AGRICOLTURA
La Coldiretti padovana lo commemora a dieci anni dalla morte
Fernando De Marzi:
il dovere di fare il giornalista

Il testo di un ricordo del senatore Tino Bedin nel quinto anniversario

La Federazione provinciale Coltivatori diretti di Padova ha promosso la commemorazione di Fernando De Marzi a dieci anni dalla scomparsa. Domenica 1 febbraio a Villa Rina di Cittadadella si tiene il convegno "L'attualità della figura del senatore Fernando De Marzi a 10 anni dalla morte". I Lavori sono introdotti alle ore 10 dal presidente provinciale della Coldiretti Euganeio Zaggia. Tra i relatori anche don Cesare Contarini, direttore del settimanale diocesano "La Difesa del Popolo".
Anche il quinto anniversario della morte era stato ricordato con una cerimonia all'abbazia di Praglia, sui Colli Euganei. Era il 21 novembre 1998 e a tenere una delle relazioni era stato Tino Bedin, che come vicedirettore del settimanale diocesano di Padova "La Difesa del Popolo" aveva avuto una lunga consuetudine giornalistica con de Marzi. Riportiamo, come omaggio a De Marzi, il testo di quella relazione.

di Tino Bedin giornalista

Un redattore puntuale, ma autonomo. Della parte di società di cui aveva scelto di essere, con maggiore continuità, portavoce, cioè i lavoratori autonomi, Fernando De Marzi esprimeva anche nella sua attività giornalistica la volontà di "inventarsi" il lavoro.
De Marzi non aveva un... contratto con "La Difesa del Popolo": a dire il vero non aveva mai voluto neppure il compenso che il settimanale diocesano di Padova corrispondeva e corrisponde ai suoi giornalisti, considerando l'attività giornalistica un lavoro. Non aveva un contratto, ma la sua puntualità era inappuntabile.
Nel pensare il sommario di ogni numero potevamo stare sicuri che il sabato mattina egli sarebbe arrivato in via Dietro Duomo con il suo manoscritto ad ampia calligrafia, di cui ero diventato espertissimo. Sarebbe passato dal direttore don Alfredo Contran (non so cosa si raccontassero, certo De Marzi gli raccontava anche il suo articolo). Poi veniva da me, ma non mi parlava quasi mai dell'articolo, che aveva in mano. Parlavamo, parlava soprattutto lui, piuttosto di politica, locale e nazionale. Per me era un maestro di politica: perché l'avevo incontrato da ragazzo nella sezione della Democrazia cristiana del mio paese, ma soprattutto perché l'avevo apprezzato da adulto, per quel suo inconsueto gesto di "pensionarsi" dal Parlamento spontaneamente e contemporaneamente di rituffarsi a tempo pieno nel volontariato politico e poi nel volontariato sociale.

Conta l'interesse del lettore. Ripensandoci, ho capito anche la ragione di quel tacere sull'argomento dell'articolo che ci portava: egli lasciava che fossimo noi redattori a valutarne l'attualità e l'interesse. Una lezione di giornalismo: conta ciò che è letto con interesse, non ciò che vogliamo comunicare.
Solo se il suo articolo "giaceva" per qualche settimana, si informava: non per sollecitarne la pubblicazione, ma per darci la chiave di lettura del suo intervento, in modo che acquisissimo informazioni di cui magari non disponevamo sul dibattito il corso sul tema scelto da De Marzi.
Perché il tema lo sceglieva lui: ecco la sua autonomia. Tanto era puntuale, altrettanto convintamente Fernando De Marzi rifiutava il "compito per casa". Nella reciproca lunghissima collaborazione alla "Difesa del Popolo" credo di essere riuscito a farlo scrivere dell'argomento che a noi sembrava interessante non più di tre volte.
Ed era per questo che qualche articolo doveva aspettare: a volte l'attualità incombeva, facendoci preferire altri argomenti rispetto a quello scelto da lui. Ma era una "pausa" breve, come testimonia la frequenza della firma di De Marzi sul settimanale. Di un fatto posso essere testimone: nessun articolo di Fernando De Marzi è stato cestinato. Un primato forse irrepetibile, dato che penso che lo stesso don Alfredo Contran, da direttore, si sia trovato nella necessità di cestinare... qualche articolo proprio.

Sessant'anni di attività giornalistica. "La Difesa del Popolo" è l'ambiente in cui io ho condiviso il giornalismo con Fernando De Marzi giornalista. Ma per lui non è certo l'unico ambiente giornalistico che ha frequentato. Lo dimostra il fatto che era pressoché quotidiana la "citazione" dei suoi scritti e discorsi nei "lanci" dell'agenzia Agrapress di Roma. specializzata nel "notiziare" i problemi agricoli di tutto il mondo.
Una prima sintesi del suo lavoro giornalistico la fece nel giugno del 1979 "Il Gazzettino Agricolo" di Padova, nell'articolo in cui diede l'annuncio del conferimento a Fernando De Marzi del premio giornalistico nazionale "La penna d'oro 1979".
Ecco il testo.
Con vivo compiacimento questo giornale ricorda ai suoi lettori che uno dei suoi più fattivi collaboratori è stato premiato con l'assegnazione della "Penna d'oro 1979". Trattasi del sen. Fernando De Marzi al quale l'Associazione della stampa agricola, sotto l'egida e il patrocinio delle Fiere agricole di Foggia e Verona, in riconoscimento della sua poliedrica attività, ha voluto consegnare una delle 4 penne d'oro poste in palio, in campo nazionale, per il 1979.
Fernando De Marzi ha iniziato la sua attività giornalistica proprio scrivendo per questo giornale, "Il Gazzettino Agricolo", periodico che deve proprio a lui se ha potuto resistere alle vicissitudini, subite da certa stampa tecnica con l'avvento delle Regioni.
La motivazione della premiazione ricorda che Fernando De Marzi già negli anni 1936-40 iniziò giovanissimo la collaborazione giornalistica con "Il Gazzettino Agricolo di Padova" con la rubrica tributaria agricola. E' iscritto all'albo dei giornalisti dal 1948. Nel 1945 diede vita al "Notiziario agricolo" e negli anni dal 1946 al 1953 firmò una rubrica settimanale "Angolo dell'Agricoltore" su "L'Avvenire d'Italia" di Bologna. Nel 1948 iniziò e diresse per ventotto anni "L'amico del coltivatore" della Coldiretti di Padova. Nel 1952 diede vita a "Giurisprudenza agraria" che dopo due anni venne resa in sede nazionale. Ha pubblicato, e pubblica, in materia agricola su varie riviste fra le quali "Italia cooperativa", "Terra e vita", "L'informatore agrario", "Padova economica", ed altri. Da anni collabora settimanalmente a "La Difesa del Popolo" di Padova. La sua attività giornalistica - conclude la motivazione - è stata sempre improntata soprattutto a difesa dei più deboli che hanno diritto alla solidarietà anche a scapito di qualche "principio" molte volte detto, con troppa comodità, tradizionale e sacro".

Impossibile catalogare articoli, recensioni, rubriche, saggi, inchieste, reportages, fotocronache, fotomontaggi, soggetti cinematografici, un'attività pubblicistica per giornali e riviste, di diffusione nazionale e locale, di grandi e piccole tirature, nonché una serie di "notiziari" e "bollettini" di categoria che lui fondò, diresse o animò.
Complessivamente sono sessant'anni di ininterrotta attività come "pubblicista". Il suo primo articolo infatti risale ai primi anni Trenta, all'epoca del "Cineclub" e de "Il Bò" (il giornale degli studenti universitari padovani) e l'ultimo al giorno precedente la sua morte, scritto per "La Difesa del Popolo".

Gli strumenti della comunicazione in ogni attività. Riferendosi a questa esperienza, così commenta il curatore del volume "Il rigore della coerenza": Enorme fu insomma la sua produzione giornalistica che però rimase sempre un'attività accessoria a quella di sindacalista, di parlamentare ed anche di uomo di governo, attività svolta sempre con spirito cristiano a favore delle categorie più deboli della nostra società.
Ma davvero De Marzi giornalista fu un complemento secondario della sua attività professionale e politica?
Non per spirito di categoria, ma mi pare che probabilmente si potrebbe rovesciare la prospettiva e cominciare a considerare Fernando De Marzi un giornalista che si è espresso anche attraverso il sindacato e la politica e da ultimo nel volontariato sociale.
È un fatto che in ogni momento della sua attività egli ha accompagnato il "lavoro" principale con un'intensa attività di informazione.
In molta di questa attività egli ha utilizzato gli strumenti propri della comunicazione, cominciando dal suo primo incarico sindacale a Cittadella, per avviare il quale egli svolge due azioni tipicamente giornalistiche: un'inchiesta sulla situazione e sulle persone che determinano o subiscono la situazione; una documentazione fatta con uno strumento allora inconsueto, l'audiovisivo del tempo, cioè con la cinepresa attivata al mercato del lunedì della città dell'Alta Padovana.
Da uomo politico egli porta a Padova in fiera, il Festival del Cinema per l'agricoltura.
Alla scelta di volontariato sociale egli negli ultimi anni affianca l'impegno, puntuale come è sua caratteristica, al dialogo tra le persone attraverso il mensile "Scelte coraggiose".

Voleva fare il comunicatore. Del resto la sua "vocazione" esistenziale è il film documentario. Il suo primo tentativo professionale è nel settore della comunicazione; un settore certamente meno diffuso di oggi e quindi corrispondente più profondamente ad una vocazione innata. Le condizioni della vita non gli hanno consentito - fortunatamente, provvidenzialmente - di farne la componente esclusiva della sua attività. Ma non bisogna dimenticare questa origine se si vuole "capire" De Marzi: non solo il De Marzi giornalista.
È il 1932 quando un gruppetto di cinque amici tra i sedici e i diciassette anni, tutti alunni dell'Antonianum di Padova, costituiscono un cineclub. Con le quote di iscrizione riescono a girare alcuni filmini sempre più impegnativi fino a quello che fu il colpo d'ala del "Cineclub Padova": alla Mostra del Cinema di Venezia del 1934 il gruppo vince il primo premio della "Sezione passo ridotto". De Marzi dopo quel successo non intendeva più studiare sognando di potersi dedicare completamente al cinema da professionista. Il suo miraggio diventò il Centro sperimentale di Cinematografia di Roma.
Cinema e giornalismo furono per Fernando De Marzi le due grandi "passioni giovanili", che in realtà durarono tutta la vita. Risultano dunque non casuali i primi atti del primo incarico sindacale, che ho già ricordati.
Era il 1937, quando Fernando De Marzi, invece che a Roma ad occuparsi di cinema, si trovò a Cittadella ad occuparsi di agricoltura. Leggo nel volume già citato.
Egli fece subito "un'accurata ricognizione del territorio affidatogli per rendersi rapidamente conto della situazione economica e sociale in cui doveva operare ossia: quali erano i problemi e chi erano le personalità più rappresentative del mondo agricolo locale per poterle avvicinare e conoscere. Questa iniziativa gli comportò alcuni mesi di intenso e delicato lavoro - che oggi chiameremmo di "monitoraggio" - a conclusione del quale presentò al suo direttore una relazione-memorandum che fu molto apprezzata anche dalla Direzione Generale di Roma". Decise poi di "girare" un documentario sul mercato settimanale di Cittadella che lui tutti i lunedì mattina doveva frequentare per ragioni di ufficio. Ne nacque un film, che aveva per titolo "Lunedì a Cittadella" e per sottotitolo "Appunti cinematografici di uno che osserva"; un film pieno di annotazioni realistiche sulle condizioni e abitudini dei contadini locali e sui loro comportamenti ed atteggiamenti (interessanti anche dal punto di vista psicologico) nel trattare la vendita o l'acquisto del bestiame, delle sementi, degli attrezzi, eccetera e sulle furbizie dei mediatori e degli ambulanti. Sono riprese che, in sostanza, anticipavano di parecchi decenni la tecnica giornalistica della "candid-camera".

Il giornalismo di "partecipazione". Mi sono dilungato su questo episodio giovanile, non per una sua particolare rilevanza biografica, ma perché la tecnica professionalmente giornalistica utilizzata in quella circostanza da Fernando De Marzi corrisponde non solo al suo modo di fare giornalismo, ma anche al suo modo di intenderlo.
Egli è un giornalista che racconta la gente, dove il verbo "raccontare", non è solo descrizione, ma soprattutto partecipazione. È dare voce, è non isolare i problemi dalla vita di chi li affronta. Nessun problema è mai astratto nei suoi scritti.
Leggiamo questa pagina di "Scelte coraggiose" del maggio 1988. È esemplare di come lo stile giornalistico di De Marzi si applichi addirittura al commento del Vangelo. Egli racconta di Maria e scrive:
Vediamola mentre lavora il pane. A quei tempi ogni donna doveva fare quel lavoro e Gesù dice di una donna "che aveva messo il lievito in tre misure di farina affinché tutto fosse fermentato". E avrà, Maria, cucito e rattoppato gli abiti, filato la lana e, forse, la avrà anche tessuta. Gesù nel Vangelo ammonisce (avendolo certamente constatato in famiglia): "non bisogna mettere del tessuto nuovo sul vecchio affinché lo strappo non peggiori".
Portare l'acqua era un lavoro faticoso in quei tempi poiché i pozzi scarseggiavano ed erano per lo più fuori dai villaggi. Quando Gesù parlò con la Samaritana, che tanto desiderava quell'acqua, certamente avrà ricordato la sua mamma mentre tornava dal pozzo sotto il peso dei secchi.
Come nelle famiglie artigiane di allora, come di oggi, la donna è sempre una collaboratrice ed anche Maria avrà certamente aiutato il falegname Giuseppe. E lo stesso avrà fratto Gesù diventando grandicello. Guardando la Madre Celeste in questo modo possiamo comprendere meglio la grandezza del lavoro ed anche gli insegnamenti della povertà. Il versetto del Vangelo che raccomanda: "Cerca in ogni angolo anche una sola moneta affinché non vada persa". È una testimonianza della povertà di Maria.

Ecco il giornalismo di De Marzi. È il giornalismo come atto d'amore: questa volta è verso la Vergine Maria, ma non manca di citare le donne contadine e artigiane nella concretezza della loro vita di ieri e ci oggi.
De Marzi scrive per questo.
Ecco una sua "confessione" alla prima assemblea di artigiani che Fernando De Marzi tenne, nell'ottobre del 1958 a Roma, quale presidente della neonata Federazione nazionale casse mutue di malattia:
Sia quando scrivo che quando parlo amo andare sempre e subito al sodo, al pratico. Lo scritto - che rimane - è di sicuro fatto più con la mente che con il cuore ed esprime quindi con più precisione e completezza ciò che pensiamo. La parola - che invece vola - rivela immediatamente e con la massima sincerità e spontaneità ciò che abbiamo nell'animo. Quindi: per farsi comprendere vale meglio lo scritto. Per farsi amare vale meglio la parola.
Questo giornalismo di partecipazione è l'esatto contrario di quel giornalismo intellettuale, che pretende di insegnare ai lettori e più in generale di far da maestro ai cittadini.
È lontano anche dal giornalismo che non sa entrare dentro i problemi. Lo stesso De Marzi ne delinea le differenze nel corso delle giornate internazionali del Cinema e Tv per l'agricoltura del maggio 1971 nell'ambito della Fiera Campionaria di Padova. De Marzi si riferisce ai film, ma sono osservazioni che riguardano tutto il settore della comunicazione.
C'è la difficoltà della scelta di un linguaggio cinematografico specifico: "prevalentemente tecnico" o "prevalentemente divulgativo"? Non solo. C'è poi da decidere se si vogliono fare "film per l'agricoltura" oppure "film su l'agricoltura"! Alcuni film possono essere perfetti dal punto di vista scientifico ma che non insegnano però con efficacia all'agricoltore come e quando egli possa avvalersi degli ultimi ritrovati che l'industria è in grado di offrirgli oppure quali siano in pratica le modalità economico-finanziarie a lui più convenienti per gestire la sua azienda.
Questa comunicazione che sa interpretare le esigenze di informazione, non deve mai essere paternalistica. Ecco un altro passaggio di quelle Giornate padovane cinema, tv e agricoltura:
Qui si è anche detto che le nostre trasmissioni radiotelevisive avrebbero la pretesa di insegnare e c'è chi ha proposto questo confronto: ve lo immaginate se nelle trasmissioni di carattere sindacale, o per illustrare le innovazioni della Fiat, si volesse insegnare ai metalmeccanici come fare i bulloni? Succederebbe il pandemonio contro la Rai. E anche il nostro mondo ha il diritto di protestare perché non si ritiene così impreparato e non si riconosce in quelle trasmissioni pseudodidattiche. Quantomeno i programmi dovrebbero essere diversificati per età: "questa trasmissione è destinata ai giovani dai 15 ai 20 anni"; così se anche spieghiamo come si potano le viti, le generazioni adulte, che in campagna credono di averlo sempre saputo, non si sentirebbero misconosciute.

Tutto il lavoro merita rispetto. Questa citazione mi consente di passare rapidamente, come ho fatto per commentare il tipo di giornalismo, ai contenuti del giornalismo di De Marzi.
Certo semplificando, credo che si possano individuare tre linee maestre.
La prima è quella che traspare dalla citazione appena fatta: il rispetto del lavoro. Ogni lavoro, tutto il lavoro merita rispetto perché lo ha in sé, cioè lo ha nelle persone che lo svolgono. Sono centinaia gli articoli nei quali De Marzi non manca di richiamare il valore di ogni persona che lavora: donne ed uomini ai quali dà fierezza, sicurezza. Commentando nel 1961 l'enciclica di Giovanni XXIII "Mater et Magistra" avverte in primo luogo, che bisogna preoccuparsi dei problemi che sono "dentro" gli uomini dei campi.
Bisogna preoccuparsi cioè di togliere alle genti agricole il complesso di inferiorità in modo che esse possano continuare a lavorare, con orgoglio, sui campi e a sviluppare così la loro personalità individuale guardando fiduciose l'avvenire. Ma come togliere quel complesso? Ci conforta quanto è avvenuto nella provincia di Padova. Abbiamo lanciato da tempo, con successo, un appello sostenendo che il "Piano Verde", non è un programma che va visto solamente in funzione economica ma che deve essere visto e attuato anche in funzione sociale, culturale e morale in ogni luogo, in ogni posto, in ogni occasione, in ogni momento: dal comune alla scuola, dalla banca al mercato, dalla caserma alla parrocchia, da ogni circolo ricreativo ad ogni organismo sindacale, politico, scientifico, sportivo, perché dall'opinione pubblica il coltivatore, il contadino, è considerato "inferiore" più che da un punto di vita economico da un punto di vista sociale: quasi che il suo lavoro - pur essendo più importante e più faticoso - sia meno apprezzabile degli altri. Allora occorre che ciascuno di noi faccia qualcosa affinché l'uomo che lavora i campi si debba sentire, anziché vergognoso, orgoglioso di appartenere a questa categoria.

Alla scuola della Dottrina sociale. Ho scelto la citazione di questa enciclica sociale di Giovanni XXIII, perché ad essa Fernando De Marzi aveva dato un'ampia diffusione tra i soci della Coldiretti padovana. Avrei potuto attingere a centinaia di altre citazioni e commenti, presenti nei suoi articoli. Il riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa è infatti la seconda costante dei contenuti del giornalismo di De Marzi. Riferimento inevitabile per chi aveva scelto di vivere come attività principale quella di animatore della Dottrina sociale sia nel settore sindacale che in quello politico.
C'è in particolare un aspetto sul quale De Marzi insiste: il ruolo dell'Associazionismo. L'essere insieme, il fare insieme, lo sperare insieme: è per De Marzi contemporaneamente risultato ed attuazione della Dottrina sociale. Per questo i lavoratori autonomi di cui egli ci racconta non sono mai "soli"; la cooperazione, il legame sindacale, la scelta politica come identità collettiva, le mutue per le malattie, i gruppi giovanili, la Festa del ringraziamento annuale sono i soggetti di un ininterrotto "racconto" di impegno, di speranza e di sacrifici condivisi; sono la premessa per il progresso.

Il senso del progresso. Proprio perché inserita dentro un progetto non solo sociale e politico, ma più ampiamente sociale, il protagonismo delle persone singole ed associate, è nella realtà descritta da Fernando De Marzi un elemento di progresso. Ed è la terza costante nei contenuti del giornalismo di De Marzi.
Anche negli ultimi anni, quando lo smarrimento di un progetto complessivo di società poteva portarlo al pessimismo, Fernando De Marzi non ha mai scelto la posizione di un Catone il Censore. Accanto alla segnalazione delle difficoltà, alla denuncia dell'impotenza degli stessi parlamentari o dello stesso Governo, c'è, spesso nello stesso articolo e comunque nel complesso della produzione giornalistica di De Marzi, il senso delle conquiste che il regime democratico ha rese possibili.
In un articolo sulla "Difesa" nel maggio del 1984 egli scrisse ad esempio:
In agricoltura è necessario protestare per migliorare la propria condizione ma ogni protesta deve, nondimeno, saper riconoscere anche il cammino compiuto e le conquiste raggiunte.
A chi vuol prendere posizioni sui problemi e sulle scelte di ieri, bisogna anzitutto ricordare che nel 1945 nelle campagne padovane c'erano fittavoli su più del 75 per cento della terra e solo il restante 20/25 per cento era coltivato in proprio. Oggi la situazione è complessivamente capovolta per merito proprio di quei "Piani Verdi", ossia di quelle Leggi dette "assistenziali" e tanto criticate.
Alle nuove generazioni quindi cercheremo di spiegare cosa volevano quelle vecchie leggi. Il "Piano Verde" del 1961 fu il primo approccio ad un nuovo metodo di intervento pubblico in agricoltura. Si cercò il rafforzamento dell'impresa agricola con manifesta e ben dichiarata preferenza per la "impresa familiare".
L'altro "Piano Verde", quello del 1966, aveva come obiettivo l'irrobustimento della struttura "aziendale", ossia la funzionalità e la validità economica della impresa agricole. Anche in questo caso si accordò la preferenza alle "imprese familiari" e questo fatto dava enormemente fastidio a illustri tecnici di parte che volevano continuare a vedere la produttività agricola esclusivamente legata alle grandi estensioni.
Il dato più sbalorditivo è che proprio nel periodo del "boom" industriale, il prodotto lordo vendibile dell'agricoltura fu superiore a quello dell'industria per oltre un 6 per cento a dimostrazione che i miliardi dati all'agricoltura non furono sprecati.

Il coraggio della fiducia. Anche su un tema, quello dei contratti agrari, che all'inizio degli anni Settanta fecero di De Marzi il personaggio più discusso dell'agricoltura italiana, egli ha lo stesso atteggiamento: la duplice consapevolezza del cammino ancora da fare ma anche di quanta strada è stata percorsa. Ne scrive sulla "Difesa" del maggio 1983, dopo la promulgazione di una legge sui contratti agrari che modifica quella che portava il suo nome.
C'è chi ha scritto: "Oggi - dopo 38 anni - i Contratti Agrari sono giunti ad avere un testo legislativo completo in ogni settore". L'affermazione è vera solo in parte. Non sono infatti solamente 38 gli anni che la lotta è durata. Sono molti di più. La battaglia non è cominciata nel 1945 ma molti anni prima e precisamente nel 1920 con le Leghe Bianche e poi con le prime proposte avanzate dai Ministri cattolici del Partito Popolare per la definizione dei Contratti di Affitto e per la trasformazione delle Mezzadrie in Affittanze. Nel Padovano le lotte per questa trasformazione iniziarono addirittura nel 1945, al ritorno della democrazia, sempre per iniziativa del sindacalismo cattolico.
Durante tutti gli anni '50, '60 e '70 il problema dei Contratti Agrari si è mantenuto sempre assai "caldo": su di esso si accesero lotte violente, si svilupparono aspre polemiche, caddero Governi e vi furono crisi parlamentari.
Negli anni '80 il fragore della battaglia si è attenuato sia in campo politico che nelle pagine dei giornali. Può essere vero che è scemata l'attenzione verso l'agricoltura i cui problemi sono considerati, da gran parte dell'opinione pubblica, dei problemi ormai marginali (il che danneggia l'agricoltura). Infine si può anche supporre che la gente non creda più alle leggi come prima e sia indotta ad arrangiarsi come meglio crede e può. Eppure le leggi tanto desiderate dall'intero mondo agricolo per almeno un secolo adesso ci sono.

Alla certezza che dentro la Dottrina sociale della Chiesa ed attraverso le persone e le loro associazioni la vittoria non sarebbe mancata, egli ha dato testimonianza fino in fondo, cioè fino al momento di una morte, cui egli era certamente preparato ma che non aspettava per quel lunedì.
Sarà certamente difficile che ci ascoltino coloro che non vogliono sentire, ma l'agricoltura ha delle leggi naturali che alla fine si imporranno. Anche se dovremo, purtroppo, soffrire.
È l'ultima frase del suo ultimo articolo per la "Difesa".

Abbazia di Praglia, 21 novembre 1998


26 gennaio 2004
ag-017
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