chi non accetta la Costituzione europea: questo sono le ratifiche che si vuole portare avanti. Ma non è un metodo costituente. Con la stessa pazienza che ha visto nascere e poi svilupparsi la Costituzione italiana, ora tutti insieme noi cittadini - non solo i governi, non solo i parlamenti - possiamo creare le condizioni per una grande assemblea costituente europea.
Ci servono però più che parole giuridiche, parole di speranza. Come vocabolari da cui trarre queste parole e le ispirazioni per questo compito abbiamo le nostre Costituzioni nazionali, lungimiranti, come l'ha definita Ciampi.
Anche qui faccio un solo esempio.
Nel corso del dibattito sulla Costituzione europea si è molto discusso di pace e di guerra, anche in presenza delle tragedie del nostro tempo. Io credo che un buon punto di partenza per la prossima Costituzione dell'Unione potrebbe essere il nostro articolo 11 della Costituzione: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo".
La pace non è quello che oggi serve al mondo? Il limite alla sovranità nazionale non è quello che ci aiuterà a vivere da cittadini del mondo?
La Costituzione nata dal voto del 2 giugno 1946 aveva nel cuore la paura delle bombe, le tragedie della guerra, le vedove e gli orfani.
Sessant'anni dopo, la Costituzione europea sarà davvero di popolo se avrà nel cuore la crescita della libertà e della democrazia che la pace ha realizzata.
Questo è il futuro che il 2 giugno ci ha preparato. Ha detto ieri Carlo Azeglio Ciampi: "Penso ogni giorno a voi giovani, ragazzi e ragazze, che chiedete alle istituzioni, alle vostre famiglie occasioni per impegnarvi, che desiderate operare per il bene comune. Penso a voi, e in voi trovo speranza, anzi, certezza. L'Italia sarà fra i protagonisti del rilancio dell'Europa; rilancio che c'è sempre stato dopo ogni battuta d'arresto. Noi italiani crediamo davvero nei valori dell'unione tra i popoli europei.
È un progetto di avanzamento civile e sociale. È il vostro progetto, il progetto di una gioventù che non concepisce barriere allo scambio fra i popoli, che pensa il proprio destino intrecciato a quello dei giovani degli altri Paesi europei".
2 giugno 2005
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