L'assessore Padoin è sicuro "Capannoni, proroga del blocco" Salta il termine del 31 luglio
Arriverà anche il 31 luglio e troverà la Regione più impreparata che mai: nessuna legge urbanistica pronta, inevitabile la proroga del cosiddetto "blocco dei capannoni". Blocco totale: inclusi gli ampliamenti ai capannoni esistenti, dove la gente già lavora, magari stando troppo stretta. Lo dice l'assessore Antonio Padoin: "C'è l'assestamento di bilancio, c'è la verifica sommersa, An vuole la vicepresidenza della giunta, la Lega è fissata sugli alloggi agli immigrati. Troppe cose. Il disegno di legge della giunta è fermo in II Commissione dall'ottobre 2001 e non vedo nel presidente Bazzoni grande interesse a sveltire le operazioni. Anche l'opposizione fa da sponda: la Margherita propone una legge-ponte e il rinvio alla prossima legislatura". Chissà come la prenderà la Federazione degli industriali, la quale va dicendo in tutte le salse che "la programmazione regionale deve prevedere l'uso del territorio e non il blocco, a meno che non si voglia diventare illiberali". Bella accusa per uno come il presidente Giancarlo Galan, che viene dal partito liberale e teorizza il libero mercato. L'assessore Toni Padoin, Udc, classe 1946, trevigiano, laureato in chimica, dà la colpa dei ritardi ad un asse perverso che si è creato secondo lui tra ambientalisti e leghisti, polemizza con il presidente degli industriali di Treviso Sergio Bellato, nega che le aree manchino (pur non sapendo dire quante sono), spiega il disordine urbanistico con ragioni storiche più che con responsabilità politiche (che pure ammette), insiste sui numeri che secondo lui sono bassi. Insomma, ad ascoltarlo ci si fa un'idea di come il problema è visto nella stanza dei bottoni. Meglio di niente. I numeri. "Solo il 2,3% del territorio veneto - dice Padoin - è destinato ad attività produttive. E' poco ma, a guardare la cartina, si vede che tutto il Veneto ne è tempestato. Il problema è dunque il disordine urbanistico, non la proliferazione dei capannoni. Teniamo presente che anche la popolazione del Veneto cala, ciò nonostante si costruiscono case: perché?". Il disordine. "Non mi associo alle denunce che sento. Ci vuole un'analisi del perché siamo arrivati a questo punto: il Veneto è cresciuto in fretta, l'unica risorsa era il territorio. Fino agli anni '90 molta parte dells regione era ancora considerata depressa e vi era favorita l'industrializzazione: prima la Tremonti che defiscalizzava gli utili reinvestiti; poi i fondi europei Obiettivo 5b per le aziende e Obiettivo 2 per il turismo; adesso la Tremonti-bis. Tutti questi fattori hanno portato il sistema a svilupparsi in modo abnorme". Le cause. Cosa faceva nel frattempo la Regione? Invece di concentrarsi su questa domanda, Padoin va in cerca di spiegazioni storiche: "Il Veneto è policentrico già dal Medioevo. Già allora avevamo il più alto numero di case in mattoni di tutta la penisola. Non a caso conserviamo 4500 centri storici in 580 Comuni. Non poteva che partire da qui il nostro sistema di sviluppo. L'equilibrio l'ha dato il campanile". Le responsabilità. "Per tanto tempo non si è potuto fare un intervento in un Comune se non se ne faceva uno analogo nel Comune vicino. Questo è stato deleterio, qui c'è la responsabilità della classe politica veneta, che ha legato la sua sopravvivenza al campanile. L'altro errore è stato aver autorizzato gli insediamenti industriali lungo gli assi stradali, per evitare opere di infrastrutturazione. Oggi abbiamo tutte le circonvallazioni intasate, piccole tangenziali di Mestre disseminate nel territorio. Questa è la prova documentale del fallimento della classe politica legata a Carlo Bernini". La Regione. Vogliamo dire cosa faceva intanto la Regione: dormiva? "Le leggi urbanistiche iniziano tardi - si difende Padoin -. La Regione comincia a legiferare in materia negli anni '80 obbligando i Comuni a fare i piani regolatori con legge 61 dell'85, mentre prima esistevano solo piani di fabbricazione. Oggi tutti i Comuni veneti hanno un Prg. L'ultimo a dotarsene è stato Cortina: il contrasto di interessi fortissimi ha portato più volte a impallinare il piano in Consiglio di Stato. La filosofia di Cortina era "niente a nessuno". Qui si è esaurito il compito della legge 61 ed è nata l'esigenza di una normativa nuova". Edilzia rurale. "Grosse responsabilità - dice sempre Padoin - vanno addebitate alla legge 24 dell'85 di tutela e di edificabilità nelle zone agricole. Non ha tutelato nulla, ha permesso a tutti di costruirsi la villa in campagna, avvocati, notai, imprenditori, gente che non aveva nulla a che fare con l'agricoltura. Visti i disastri, bisognava correggerla subito; ma l'agricoltura e il piccolo commercio erano i due serbatoi di voti della Dc: figurarsi se ci pensavano. Nel resto d'Italia non è andata così: in Lombardia hanno conservato le cascine, altrove hanno salvaguardato le imprese agricole". I capannoni. "Ormai quelli costruiti non si buttano più giù" dice l'assessore. Perché? Non c'è risposta, Padoin tira dritto. "Io dico: basta zone industriali fatte come ora; quelle del futuro devono servire più Comuni e devono partire da quelle già esistenti". Gli industriali. "Non condivido le polemiche degli industriali di Treviso e del loro presidente Sergio Bellato. Le aree libere in provincia di Treviso ci sono. A Conegliano l'associazione artigiani del mandamento ha calcolato 5 milioni di metri quadrati di aree produttive libere. E' una polemica strumentale". Perché Bellato dovrebbe inventarsi i dati? "E' noto che sia lui che Nicola Tognana puntano al vertice di Confindustria. Devono stare sempre al centro dell'attenzione". "Ho dovuto subire". "Ci sono aspetti di questa legge che condivido - dice Padoin - e altri invece che ho dovuto subire. Sul blocco dei capanoni per esempio sono d'accordo. Ma non sul blocco totale: questa è un'assurdità. Se uno ha bisogno di un ampliamento di 50 metri quadrati, poniamo, è inconcepibile che debba ricorrere ad una variante. Bisognerà scorporare il problema. Esiste poi una posizione della Lega, che vuole le deleghe urbanistiche ma in realtà aumenta livelli di pianificazione, mentre noi preferiamo semplificarli e ridurli. E in questo fa sponda con la sinistra". La voce grossa. "Sto tenendo ferme da un anno le zone industriali di Maserà e di Albisgnasego, perché non hanno previsto la viabilità di accesso. Dovrebbero spararmi per questo, ma non cambio idea". Asse Verdi-Lega. "Mi preoccupa la saldatura politica tra una componente ambientalista e una leghista. Quest'ultima parla di una salvaguardia del Veneto ma al solo scopo di fronteggiare l'immigrazione extracomunitaria: niente capannoni, niente immigrati; non c'è più manodopera, dunque basta aziende. Questo gira e rigira è il perno del ragionamento che fa ad esempio Giuseppe Covre. Si sono saldate due componenti che non hanno nulla da spartire tra di loro".
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