Tino Bedin: "Il mio no nel nome dell'altra superpotenza" Parla il senatore della Margherita che ha votato contro il finanziamento della missione italiana
"Quando c'è stata la grande manifestazione mondiale per la pace abbiamo detto tutti che c'erano due superpotenze: gli Stati uniti e l'opinione pubblica. Forse è il caso che nel centrosinistra cominciamo a interpretare anche questa seconda superpotenza, anziché solo il governo di Washington". Tino Bedin, capogruppo della Margherita in commissione difesa, spiega così perché ha partecipato al voto sul decreto di finanziamento delle missioni italiane all'estero. E perché ha detto no. "Ho pensato - prosegue - che il modo per esprimere il messaggio politico fosse votare no. Perché di fatto il dibattito è sulla missione Iraq e perché comunque la partecipazione alla cosiddetta coalizione di volenterosi in Iraq contraddice con lo spirito e la forma delle altre missioni italiane".
Anche Cossiga e Scalfaro, due ex capi dello stato dalla matrice culturale assai diversa, benché ambedue ex Dc, si sono dichiarati contrari a partite dal richiamo alla Carta costituzionale. Noi non possiamo accettare il principio secondo cui ci sono missioni non autorizzate da organismi sovranazionali. Questo inficia decreto alla base.
Tanto che il centrosinistra ha votato la pregiudiziale di costituzionalità... Appunto. Sul piano del rispetto, poi, i nostri militari sono "protetti" in giro per il mondo perché di fatto non stanno con nessuna delle parti in conflitto: tendono anzi a stare dalla parte dei più deboli. Si sono creati questa fama che è vera. Se il governo costringe invece i militari che sono in Iraq a stare dalla parte del più forte, c'è il rischio che questa immagine dei nostri militari nel mondo cambi, e metta a rischio altre missioni. Ma c'è anche un'altra considerazione di carattere politico per noi.
Quale? E' chiaro che la coalizione della lista Prodi era alla prima uscita parlamentare. Ma una forza che si immagina del futuro, in questo momento doveva saper fare lo sforzo di immaginare un nuovo ordine mondiale come base della propria cultura in politica estera.
Invece gli organizzatori della manifestazione del 20 marzo hanno diffidato dal partecipare chi non vota contro la missione. Diventa subito un problema di rapporto con i vostri stessi elettori... Molte associazioni - Rete Lilliput, Beati costruttori di pace... - hanno organizzato una campagna on line. Io ho risposto a tutte le mail e qualcuno mi ha riscritto: alcuni mi hanno detto che non sono elettori del centrosinstra. Questo è il segno che un modo diverso di intendere i rapporti internazionali forse ci consentirà di dialogare con un'opinione pubblica, non solo di centrosinistra, che è cresciuta nella pace.
Intende dire che la pace allarga la coalizione più della lealtà a Washington? Secondo me sì.
Ma lei ha capito, allora, perché la lista unitaria ha avuto tutto questo bisogno di distinguersi con l'astensione? Alla fine dobbiamo anche dire che sulla missione in Iraq abbiamo votato tutti contro, con l'emendamento soppressivo dell'articolo 2: se fosse passato l'emendamento in Iraq restava solo la missione umanitaria, senza truppe. Non è che tutti siano così convinti di questo, quindi è risultato di rilievo che credo sia frutto anche dell'impegno di chi ha insistito per votare no. Poi, dal punto di vista della rappresentanza politica, in questo momento la percezione è che si sta discutendo dell'Iraq non delle altre missioni, e secondo me il messaggio doveva andare chiaro in questa direzione. Si è scelto di prendere atto che non era possibile votare: per me è stato meglio votare e votare no. Ma secondo me bisogna ancora riflettere a fondo su che tipo di politica estera vogliamo fare: bisogna decidere se l'alleanza con gli Stati uniti in questo momento della storia è tale da non consentirci di interloquire con altre superpotenze, ad esempio con l'opinione pubblica. La riflessione su questo evidentemente non è stata vincente tra di noi. Perché poi il gruppo dirigente abbia fatto questa scelta, bisognerebbe chiederlo a loro. Secondo me è prevalsa l'idea che una forza "responsabile" non possa fare altro che prendere atto della condizione che c'è; e che quindi si debba tener conto della posizione del governo americano. Perché poi, se avessimo il tempo di riflettere anche sulle altre missioni, il voto resta certamente favorevole, ma anche su quelle c'è da aggiornare e migliorare. Non si può votare a favore per tradizione, perché le abbiamo istituite noi: si vota a favore per mantenere, ma anche per cambiare. Però non può finire qua; per tutte le ragioni che dicevo prima, perché i cittadini vogliono discutere di pace.
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