TINO BEDIN

Lettera dal Senato. 65 /24 dicembre 2002
Forse saremo chiamati a mettere in discussione storiche amicizie

La pace diventerà un atto di coraggio
L'augurio di Natale è anche preghiera e comandamento

di Tino Bedin

Stanotte le campane amplificheranno anche per chi non è in chiesa il primo augurio di Natale: "Pace in terra agli uomini di buona volontà". Non è solo un augurio, quest'anno. È una preghiera fatta a nome di coloro che già scrutano il cielo per vedere se da lì sta arrivando la morte. È un comandamento per coloro che hanno il dovere di scegliere la pace.
Stanno per arrivare, li viviamo già, giorni in cui ci si chiederà - a me parlamentare, a noi cittadini - il coraggio di stare dalla parte della pace.

Così non si allargano i confini della pace e della libertà. Non sarà come altre volte, pur drammatiche. Stando dalla parte della pace, questa volta ci ritroveremo infatti dalla parte opposta del presidente americano Bush; dalla parte opposta del rappresentante di un popolo che ci è amico e che ci è stato solidale proprio in una tragedia di guerra. Ma bisognerà farlo, perché la guerra preventiva è un ritorno indietro alle tragiche politiche che hanno insanguinato per millenni le famiglie e il paesi dell'Europa.
Tutte le generazioni europee che ci hanno preceduti e l'attuale generazione anziana ci raccontano che la pace e la libertà non hanno mai stabilmente allargato i propri confini quando sono arrivate sulle punte delle baionette o a bordo dei bombardieri. Nemmeno in nome della pace si può essere dominatori. Lo sanno anche gli americani.
"Qual è la responsabilità dell'America in questa nostra fase di predominio?", si è chiesto qualche giorno fa Bill Clinton sul Corriere della Sera. "In un mondo interdipendente, potremo fare da guida, non dominare… Non abbiamo altra scelta se non imparare a vivere insieme, optare per la cooperazione e non per il conflitto", si è risposto; ed ha così precisato la responsabilità Usa: "Io credo sia la responsabilità di costruire un mondo che vada oltre l'interdipendenza, nella direzione di una comunità globale integrata fatta di responsabilità condivise, vantaggi condivisi e valori condivisi. Dobbiamo sostenere le istituzioni della comunità globale, a cominciare dalla Nazioni Unite… Le Nazioni unite sono tutto ciò che abbiamo".

Ora che l'Onu è stata ridotta a poca cosa. Il fatto è che le Nazioni Unite sono state ridotte a poca cosa proprio dagli Stati Uniti. Giovanni Paolo II ci ha posto in questi giorni una domanda: "Non è forse questo il tempo nel quale tutti devono collaborare alla costituzione di una nuova organizzazione dell'intera famiglia umana, per assicurare la pace e l'armonia tra i popoli, ed insieme promuovere il loro progresso integrale?". Ci verrà probabilmente chiesto il coraggio di rispondere affermativamente, di ammettere da politici consapevoli che occorrono nuove regole nello stare insieme, regole frutto anche della pace e non solo della guerra (come sono le regole attuali).
Questo richiederà ancora più coraggio a stare dalla pace della pace, perché è probabile che alla fine sia l'Onu a dare formalmente il via libera ad una guerra già cominciata.
All'interno di questa scelta internazionale vanno compiute anche le scelte interne. Saremo contro la guerra perché abbiamo convinzioni opposte rispetto a Bush, non perché siamo all'opposizione in Italia. Qui da noi non occorre il coraggio; basta l'articolo 11 della Costituzione italiana per opporci ad un governo nel quale il ministro della Difesa dice che non parteciperemo alle operazioni in Iraq solo perché non abbiamo uomini a sufficienza.

Non erano meno complicati i tempi di Papa Giovanni. Ci basta la Carta europea dei diritti fondamentali. Saremo contro la guerra perché sappiamo che una guerra così presenta dei rischi per il sistema democratico europeo. Molti governi si metteranno nella condizione di andare contro le loro opinioni pubbliche. Il terrorismo (sia praticato che temuto) comporterà una riduzione dei diritti di cittadinanza cui gli europei sono affezionati (gli Stati Uniti vivono già questa condizione e in Europa la libera circolazione prevista dal Trattato di Schengen ha qualche limitazione).
È esattamente la strada opposta sulla quale si è definitivamente incamminata l'Europa con il recente Consiglio europeo di Copenaghen; qui abbiamo insieme deciso di fare pacificamente quello che storicamente è sempre avvenuto con la guerra: allargare i confini, allargare i confini dell'Europa. E lo abbiamo fatto non per ragioni economiche, ma per estendere pacificamente proprio i diritti di cittadinanza.
Una guerra finirà con rallentare il processo di allargamento dell'Unione Europea, sia per i suoi costi economici, sia per le differenze che potrebbero emergere. Anche perché vogliamo che si realizzi questa vittoria della pace, non potremo che opporci alla guerra.
Quarant'anni fa, quando Papa Giovanni metteva l'augurio di Natale "Pacem in terris" come titolo della sua enciclica, il mondo non stava meglio di oggi. Allora un Papa e molti governanti ebbero il coraggio della pace e vinsero. Ci si può riprovare.

Tino Bedin

Padova, 24 dicembre 2002

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24 dicembre 2002
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