Lettera dal Senato. 63 /14 novembre 2002
La visita di Giovanni Paolo II al Parlamento italiano
A Montecitorio ha suonato la campana di Cracovia
Noi senatori e deputati abbiamo un po' "votato" con gli applausi
di Tino Bedin
L'abbiamo un po' strattonato questo Papa che è venuto tra noi: a parte l'applauso di saluto e quello di commiato (intensi, lunghi, in piedi, di tutti) nessuno degli applausi che hanno sottolineato l'intervento di Giovanni Paolo II in Parlamento è partito contemporaneamente da destra e da sinistra. Una volta partiva da una parte (la crisi delle nascite, ad esempio), una volta da sinistra (la disoccupazione, soprattutto giovanile, ancora per esempio), poi ci coinvolgeva tutti più o meno intensamente.
Noi a votare con gli applausi, lui a suggerire la coesione. Non potendo votare in un'aula solitamente siamo chiamati a farlo, noi senatori e deputati avevamo cominciato subito… a votare con gli applausi: assolutamente corali per Carlo Azeglio Ciampi e anche per il cardinale Sodano e perfino per il cardinale Ruini; rigorosamente di maggioranza (pochi istanti prima) per Silvio Berlusconi.
Confesso che mi sono quasi… colto in fallo da Giovanni Paolo II qualche minuto dopo, quando nella prima parte del suo discorso ha detto ai miei colleghi e a me di "ritenere che, per meglio esprimere le sue doti caratteristiche, l'Italia abbia bisogno di incrementare la sua solidarietà e coesione interna". Era probabilmente l'idea di fondo che Giovanni Paolo II voleva lasciare a noi, perché la portassimo ai nostri concittadini, ai nostri elettori; perché la praticassimo nelle nostre decisioni.
Un'idea per impostare una scuola condivisa. Un esempio di come questa coesione si possa realizzare, il Papa ce l'ha offerto a proposito della scuola.
Poteva essere - come spesso accade, fino a farne oggetto, in Veneto, di un referendum - l'occasione di una legittima richiesta; è diventata l'offerta di contenuti in grado di creare coesione nelle decisioni. Ecco come: "In un tempo di cambiamenti spesso radicali, nel quale sembrano diventare irrilevanti le esperienze del passato, aumenta la necessità di una solida formazione della persona… È mediante la cultura che l'uomo diventa più uomo, accede più intensamente all'"essere" che gli è proprio. È chiaro, peraltro, all'occhio del saggio che l'uomo conta come uomo per ciò che è più che per ciò che ha… Proprio per questo una Nazione sollecita del proprio futuro favorisce lo sviluppo della scuola in un sano clima di libertà, e non lesina gli sforzi per migliorarne la qualità, in stretta connessione con le famiglie e con tutte le componenti sociali".
Per darci coraggio, il coraggio della pace. Confesso che anch'io ho… votato con l'applauso. È avvenuto con l'ultima frase di Giovanni Paolo II prima del saluto conclusivo. Il Papa ci aveva offerto alcune idee sul bisogno di pace e sulla condizione di conflitto e stava così concludendo: "L'Italia e le altre Nazioni che hanno la loro matrice storica nella fede cristiana sono quasi intrinsecamente preparate ad aprire all'umanità nuovi cammini di pace, non ignorando la pericolosità delle minacce attuali, ma nemmeno lasciandosi imprigionare da una logica di scontro che sarebbe senza soluzioni". Mi sono venuti in mente Saddam e Bush e sono partito con l'applauso.
Mi rendo conto che in tema di pace non c'è proprio bisogno di strattonare Giovanni Paolo II e che quell'applauso era piuttosto un darci coraggio, il coraggio della pace.
Nominava la "Sigismonda" come la voce di una persona cara. Invece il Papa non ci ha mai strattonati, né come Parlamento né come singole persone. La mano con cui a lungo ci ha salutati, soprattutto a conclusione dell'incontro non ha mai compiuto il gesto della benedizione. A me sembrava naturale che lo facesse, me l'aspettavo, ma il Papa ha saputo portare rispetto a tutte le persone che erano lì, anche a quelli che c'erano per ascoltarlo come autorità religiosa ma non come guida spirituale. Questo gesto mancato, mi sembra ora uno dei più bei gesti di questo incontro.
Il più bel gesto "nostro", fatto dal Parlamento è stato certamente sostituire la tradizionale campanella con cui aprono e si chiudono le sedute, con la riproduzione della "Sigismonda", la più storica delle campane di Cracovia.
È stato un bel gesto nei confronti del Papa: nel ringraziamento conclusivo Giovani Paolo II ha chiamato la "Sigismonda" con il suo nome polacco, quasi come nominasse la voce di una persona cara; ed è stato l'unico momento in cui la parola del Pontefice si è velata di commozione, di nostalgia.
Quell'omaggio è stato un bel gesto anche istituzionale: siamo così sicuri della nostra democrazia da poter suonare in Parlamento le campane di una cattedrale.
Tino Bedin
Roma, 14 novembre 2002 |