TINO BEDIN

Lettera dal Senato. 72 /13 giugno 2003
Si è concluso il percorso parlamentare

Più segreti nel commercio armi: una sconfitta per l'Italia e per l'Europa
La responsabilità del governo nel peggioramento della legge 185 e nel boicottaggio dell'Accordo europeo di Farnborough

di Tino Bedin

Sapevo, dopo la lunga resistenza al Senato in difesa della legge 185/90, che alla Camera più nulla sarebbe cambiato in meglio sulle nuove regole per il commercio di armi italiane. Le procedure parlamentari non offrivano del resto molte... armi. La scorsa settimana i deputati hanno definitivamente approvato il peggioramento della legge italiana e subito sono stato coinvolto (da qualcuno di voi direttamente, da altri di riflesso) nella constatazione e nella contestazione (costernate, amareggiate, indignate) di quel voto.
Le "segnalazioni" di disagio sono cominciate già prima del voto finale; anche il voto conclusivo nelle commissioni (favorevole per 16 a 15, con un solo deputato della Margherita presente) ha suscitato domande e incredulità.
Come ho fatto nel corso di tutti questi mesi, ne parlo con voi che mi avete coinvolto o che vi siete lasciati coinvolgere nella difesa della legge 185 del 1990.

Una regressione dell'etica pubblica, nazionale e internazionale. Non ve ne parlo per "dare spiegazioni"; non ne avete bisogno: i resoconti parlamentari sono eloquenti ed internet è una vetrina a cui nessun parlamentare - fortunatamente per la democrazia - può sottrarsi. Ne parlo perché né io né voi consideriamo l'impegno per la trasparenza nel commercio delle armi una scelta a tempo o secondo le circostanze. Alcune battaglie vanno sempre fatte. Non serviranno a "vincere", ma servono a mettere a nudo le responsabilità di chi decide e a dare voce alle persone che dalla politica chiedono di essere rappresentate.
È la scelta che abbiamo fatta al Senato. Le probabilità di "vincere" erano assai scarse, ma dovevamo far arrivare la voce della società ben dentro le istituzioni. Non abbiamo dato mai tregua e infatti la legge è rimasta ferma per nove mesi e governo e maggioranza sono stati costretti ad approvarsela nel momento "peggiore" dal punto di vista comunicativo, cioè sotto le bombe di Bagdad.
Su questioni di etica sociale non ci possono essere stanchezze. Né ci basta limitare i danni. Anche se qualche miglioramento si è ottenuto con la battaglia parlamentare, la nuova legge sul commercio di armamenti voluta dal governo e dalla maggioranza è una regressione proprio dell'etica pubblica, nazionale ed internazionale. Per questo al Senato tutto il centro-sinistra ha votato contro.

Le ragioni del voto contrario. Da ora in avanti il Parlamento e quindi l'opinione pubblica non potrà sapere quale è il valore finale del materiale di armamento esportato: un "segreto" che rischia di ridurre di molto la trasparenza sulle transazioni bancarie nella vendita di armi, che pure siamo riusciti a reintrodurre al Senato. Ecco un punto molto concreto su cui continuare l'impegno in difesa della legge 185.
È stato eliminato anche il "certificato di uso finale": insomma non sapremo a chi serviranno le armi prodotte e commercializzate. Fioriranno le triangolazioni che c'erano prima della legge 185 e che questa contrastava.
In alcuni casi non sarà nemmeno necessario ricorrere alle triangolazioni, per ampliare il mercato delle armi prodotte in Italia o solo esportate dall'Italia: questo mercato comprenderà anche gli stati in cui i diritti umani sono violati… solo un poco, basta che le violazioni non siano "gravi". È vero che ora sono indicate le istituzioni che devono giudicare le violazioni; questo è utile perché crea criteri uniformi. L'indicazione non c'era nella 185, ma proprio per questo il giudizio era affidato al parlamento attraverso l'esame annuale sull'applicazione della legge. Ora quel giudizio è affidato ad istituzioni multilaterali (Europa, Nazioni Unite) alle quali il Parlamento italiano ha ceduto parte della sovranità popolare, di cui titolare, senza contropartite e soprattutto abbassando la "soglia" della violazione.

Il trucco del governo sull'Europa. Nel peggioramento della legge 185 l'Europa non c'entra. Era la scusa trovata dal governo di Destra per abbattere una delle leggi-simbolo della partecipazione sociale e civile alle scelte di politica estera italiana. Nell'azione di contrasto del progetto del governo al Senato mi sono dedicato particolarmente a togliere al governo l'alibi della ratifica dell'accordo europeo di Farnborough. Quell'accordo non solo poteva essere ratificato senza modificare la legge 185 del 1990 ma, se ce la fossimo tenuta, proprio quell'accordo ci avrebbe consentito di far applicare la nostra bella legge anche alle coproduzioni europee.
Al Senato abbiamo ampiamente smascherato il trucco del governo e, partendo da qui, abbiamo realizzato l'unità dell'Ulivo nel voto contrario alla legge della Destra.
Alla Camera una parte dell'Ulivo (Margherita, Sdi) ha invece ritenuto di dover privilegiare nel voto la ratifica dell'accordo europeo sull'industria della Difesa, astenendosi o votando a favore, per confermare così ai partner europei che nel parlamento italiano le forze europeiste sono diffuse.
Resto dell'opinione che una legge vada votata nel suo insieme. Al Senato abbiamo votato a favore dei primi due articoli sulla ratifica dell'accordo di Farnborough, abbiamo vinto sulla trasparenza bancaria, ma abbiamo votato contro la legge: non solo nell'interesse italiano ma anche nell'interesse europeo.

Il governo boicotta l'accordo europeo. Ho ampiamente dimostrato nel dibattito in Senato che uno degli scopi della modifica della 185 imposti dalla Destra è proprio l'indebolimento dell'accordo tra i sei paesi europei sottoscritto dall'Ulivo nel 2000. Il governo Berlusconi estende unilateralmente le facilitazioni produttive e commerciali dell'Accordo di Farnborough anche a paesi terzi (tra questi, al maggior concorrente industriale e commerciale, cioè agli Stati Uniti) e in questo modo depotenzia il contenuto sia industriale che strategico dell'accordo stesso.
Un'industria europea della Difesa, strettamente collegata al corpo di pace europeo e quindi alla politica estera e di sicurezza comune, faticherà ancora di più a consolidarsi dopo questo autentico sgambetto del governo Berlusconi all'Europa.
Non si tratta di giudizi politici, ma di fatti. Nella legge c'è scritto chiaro. E i comportamenti della Destra italiana sono altrettanto chiari. Sono stati ricordati proprio nel dibattito conclusivo a Montecitorio. Ve li trascrivo, tanto per non continuare a citare il Senato e a citare me.
Il governo Berlusconi ha cominciato con il "ritiro dal progetto A400M, il grande aereo da trasporto europeo, che ormai è partito in grande tra Gran Bretagna e Spagna, Germania e Francia e altri paesi, mentre l'Italia ne è rimasta fuori". Lo stesso governo è arrivato, proprio il giorno dell'approvazione della nuova legge sulle armi, "al suggerimento apparso oggi sui giornali del Presidente del Consiglio a Finmeccanica perché non sia (come anni fa si poneva) elemento di raccordo fra le altre industrie dell'Europa, inglesi e francesi, ma costituisca elemento di rottura fra le industrie europee".
A questo governo, a questo presidente del Consiglio non era proprio il caso di affidare la gestione di un buon accordo europeo in una materia delicata come gli armamenti.
Il compatto voto contrario dell'Ulivo al Senato, che ho personalmente contribuito a realizzare, ha voluto anche segnalare che proprio l'Ulivo, dopo aver sottoscritto nel 2000 l'Accordo di Farnborough, per primo ne denuncia ora agli europei lo stravolgimento da parte del governo della Destra.

Una responsabilità della Destra. La responsabilità del peggioramento della legge sul commercio delle armi è infatti tutta ed esclusivamente del governo Berlusconi e della sua maggioranza parlamentare. Questo non va dimenticato né taciuto. L'iniziativa è stata loro. L'opposizione, nei due passaggi parlamentari, ha ridotto il danno, anche su aspetti qualificanti; non ha minimamente contribuito al percorso della legge. Nell'ultimo passaggio alla Camera gli spazi regolamentari erano praticamente inesistenti. Il risultato di 16 a 15 del voto conclusivo in commissione è sgradevole politicamente, non tecnicamente: senza la sua maggioranza presente il presidente di commissione avrebbe rinviato la votazione.
Sulle scelte e sui comportamenti dei singoli gruppi parlamentari dell'Ulivo nel loro complesso, i resoconti parlamentari di Senato e Camera danno un'immagine più vera che non quella che emerge da battute conclusive, nelle quali forse ha pesato anche la consapevolezza della sconfitta. Anche se resto però dell'opinione, come ho detto all'inizio, che ci sono battaglie che si fanno sempre e comunque.
Questa battaglia poi ha avuto ed ha una caratteristica speciale: essa è nata prima nella società e poi nel parlamento. Anche questo non va dimenticato né taciuto. Associazioni e persone, chiese e municipi hanno o spronato o aiutato (a seconda dell'atteggiamento) noi senatori e deputati.
Insieme dobbiamo dunque continuare.

Tino Bedin

Padova, 13 giugno 2003, festa di Sant'Antonio


14 giugno 2003
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