SCUOLA

Ritorna in Parlamento un tema lasciato in silenzio da 15 anni
Detrazioni fiscali per le spese scolastiche:
parità tra famiglie e tra scuole

Un cammino iniziato nel 2000 dall'Ulivo ed abbandonato dalla Destra

di Tino Bedin

Per due settimane Matteo Renzi è andato… a scuola impreparato. Ha cioè dovuto rinviare l'argomento scuola dall'agenda del Consiglio dei ministri. Poco male per la Scuola italiana, se la proposta del governo sulla "Buona Scuola" arriva a metà marzo invece che alla fine di febbraio: l'importante è che il Partito Democratico e la maggioranza di governo abbiano posto fra le priorità dell'ammodernamento dell'Italia il sistema formativo e che questa decisione faccia discutere la società italiana e non solo la politica.
Queste due settimane comunque sono state utili.
Intanto si è stabilito che la scuola italiana merita una discussione approfondita, cui tutte le parti in causa (dai decisori politici agli operatori agli utenti) possono dare il loro contributo. Quindi il governo non farà un decreto legge (come aveva già con sicurezza preannunciato), ma un disegno di legge. La differenza è di sostanza, perché il testo sarà il risultato del lavoro parlamentare e potrà quindi far sintesi anche di posizioni politiche non convergenti.
Sulle ragioni della scelta di questo percorso non mi soffermo, anche se dubito che sia stata una scelta "spontanea" di Matteo Renzi. Il dubbio è avvalorato dalla determinazione con cui comunque vuole tenere insieme riforma della scuola (che è tipica materia parlamentare) e assunzione in ruolo di decine di migliaia di insegnanti precari (che è tipica materia di governo e quindi di decreto legge).
Inoltre queste due settimane stanno contribuendo a riempire un vuoto delle linee guida del governo sulla scuola: una parte del sistema formativo, quello costituito dalle scuole paritarie, era stato praticamente assente nel dibattito preliminare sulla riforma.

Applicare la legge Berlinguer. Ora finalmente il tema è riapparso ed anche con posizioni ed idee che riportano a quindici anni fa, alla grande riforma culturale e strutturale per la scuola italiana costituita dalla legge 62 del 2000, con la quale l'Ulivo - era ministro dell'Istruzione Luigi Berlinguer - ha riconosciuto in Italia un unico sistema nazionale dell'istruzione pubblica, composto da scuole statali e paritarie. Si tratta di un sistema ben strutturato, che proprio perché unitario prevede verifiche e controlli da parte dello Stato consentendo di eliminare dal sistema stesso i cosiddetti "diplomifici", cioè imprese meramente commerciali che non hanno base comunitaria.
La Destra di Berlusconi e della Lega, arrivata subito dopo al governo, ha del tutto disatteso quella legge, mentre avrebbe dovuto darle corso nell'aspetto non ancora completato: come rendere effettiva dal punto di vista economico la possibilità di scelta delle famiglie, nel rispetto dell'esplicito dettato costituzionale.
Era un aspetto sul quale l'Ulivo aveva già fatto molti approfondimenti. Ricordo che con altri senatori dell'Ulivo avevamo avanzato un'opzione: rendere "paritari" anche gli insegnanti, costituendo un'unica graduatoria di insegnanti abilitati e tutti dipendenti dallo Stato, dalla quale avrebbero dovuto attingere - scegliendo con libertà - le scuole paritarie. Resto ancora convinto che sia la strada maestra, sia dal punto di vista costituzionale, sia per la libertà di insegnamento (non solo delle famiglie, ma anche dei docenti) e per la trasparenza. È un'opzione indubbiamente complessa e forse non matura in questo momento.

Il diritto in capo allo studente. Mi pare quindi buona la soluzione che in molti sostengono in questi giorni: lo strumento fiscale. La riassume così una lettera che 44 deputati di maggioranza hanno scritto sull'argomento a Matteo Renzi: "La scelta degli strumenti più idonei per il raggiungimento di un'effettiva parità è vasta e la sua applicazione può essere graduale. Un sistema fondato sulla detrazione fiscale, accompagnato dal buono scuola per gli incapienti, sulla base del costo standard, potrebbe essere un primo significativo passo verso una soluzione di tipo europeo. Ricordando di prevedere risorse per il diritto allo studio, che dentro il sistema nazionale pubblico segue lo studente e non la tipologia di scuola, dall'integrazione dei diversamente abili ai corsi di recupero, alle innovazioni tecnologiche".
All'inizio della lettera i 44 deputati focalizzano il problema: "Dall'unità nazionale in poi, si è discriminato l'accesso alla scuola pubblica non statale da parte delle famiglie meno abbienti, si è trasformata una scuola a vocazione comunitaria in una scuola per ricchi e si sono costrette le famiglie che decidono di optare per la scuola non statale a una doppia imposizione, quella della tassazione generale e quella delle rette".
Da parte loro 25 senatori del Partito Democratico hanno attualizzato il tema, in un'altra lettera al presidente del Consiglio: nonostante la legge 62/2000 (quella della parità) stanzi dei fondi, questi sono scesi, e anche il taglio da parte degli Enti locali "sta mettendo drammaticamente a rischio la sopravvivenza di un servizio sicuramente pubblico, che consente un pluralismo educativo e anche forme virtuose di concorrenza".

Maria Montessori e Don Milani. Come si vede, il dibattito parlamentare è proprio utile in questa materia. E Luigi Berlinguer, che vede finalmente un'occasione per applicare la sua legge del 2000, commenta con decisione. "È davvero arrivato il tempo di chiudere questo conflitto del Novecento: scuole statali contro private. Non esiste, non è più tra noi, ci ha fatto perdere tempo e risorse. Basta guardarsi in giro e si scopre che l'insegnamento è pubblico, fortemente pubblico, ma può essere somministrato da scuole pubbliche, private, religiose, aconfessionali in una sana gara a chi insegna meglio. L'Olanda fa gestire allo Stato solo il 30 per cento delle scuole, la Svezia ha passato la gestione ai comuni, l'Inghilterra ha ridotto sensibilmente la presenza statale, la Francia di Voltaire con la legge Debré ha impresso una linea diversa. L'Europa ha cambiato atteggiamento, in Italia siamo fermi alla confusione che scuola pubblica sia uguale a scuola statale".
E i 44 deputati ricordano che "se fosse pubblico solo ciò che è statale, l'Italia non potrebbe vantare due giganti della pedagogia moderna come Maria Montessori e don Lorenzo Milani".

Rispetto della Costituzione. La strada delle detrazioni fiscali è coerente con la Costituzione: si sostengono le famiglie, non si finanziano le scuole. Inoltre le detrazioni fiscali sono possibili per le spese nell'intero sistema pubblico di istruzione, quindi non solo per le paritarie, ma anche per le statali (che sempre di più stanno chiedendo compartecipazioni alle famiglie): poiché è un sistema sul quale lo Stato esercita un controllo e dove i titoli di studio hanno lo stesso valore, è naturale che progressivamente le famiglie siano anch'esse poste sullo stesso piano.
È prevedibile che governo e parlamento si incammineranno su questa strada, appunto, "progressivamente". Immagino che ci saranno strumentalizzazioni politiche di chi chiederà comunque un euro in più.
Comunque la scelta che conta è il riconoscimento della titolarità di famiglie e comunità nella formazione dei giovani: il resto verrà naturale, magari anche con qualche strumento in più accanto alle detrazioni, come il buono scuola, le convenzioni con le scuole, le deleghe ai comuni e - ne resto convinto - un unico corpo docente per la scuola pubblica, statale e paritaria.

15 marzo 2015


sc-042
12 marzo 2015
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Tino Bedin