RASSEGNA STAMPA

La Repubblica,
22 ottobre 2001

Amato, appello sulla guerra
"Ulivo unito o l'Italia è più debole"

"La forza di un paese è negli indirizzi che sa esprimere al di là degli schieramenti" L'INTERVISTA

di Antonio Polito

ROMA - Neanche a Giuliano Amato piace questo clima di derisione che comincia a circondare il governo italiano all'estero. Gli racconto di un servizio al vetriolo della Reuters, lanciato da Gand venerdì sera, che finiva così: "Berlusconi ha detto che non parlerà più per quattro anni. Diplomatici europei hanno commentato: farebbe un favore a se stesso mantenendo la promessa".
"Guai se cominciano a trattarci come un materasso su cui saltare, perché in quel materasso ci siamo anche noi, e un giorno salteranno anche sulla testa di qualcun altro".
Ma l'opposizione non potrebbe far qualcosa per aiutare l'Italia a riconquistare un peso internazionale più adeguato?
"L'opposizione potrebbe manifestare più fermezza e chiarezza su una posizione comune italiana, in questa vicenda terribile della lotta militare al terrorismo. La forza di un paese è la forza degli indirizzi che sa esprimere al di là delle persone e degli schieramenti. Da questo punto di vista non sono soddisfatto. Ovunque in Europa ci sono sentimenti pacifisti nella sinistra, che fanno parte della sua tradizione, ma solo in Italia hanno minato l'unità complessiva della coalizione riformista nelle sedi istituzionali, come è avvenuto nel voto in Parlamento. Me ne rammarico".
Come giudica l'esclusione italiana dal prevertice a tre?
"Non drammatizzerei. Sono stato il primo a riconoscere che l'Italia è in posizione diversa dai due paesi europei con un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu, Gran Bretagna e Francia, e dal paese leader del continente, la Germania. Sono dati di fatto, di cui bisogna essere consapevoli. Del resto, l'offerta italiana di mezzi e truppe per il teatro afghano non è stata ancora accettata dagli Usa, come invece, mi pare, è accaduto per gli altri tre. Ma io mi domando: il centrosinistra, nelle condizioni in cui si è presentato in Parlamento, sarebbe stato più pronto e deciso in quell'offerta se fosse stato al governo? Credo che sia l'ora di chiedercelo".
Che cosa può fare il governo Berlusconi per risalire la china?
"Deve adoperarsi, senza complessi e anche con atteggiamenti critici verso gli altri, perché l'Europa possa giocare quel ruolo di "global player" che è ancora in fieri. Questa vicenda dimostra che il mondo risente dell'eccesso di dominio americano. La solitudine della superpotenza è un problema per il mondo e per gli stessi Usa. Prima dell'11 settembre c'è stato un ribollire di movimenti la cui domanda di più democrazia si traduceva in una domanda di meno America. Ciò che è successo, in un modo delirante e deformante, ha amplificato l'idea che l'America sia il Satana. E' un problema reale, che drammatizza i conflitti. Lo possono risolvere gli Usa, rinchiudendosi nell'isolazionismo? Ma è quello che tutti speriamo non facciano. Possono risolverlo i singoli paesi europei, ciascuno da solo? E' un'illusione, anche quando nasce in nazioni dal glorioso passato imperiale, perché il passato non ritorna. Né Londra né Parigi possono sperare di essere da sole un fattore di riequilibrio del superpotere americano. Abbiamo di fronte a noi la prova di San Tommaso che soltanto l'Europa può avere la forza di creare nuovi poli di leadership che non si identifichino con l'unico superpotere".
Ma l'Italia che può fare, se la politica estera comune dell'Europa è già data per morta?
"L'Italia non deve dimenticare di aver capito questa realtà prima e meglio di altri proprio perché non ha altre tentazioni da rincorrere. Noi possiamo giocare un ruolo internazionale solo attraverso l'Europa. Il nostro problema non è dunque di essere accettati in qualche direttorio, ma di tenere anche gli altri europei sulla strada giusta: aiutare gli Usa a non essere soli e aiutare il mondo a non sentirsi dominato. E non mi pare proprio che sia morta la politica estera comune dell'Europa. Sarebbe così se i Tre Grandi avessero sanzionato la fine del progetto di difesa europea, che a tappe forzate stiamo tentando di costruire. Ma così non è stato".
Ci aiuterà la marcia proAmerica?
"Il nostro problema non è dimostrare l'ovvio: che i sentimenti degli italiani non sono antiamericani. Non è un caso che a nessuno dei leader europei sia venuto in mente di organizzare niente del genere. Non trovo che sia un'idea da grande paese europeo saldamente collocato nell'Occidente".
Blair si sta comportando da europeo o da inglese?
"Sta spingendo su entrambi i pedali, quello della "special relationship" con gli Usa e quello di un'isola che fa parte dell'Europa. Sta giocando d'anticipo sull'Europa ma da europeo. Alla lunga, però, nemmeno lui potrà aver successo da solo. Lui ha scritto un copione che deve svolgere l'Europa: coalizione politica e azione militare insieme, fermezza ma anche rapporti con l'Islam non fondamentalista. Lo spartito europeo deve essere questo, ma è meglio se lo suoniamo tutti insieme".
Con l'impegno militare la Germania mette davvero fine al suo dopoguerra?
"Sì, e questo conferma il giudizio sull'età e le idee del Cancelliere, vero figlio del dopoguerra e perciò libero dai fantasmi della guerra. E' un bene che Berlino abbia un ruolo internazionale, perché tanto un paese così importante ce l'avrebbe anche se sta fermo. Più di altri, ha interesse a giocarlo in una cornice comune. Sono sicuro che se già esistesse la difesa europea Schroeder avrebbe preferito agire al suo interno".
La guerra ha cambiato la sinistra europea?
"Ha messo in evidenza la sua maturità di governo, seppur soffrendo tutte le tensioni etiche che l'uso delle armi le ha sempre provocato. Jospin ha avuto la forza di andare avanti anche evitando finora di far pronunciare il Parlamento. In vicende così, la gente si aspetta dai governi che diano sicurezza. Chi ha la guida non può essere scosso dal dubbio ogni momento".
Ora lei e la Ue vi state lanciando in un dibattito per cambiare le istituzioni europee. Non è che questo allontanerà ancora di più i popoli dall'Europa, visto che al momento hanno ben altre priorità?
"No. Come ha ben detto Ruggiero nel suo articolo sul "Corriere", noi vorremmo parlare a quegli stessi ragazzi di Oxford di cui lui ha descritto gli occhi indifferenti quando discorreva di ingegneria istituzionale, ma subito accesi da una domanda: a che cosa serve l'Europa? Questo farà in tutta la prima fase la Convenzione che sarà varata dal vertice europeo di fine anno: dialogare con l'opinione pubblica sui vantaggi dell'Europa. Dimostrare che più sicurezza interna ed esterna si possono ottenere meglio dall'Europa unita che dai governi nazionali. Le istituzioni verranno dopo, saranno il design aerodinamico necessario alla missione. Guardi che noi abbiamo un grande patrimonio, chi è fuori dall'Europa ce lo invidia: abbiamo costruito una cosa transnazionale che può avere un grande impatto nel mondo, secondo solo a quello degli Usa. Sarebbe da sciocchi gettarla via".

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23 ottobre 2001
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