Cari amici,
la Costituzione serve come sorpresa nell'uovo di Pasqua; nell'uovo ovviamente destinato ad Umberto Bossi e fatto confezionare dal ministro Roberto Calderoli con dentro il testo della "Riforma dell'ordinamento della Repubblica" approvata mercoledì scorso dal Senato. La costituzione al cioccolato è una sorpresa-patacca: ci vorrà comunque ancora tempo perché la deformazione costituzionale imposta da Berlusconi mercoledì al Senato diventi il nuovo testo della comune cittadinanza. Ma Calderoli aveva questo da offrire e a Bossi basta.
Anche questa costituzione al cioccolato serve infatti ad alimentare la leggenda della vittoria (o della sopraffazione) della Lega, che in questa Settimana Santa ha riempito il Senato (letteralmente: mai visti tanti senatori del centrodestra così assidui in 4 anni di legislatura), ha offerto materiale ai giornali (come se si trattasse di una novità e non fossero mesi che la notizia era di attualità), ha suscitato "pensieri" nei pensatori di professione (che evidentemente fino a mercoledì scorso avevano "pensato" che si trattasse di uno scherzo e avevano lasciato dire e fare a Berlusconi e alla sua maggioranza).
C'è meno regionalismo che nella Costituzione attuale. Le leggende hanno generalmente un'origine dalla realtà e quindi servono a spiegare quello che appare inspiegabile e contengono anche una dose di autoconsolazione. Racconta la leggenda della Costituzione da Settimana Santa: la deformazione costituzionale, ratificata mercoledì mattina dal Senato, è il risultato del ricatto della Lega alla maggioranza, è una rata dell'affitto da pagare per stare nella Casa delle Libertà. All'apparenza è stato così, con le dimissioni del ministro Calderoli, mai date, mai scritte, ma subito utilizzate dal presidente del Consiglio per far cambiare il calendario del Senato. In tutti gli interventi del centrosinistra il "ricatto della Lega" è diventato così l'origine della deformazione costituzionale. Di conseguenza i peggiori difetti del testo approvato da tutto il centrodestra sono stati individuati nella devoluzione.
Quando nell'aula del Senato, non avendo più minuti da utilizzare con le parole, abbiamo sventolato il Tricolore, molti tra noi dell'Unione avevano in mente la difesa dell'Italia dalla devoluzione leghista e dalla frantumazione istituzionale. Il giorno dopo molti tra i professionisti del "pensiero" hanno scritto commenti preoccupati sulla devoluzione e sui rischi per l'interesse nazionale.
Eppure dal testo deformato della Costituzione repubblicana non esce l'identikit di Bossi. Nel nuovo testo viene di fatto ridotta l'autonomia delle regioni e degli enti locali rispetto alla Costituzione riformata dall'Ulivo ed approvata dal referendum popolare. Si è giustamente espressa preoccupazione sul fatto che alle regioni è affidata la legislazione "esclusiva" in settori chiave: scuola, sanità e polizia amministrativa locale e sul rischio è di avere tanti sistemi scolastici, sanitari e di sicurezza quante sono le Regioni. Ma il fatto che istruzione e sanità pubbliche divengano materie di esclusiva competenza regionale non corrisponde ad una visione leghista, ma a quella berlusconiana del "mercato dei diritti"; basta contare quanti assessori leghisti alla sanità ci sono nelle regioni del Nord: neanche uno.
Chiari solo i poteri del premier sovrano. Articolo dopo articolo, obiettivo dopo obiettivo sono i tratti somatici del berlusconismo che si leggono chiaramente nella "Riforma dell'ordinamento della Repubblica". In particolare corrisponde alle molte affermazioni di Berlusconi la figura del premier-sovrano ben disegnata dalla deformazione costituzionale.
La legittimazione del premier avviene attraverso il voto popolare, che è di fatto un'elezione diretta. Infatti sulla base del risultato elettorale il capo dello Stato nomina primo ministro il candidato della coalizione vincente. Insomma non ha più bisogno della fiducia delle Camere per insediarsi. Può però sciogliere le Camere quando vuole. Determina (e non più dirige) la politica del governo, i cui ministri dipendono solo da lui.
Intanto il presidente della Repubblica è ridotto a spettatore della scena politica. Questa debolezza del Capo dello stato rende ancora meno federale la repubblica, perché egli non ha più il ruolo chiave dell'equilibrio istituzionale.
La Corte costituzionale è adeguata agli interessi della maggioranza eletta assieme al premier, attraverso un diverso sistema di elezione.
Nel Parlamento è eliminato il bicameralismo perfetto, di cui Berlusconi spesso si lagna, ma il nuovo percorso delle leggi tra Camera e Senato federale viene ancora più complicato, tanto che se non trovano l´accordo entra in funzione addirittura una terza assemblea: una commissione mista i cui 60 componenti sono indicati dai presidenti delle due Camere.
Aggiunta alla difficoltà di applicazione della "esclusiva" di alcune materie in capo alle Regioni, questa complessità aumenterà il contenzioso. Con due risultati: uno per la Lega che vedrà sfasciarsi il sistema italiano, uno per il premier-sovrano che potrà invocare continuamente i suoi poteri o accrescerli di fronte alla paralisi delle istituzioni.
Il partito di maggioranza ha parlato solo per sei minuti. Questa è la repubblica immaginata da Berlusconi ed ora disegnata dalla maggioranza parlamentare. Bossi ha offerto - come in molte altre occasioni - solo un falso obiettivo sul quale far concentrare l'attenzione degli italiani e del Parlamento. È il ruolo strategico della Lega nell'alleanza di centrodestra. Non è un caso che siano leghisti i ministri della Giustizia e del Lavoro, cioè di due settori chiave nei quali Berlusconi vuole realizzare la sua ideologia mercantile e individualistica.
Questa repubblica fa paura. Meglio convincere (ed autoconvincersi) che la deformazione costituzionale sia frutto solo della scelta di tenere in piedi la coalizione di governo: si capirebbe meglio come partiti nazionali (Udc e An) si siano adattati a difenderla e a votarla; risulterebbe comprensibile che gli ex democristiani presenti a frotte in Forzaitalia abbiano fatto prevalere la ragion di Stato.
Se è così - ecco l'autoconsolazione prevista in ogni leggenda - ben venga prima o poi il referendum popolare: gli italiani cancelleranno tutto e salveranno la Costituzione, quella vera.
A questa certezza si sono attaccati subito molti dirigenti dell'Unione. Non c'è stata dichiarazione di voto in Senato da parte di capigruppo di una delle forze del centrosinistra che non abbia detto, rivolgendosi alla maggioranza: votatevi pure questa deformazione costituzionale, ma ci sarà il referendum e i cittadini diranno che avete sbagliato. Toni e speranze da Settimana di Passione: morte e resurrezione di una Costituzione.
Alla resurrezione del referendum si sono appellati anche dirigenti autorevoli del centrodestra. Non lo hanno fatto certo in Senato (dove il più accanito difensore della deformazione è stato il capogruppo dell'Udc), ma appena fuori dell'aula (dove lavorano giornalisti e pubblicitari), appena dopo il voto, appena letti i giornali. Il messaggio che viene dal centrodestra è: siamo stati costretti a votare, ma non si arriverà fino in fondo; quando ci sarà il referendum, noi saremo dalla parte della Costituzione repubblicana, non di quella "bossiana".
Avanti con la leggenda, dunque!
Quando ci sarà il referendum, allora sì parleranno. Quando ci sarà il referendum, allora sì che sentiremo tutti in tv e in qualche piazzetta quello che io da senatore non ho ascoltato in Senato. Non ho ascoltato perché non hanno parlato. Forzaitalia, che è il partito maggiore, si era attribuita 100 minuti di interventi nel dibattito al Senato. I senatori di Forzaitalia hanno parlato in tutto per sei minuti: sei minuti di interventi per spiegare e difendere la modifica di 53 articoli della Costituzione.
Non avevano niente da dire, niente da precisare; nulla da lasciare agli atti parlamentari, come guida almeno all'applicazione della costituzione futura. Muti.
Ma quando ci sarà il referendum, allora sì potranno parlare. Se poi il primo firmatario della legge di deformazione costituzionale, cioè il presidente del Consiglio Berlusconi, non consentirà loro di parlare perché vuole fare il referendum costituzionale fra due anni, non sarà stata colpa loro.
Nell'avamposto della cittadinanza democratica. Importante è non parlarne adesso. Così come non ne hanno parlato con i cittadini, non ne hanno parlato in tv, non ne hanno parlato in Parlamento. Eppure il tempo per parlare l'avrebbero avuto: il disegno di legge è stato presentato al Senato il 17 ottobre 2003. Dal Senato è andato alla Camera il 25 marzo del 2004. Al Senato è ritornato - in buona parte riscritto e con un disegno generale di deformazione costituzionale - il 18 ottobre 2004. Non abbiamo sentito voci. Calderoli annuncia le dimissioni? Non abbiamo sentito Fini minacciare le sue dimissioni. Il moderato Follini non le ha neppure sussurrate.
La Costituzione è meno importante di tutto il resto. In questo - come in tutto - concordano con il loro presidente del Consiglio, il quale giustifica il rinvio del referendum costituzionale con queste parole: "Il referendum potrebbe assorbire tutta la campagna elettorale. Si rischierebbe che la campagna sui temi della modifica della Costituzione prenda il sopravvento". Il Patto di cittadinanza, le condizioni della democrazia, l'esercizio della sovranità popolare per Berlusconi, Fini, Follini e Bossi non valgono una campagna elettorale. Sono meno importanti del Ponte sullo Stretto, meno decisivi dell'Irap.
Per contrastare questa insignificanza della Costituzione mercoledì mattina ho sventolato il tricolore nell'Aula del Senato: l'ho sventolato non dalla trincea dell'interesse nazionale, ma dall'avamposto della cittadinanza democratica, che ha nel Parlamento la garanzia della sua espressione. Un avamposto nel quale chiamare molti cittadini, non una trincea in cui aspettare gli avversari della Repubblica.
Non aspetteremo che si compia il percorso della deformazione costituzionale. Non ci limiteremo ad accumulare le nostre ragioni in vista del referendum. Il contrasto è già possibile adesso, questa settimana. La deformazione costituzionale mette tra le competenze esclusive delle regioni la salute e l'istruzione, trasformando diritti di cittadinanza in materie amministrative. Dunque la parte finale del confronto per le elezioni regionali avvenga su questi temi. Chi vuole conservare i diritti civili alla salute e all'istruzione si difenda assegnando il governo delle regioni alle forze e alle persone che hanno questo obiettivo. Contemporaneamente difenderà con il voto la Costituzione repubblicana.