RASSEGNA STAMPA

L'Unità
9 maggio 2003
di Maura Gualco, Francesco Fasiolo


Incontro tra militari e governo sulle paghe:
esercito e CC se ne vanno per protesta

«Vi inviterò a cena dove per molte ore potrò ascoltare i vostri problemi», e ironicamente: «mi occuperò personalmente del menù che per l’occasione sarà tricolore». Da quando il presidente del consiglio Silvio Berlusconi fece queste promesse ai rappresentanti delle forze armate sono passati cinque mesi. Ieri finalmente il governo ha incontrato i rappresentanti del Cocer, l’organismo di rappresentanza dei militari. Ma al posto di una cena tra amici i delegati hanno trovato solo freddezza, e le «molte ore» si sono trasformate in 45 tesissimi minuti. Il ministro della Difesa Antonio Martino, il capo di Stato Maggiore Rolando Mosca Moschini (fresco di nomina alla guida dell’esercito europeo) e i rappresentanti delle forze armate dovevano discutere della richiesta di modificare alcune parti del decreto legislativo con cui il governo ha stabilito i nuovi parametri per gli stipendi dei militari. Ma dopo gli interventi dei presidenti Cocer di esercito, marina, aeronautica, guardia di finanza e carabinieri, il ministro si è alzato e se ne è andato. A quel punto due rappresentanti dell’esercito e due dei carabinieri hanno lasciato, sdegnati,la riunione.
È dunque negativo il bilancio di questo incontro organizzato in fretta e furia dopo che il gruppo parlamentare Ds aveva preparato un’interrogazione urgente per chiedere conto dell’impossibilità di incontrare il presidente del consiglio e il ministro, nonostante le continue richieste. Negativo perché il decreto non si tocca e perché, come sottolinea il senatore Ds Massimo Brutti «ancora una volta si sottovaluta l’umore di queste persone, che sono le stesse che vanno in Afghanistan». «I militari si sentono delusi e intimiditi - aggiunge il generale dell’aeronautica Albino Amodio - dall’atteggiamento freddo e distaccato del governo».
Intanto continua lo sciopero nelle mense militari contro il decreto legislativo di aprile sugli stipendi. Il provvedimento deriva da una legge, approvata durante il governo dell’Ulivo, con la quale si delegò il governo a emanare un decreto che consentisse al personale militare di passare dal concetto dei “livelli” tipici del pubblico impiego a quello dei “parametri”. Ma i parametri del centro destra, che prevedono aumenti soltanto all’avanzamento di grado (che per la truppa sono tre) al posto degli scatti biennali di anzianità che prima muovevano gli stipendi, piacciono a pochi. Dei circa 450mila dipendenti delle Forze armate e di quelle dell’ordine, 300mila persone (che occupano ruoli iniziali, ovverosia la truppa) hanno di fronte tre promozioni di carriera. «In altre parole vuol dire - spiega Amodio - un primo stipendio di 1200 euro lordi al mese il quale dopo quarant’anni di carriera, può al massimo raggiungere i 1400 euro. Netti sono circa la metà». Ai 450mila dipendenti di oggi, poi, con la fine della leva obbligatoria - primo gennaio 2005 - si aggiungeranno altri volontari che prenderanno il posto dei soldati di leva i quali non percepiscono stipendio dalle Forze armate. «Se si vuole l’esercito di professionisti bisogna cambiare sistema di retribuzione e parametri, che vanno legati all’anzianità - spiega il maresciallo Salvatore Rullo, uno dei rappresentanti del Cocer - o con le pochissime domande presentate non si raggiungeranno mai i 76mila volontari che servono all’esercito».

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11 maggio 2003
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