IN DIALOGO TRA CITTADINI
Modena, 9 ottobre 2001

Poche le risorse stanziate nel decreto sulla spesa sanitaria
Criteri scientifici e non economici
per la cura dei cardiopatici

Ma non vi è cenno sulla efficiacia e sulla qualità delle prestazioni
 
I nostri cuori un po' acciaccati hanno risentito notevolmente di quanto, per insane volontà o per tragico destino, si è determinato in questi giorni. Eppure, anche in una siffatta temperie, in attesa di un'alba migliore, non possiamo non considerare gli aspetti di Politica Interna che ci chiamano in causa direttamente: ne andrebbe del nostro futuro!
Ci riferiamo al decreto legge "interventi urgenti in materia di spesa sanitaria" che, per quelli che ci sembrano i suoi palesi contenuti, rischierà, non ne nascondiamo il timore, di gettare un'ombra di costernazione sulla tutela svolta dai nostri Governanti nei confronti dei Cittadini cardiopatici e malati cronici.
In particolare, prendiamo atto della esiguità delle risorse previste dal D.L. n° 347 del 18 settembre 2001, in un panorama di posizionamento europeo che vede noi italiani protagonisti socio-politici al pari di Francia e Germania ma, inspiegabilmente, meno lungimiranti di quei Paesi sul terreno dei necessari investimenti in tema di prevenzione.
Occorre, a nostro avviso, destinare adeguate risorse prima che un cittadino si ammali e rischi di dover fare ricorso all'ambito ospedaliero e, per fare questo, occorre investire senz'altro più consistentemente (non si tratta, quindi, di costi) prima che i cittadini rischino la salute e l'invalidità; prima, cioè, che gli esborsi dello Stato (o delle Regioni) siano enormemente maggiori e, in definitiva, prima che sia troppo tardi!
La spesa in sanità, specie se indirizzata a monte dell'evento patologico, è da riguardare quale investimento e non quale costo.
Noi cittadini cardiopatici ci meravigliamo anche di non essere ancora stati interpellati dal Governo per l'importantissima definizione dei livelli essenziali di assistenza (chi li conosce meglio di noi e dei nostri famigliari?) e per la determinazione di quei criteri scientifici, piuttosto che economici, atti a garantirci il necessario accesso alle cure. Inoltre le 61 Associazioni da noi coordinate, come tutte le Onlus, attendono ancora il regolamento per l'attuazione dell'articolo 96 della legge 342/2000, oggi all'esame del Gabinetto del Ministro Maroni.
In breve sintesi, non si possono gravare le donazioni che noi facciamo alle aziende pubbliche della sanità, ai 118, agli ospedali, del 20 per cento dell'Iva, senza consentire il recupero di questa autentica tassa sulla solidarietà umana.
Prof. Gianni Spinella
Presidente del CONaCuore
Risponde Tino Bedin
Questo decreto non affronta e quindi non scioglie il nodo dei livelli essenziali di assistenza. Non si tratta di una cosa astratta, ma dei diritti dei cittadini alla salute, all'accesso alle prestazioni, all'equità delle cure.
È vero che la spesa sanitaria deve essere governata - occorre cioè controllarla, conoscerne i flussi e i meccanismi di crescita nelle diverse componenti - ma il governo della spesa sanitaria è altra cosa rispetto alla riduzione tramite tagli. L'imposizione di un tetto della spesa non è un meccanismo di governo, ma un meccanismo di contenimento, che conferma una sensazione: nella sanità, come in altri campi, è il ministero del tesoro a dettare le linee di politica economica e di politica sanitaria. Ciò non sia accettabile. Di questo passo i livelli di cura diventeranno quelli sostenibili, cioè quelli che la sola spesa ci consentirà, non più quindi nel rispetto dei diritti costituzionali.
Lo conferma il fatto che non vi è nel testo del decreto alcun accenno all'efficienza e alla qualità delle prestazioni. Non è possibile obbligare i direttori generali al solo equilibrio economico, senza alcun rapporto con il raggiungimento di determinati livelli di efficienza e di qualità e senza previa definizione dei livelli essenziali di assistenza. Così facendo si spingeranno i direttori generali a chiudere i reparti più costosi (rianimazione e terapia intensiva, per esempio) e a favorire le prestazioni meno costose. Avremo perciò chirurghi generali che saranno indotti ad effettuare più interventi di appendicectomia e meno trapianti di fegato; chirurghi vascolari che eseguiranno più interventi di varici e meno interventi per aneurisma o di bypass ortocoronarici.
A questo il decreto aggiunge che ogni regione stabilirà singolarmente il proprio sistema farmaceutico, in base alle proprie disponibilità finanziarie. Questa è la fine dell'universalità e dell'uniformità del Sistema sanitario nazionale.
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26 ottobre 2001
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Tino Bedin