La nuova Nato: una Maastricht per la difesa dell'Europa
La prospettiva di una Maastricht della difesa apre una complessa partita tra Stati Uniti e Vecchio continente potenzialmente pericolosa per la Nato. Il timore di Washington è di vedere sfidata la propria egemonia unipolare. Significative, al riguardo, le parole del capo del Pentagono Donald Rumsfeld, per il quale l’autonomia militare dell’Europa potrebbe concretizzarsi in «una minaccia per la Nato». All’opposto, a Bruxelles si comincia a capire che la sostanziale dipendenza di Eurolandia dagli Usa in materia di difesa equivale a condannare l’Unione ad una condizione di obiettiva minorità politica. Naturalmente, sono Francia e Germania, ossia il baricentro politico dell’Europa, nonché i due Stati ribelli a Bush sulla guerra all’Iraq, a fare da motore per la nascita di un esercito europeo; anche se, per il vero, il tema è entrato nell'attualità politica anche per merito della Gran Bretagna al vertice franco-britannico del 1998 a Saint Malo. Il concetto, quindi, di una Maastricht della difesa pare prendere forma concreta, sebbene il risultato politico sia subito contraddetto, a Roma ed a Berlino, da scelte di finanza tuttora aliene dalle questioni di sicurezza nazionale. Tuttavia, ben oltre gli orizzonti della ragioneria pubblica, l'idea di Europa armata trova dinnanzi a sé un "Rubicone militare" ben più difficile da transitare: perché, al di qua, sta il noto, ossia la Nato e la tradizionale predominanza statunitense; di là, viceversa, l'incognita del pensare alla propria sicurezza senza l'America. La teoria dei due Occidenti, americano l'uno ed europeo l'altro, comprovata da recenti prove di forza tra gli Usa e l'Unione in più occasioni (in materia ambientale a Kyoto; economica, per i conflitti, presso la Wto, in ambito di concorrenza sleale; bellica, sull'Iraq), qualora prendesse piede e si radicalizzasse, aprirebbe uno scisma militare interno all'Occidente medesimo dalle conseguenze difficili da valutare. La Maastricht della difesa e la Nato sono costrette a definirsi rispetto a questo contesto privo di punti stabili di riferimento. La recente cronologia degli eventi aiuta a meglio comprendere, sia in ambito di politiche di sicurezza che di gerarchie del potere in Europa, la posta in gioco tra il partito atlantico ed i suoi oppositori su entrambe le sponde dell'oceano. Il primo annuncio, (peraltro a conferma di una decisione, ora operativa, presa al vertice Nato di Praga del novembre 2002), viene dal Patto atlantico. Difatti, giovedì 15 ottobre, presso la base di Brunssum, in Olanda, il comandante supremo dell'Alleanza in Europa, il generale dei marines degli Usa James Jones, ha annunciato la nascita della Nato Responde Force (Nrf), che è, appunto, una forza di intervento rapido. L'obiettivo è di "trasformare la Nato con nuovi membri, nuove capacità e nuove relazioni" (www.comitatoatlantico.it), mutandone la filosofia operativa. L'opzione, fatta propria dalla Casa Bianca, toglie al Patto atlantico - data la sua nuova conformazione "leggera", sostanzialmente di peacekeeping e di anti-terrorismo -, e, conseguentemente, all'alleato europeo, centralità strategica. Al contempo, a Bruxelles, l'Unione annuncia la Maastricht della difesa, concettualmente autonoma, seppure ancora complementare alla Nato. Sullo sfondo, il prendere corpo di un separatismo militare che sembra seguire il motto di Rumsfeld: "sono le missioni a creare le coalizioni". Dunque, le relazioni transatlantiche scoprono l'era dell'incertezza. Date queste atmosfere, il compromesso di Bruxelles (il via alla Maastricht della difesa ma ancora affiancata alla Nato) è ragionevole perché evita - cosa che i teorici della sfida europea come Kupchan, invece, sottovalutano -, una scissione dell'Europa tra filo-atlantici ed anti-atlantici. Inoltre, la via carolingia, ossia franco-tedesca, alla difesa comune ha un evidente difetto: dimentica che, tuttora, l'Europa politica è, più che una Patria, un mero accordo intergovernativo; e che quindi una European Security Strategy, sul modello statunitense, rischia di essere più un opzione ideologica che reale. In questa prospettiva, va evitata l'idea di un'Europa della difesa a due velocità, come, viceversa, prevede l'approccio belga ad una "politica europea di sicurezza e difesa" (Pesc) limitata, in una prima fase, alla Kern-Europa - ossia Francia, Germania, Belgio e Lussemburgo: perché essa sanzionerebbe la spaccatura del Vecchio continente. Ed il sogno di un "Europa potenza", bruciato anzitempo, si frantumerebbe. In prospettiva, però, il tema della European Security Strategy resta vitale; quantomeno perché l'unilateralismo degli Stati Uniti sta marginalizzando l'Europa; anche se, per ora, gli europei sono privi di una comune strategia. Quindi, il ragionare attorno alla Maastricht della difesa porta a chiedersi se, dietro l'euro, il "Re sia nudo"; ossia se la retorica europeista, per caso, non abbia creato solo una figura letteraria: l'Europa della politica, appunto. Il futuro della Pesc, compreso l'eventuale sfida con gli Usa, presuppone una risposta a questo interrogativo.
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