TINO BEDIN

Lettera dal Senato. 56 /25 novembre 2001

La Finanziaria non ne tiene conto

Nel mondo c'è una guerra,
ma Tremonti non lo sa
La Destra continua a governare per sé e per i propri simili

di Tino Bedin

È un'Italia isolata quella che emerge dai primi sei mesi del governo della Destra: isolata per propria scelta; chiusa a fare gli affari propri; incapace di una reazione immediata, coinvolgente di fronte alle novità.
Quello che è non pianificato dall'ufficio pubblicità non si fa. Ci hanno messo due mesi per far sventolare le bandiere americane: dall'11 settembre sono arrivati a novembre. E quello che il marketing ha deciso, si fa, si vende: senza interrogarsi sui cambiamenti che avvengono. Domenica 18 novembre sono partiti i nostri militari per lo scacchiere dell'Afghanistan. Il governo ha messo in scena la partenza come se nel frattempo non fosse avvenuto lo sgretolamento dei talebani; come se non si aprissero altri scenari. Ci ha provato il ministro Ruggiero, ma è stato zittito.
Come se l'11 settembre fosse stato un giorno qualsiasi. La stessa cosa è avvenuta nella prima fase della legge Finanziaria al Senato. Abbiamo vissuto il confronto di queste settimane su questo provvedimento in un clima surreale, come se stessimo discutendo di altro, senza la possibilità di intervenire sul problema principale.
Pensata e scritta prima dell'11 settembre, ma discussa assai dopo e soprattutto destinata a incidere nel 2002 e negli anni seguenti, questa legge Finanziaria non è stata cambiata in nulla per dare risposte all'11 settembre. Così una manovra di finanza pubblica già di per sé assolutamente inadeguata, risulterà inefficace. Il problema dell'Italia (comune a tutta l'Europa) è infatti riuscire ad invertire il clima di sfiducia che sta aprendo varchi nell'opinione pubblica, negli operatori, nell'economia.
Le difficoltà derivanti dal contesto mondiale indubbiamente rappresentano un ostacolo aggiuntivo per il raggiungimento di quel 2,3 per cento di crescita che è stato previsto per il 2002 nella Relazione previsionale e programmatica, e certamente peseranno sullo stesso obiettivo di crescita previsto per quest'anno. Certo, non è responsabilità del Governo non aver previsto il dramma dell'11 settembre, ma è responsabilità grave del Governo aver fatto credere al Paese che fosse possibile una crescita del 3 per cento, ritenuta impossibile da tutti i più accreditati istituti di ricerca, ed è soprattutto responsabilità del Governo non aver organizzato una risposta adeguata al nuovo, difficile quadro che si è posto a livello internazionale. A fronte di questa situazione, sarebbero occorsi interventi straordinari, correttivi delle impostazioni originarie della legge Finanziaria, per creare i presupposti e le condizioni ai fini di assicurare una maggiore crescita dell'economia rispetto alla congiuntura negativa. Di fronte a questo, sarebbe stato necessario che la finanziaria prevedesse nuove politiche di carattere fiscale per stimolare il rilancio della crescita, lo sviluppo, e aumentare i consumi delle famiglie.
L'Ulivo si assunse la responsabilità dell'Europa. Ben altro il senso di responsabilità dell'Ulivo. Va ricordato, va rivendicato anche questo dei cinque anni che hanno riportato l'Italia tra le nazioni che progettano il futuro.
Ricordate quella finanziaria di Prodi già impostata. Il suo viaggio in Spagna, il suo incontro con Aznar. E il ritorno con la consapevolezza che c'era chi riteneva più opportuno lasciare l'Italia (e la Spagna) fuori dalla moneta unica. E la decisione presa contro le promesse elettorali: la promessa che l'Ulivo non avrebbe all'inizio diminuito ma neppure aumentato le tasse; il rischio assunto da autentica forza di governo con la modifica della finanziaria e l'introduzione della "tassa sull'Europa". Era in gioco l'Italia allora. Anzi era in gioco l'Europa. E una maggioranza che pure si reggeva sui voti di Rifondazione, una maggioranza che aveva a cuore l'Italia e non i propri sponsor; quella maggioranza dell'Ulivo propose agli italiani una sfida ed insieme agli italiani quella sfida è stata vinta.
La ricetta di Tremonti peggiora la salute generale. La Destra, invece, ha puntato tutto su provvedimenti ed interventi che dovrebbero incentivare le imprese ad espandere i loro investimenti, mentre si imponevano e si impongono misure volte soprattutto a stimolare i consumi, perché le imprese investono quando hanno elevate aspettative di profitto e non quando non vi è mercato e quindi non vi è domanda.
E i fatti cominciano anche a dimostrare che i provvedimenti di Berlusconi-Tremonti sono ben lontani dal causare i miracolosi effetti che sono stati sbandierati in campagna elettorale e subito dopo. Se è vero quanto si ricava dall'indagine resa pubblica in questi giorni dalla Banca d'Italia, dalla legge Tremonti-bis sta scaturendo uno scarsissimo effetto sul livello di investimenti delle nostre imprese. È certo presto per trarre conclusioni, ma è altrettanto certo che l'avvio non è affatto incoraggiante.
È questa scelta politica della Destra che rende l'intera manovra iniqua, perché tutte le misure in materia fiscale, quelle assunte e quelle che saranno adottate, finiscono per privilegiare solo ristrette categorie e strati già ricchi della popolazione. Cos'è la "Tremonti-bis", cosa sono i condoni e le sanatorie se non un assecondare una parte del sistema delle imprese, mai sazia di agevolazioni e benefici, malgrado quanto ottenuto anche negli anni dei sacrifici per raggiungere il "traguardo Europa" e che è disponibile ad investire nella ricerca e nell'innovazione tecnologica, solo però a spese della collettività? La Tremonti-bis aprirà una voragine di 23 mila miliardi nel bilancio dello Stato, che tutte le famiglie italiane saranno poi chiamate a pagare.
E bisogna aggiungere la detassazione totale delle grandi eredità e delle donazioni, il condono di fatto a chi ha nascosto i propri capitali all'estero o in Italia, la progettata riduzione a due delle aliquote Irpef: tutto ciò è in contrasto con il principio della capacità contributiva, previsto dalla Costituzione repubblicana, e dell'imposizione progressiva.
Appartiene alla stessa politica l'iniziativa di abbassate i diritti e le garanzie sociali per milioni di lavoratori, chiedendo, con una legge delega per la riforma del mercato del lavoro, la cancellazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Non considerano la coesione sociale una risorsa. Anche in questo la Destra continua a governare per sé e per i propri simili. La legge finanziaria e più in generale l'insieme dei provvedimenti economici e sociali varati dalla Destra in questi mesi configurano una riduzione della direzione pubblica, una caduta della decisiva funzione riequilibratrice dello Stato, una privatizzazione di funzioni e competenze sociali fondamentali senza liberalizzazione; delineano una visione sociale in cui, non avendo valore, vengono colpiti il solidarismo e più in generale quel senso di coesione sociale che può far crescere un Paese nella giustizia sociale. Coesione sociale che negli anni scorsi, in una fase difficilissima della vita dell'Italia, nella ristrettezza delle risorse disponibili e nei sacrifici chiesti per entrare in Europa, l'Ulivo è invece riuscito ad affermare e a difendere.

Tino Bedin

Padova, 25 novembre 2001

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