Le polveri bagnate del cavaliere
CHI s´aspettava fuochi d´artificio, stile gran ballo sul Titanic, è rimasto deluso. È un Berlusconi scialbo, verboso e cauto come un doroteo quello che risolve lo show di fine anno con un´interminabile litania di false cifre e sondaggi comprati ai quali lui stesso ha l´aria di non credere. Un Berlusconi di maniera che s´affida a una recitazione senza smalto né invenzioni linguistiche. Pochi sorrisi e nessuna barzelletta. Il grande Venditore ha perso la sua magia. È vero, non bisognerebbe cominciare il commento sulla conferenza stampa annuale del Presidente del Consiglio come se fosse la recensione di un recital. Ma il presidente showman ci ha abituato così e tale era l´aspettativa. Del resto è lo stesso premier, a metà dell'esibizione, a spiegare perché non occorre prenderlo sul serio: "L´opposizione che mi critica non capisce che io ho il dovere d´esser ottimista, altrimenti la gente si spaventa, si deprime, non consuma e l´economia si blocca". È l´unico momento di sincerità della serata. Ma con questa enunciazione della propria poetica di artista della comunicazione, Berlusconi ci risparmia la fatica di contestare una per una le 42 cartelle fitte di "risultati", "successi" e "promesse mantenute" (a chi? Previti?) con le quali allieta due ore di monologo. Meno tasse per tutti? Fatto! Pensioni dignitose? Fatto! In un crescendo che si spezza quando il protagonista inciampa sulla battuta da copione dei "5mila posti di lavoro in più", che vorrebbero essere "500mila" ma freudianamente non ce la fanno. È evidente la crisi creativa rispetto al Berlusconi di fine 2001. Questo fa diminuire i reati d´un misero 10 per cento, quello li dimezzava ("meno 46 per cento"), aggiungendo il tocco di genio di un "calo del 245 per cento di sbarchi clandestini", ben oltre le povere leggi della matematica. Ora, dal momento che la smentita arriverà puntuale fra pochi giorni, all´inaugurazione dell´anno giudiziario, perché non osare? Il Berlusconi d´un anno fa si lanciava in profezie miracolose. Senza paracadute, è vero, ma con il sorriso pronto e "il sole in tasca". Avvertiva "col fiuto dell´imprenditore" i "forti segnali di una ripresa già in atto". Assicurava che il governo sarebbe andato avanti "senza tentennamenti" nella riforma del diritto del lavoro, nell´"assoluta certezza che i lavoratori non sciopereranno e non scenderanno in piazza per difendere l´indifendibile articolo 18". Poi è arrivata la crescita più bassa del decennio, i lavoratori sono scesi in piazza a milioni e gli scioperi sono aumentati del 500 per cento. Il Berlusconi del 2002 quindi lascia che sia Tremonti a ripetere la favola della "ripresa", dimentica l´articolo 18 e quando gli tocca annunciare la riforma delle pensioni cerca la benedizione dell´Europa e il sostegno dell´opposizione. Visto che come messia del "nuovo miracolo economico" è fallito, il premier la butta sul resto e riaccende l´ego nelle incredibili vanterie di politica estera ("Prima di me l´Italia non contava nulla"). Segna nuovi record di volgarità nello sfottere l´avversario ("spedirò due panettoni a Fassino, ormai ha un´aria preoccupante... ") ed è ancora peggio quando prova a fare sul serio: "Sul dialogo dev´essere la sinistra a fare il primo passo". Infine si diverte a umiliare da vero padrone i giornalisti del suo gruppo, trattati come bambini che hanno da farsi perdonare "tante birichinate nei miei confronti". Questo naturalmente per dimostrare che è "l´editore più liberale della storia" ai giornalisti stranieri presenti e ovviamente inorriditi dalla scena. Nel lungo discorso non c´è traccia di un nuovo slogan ma nemmeno di un filo logico. "Il 2003 sarà l´anno delle grandi riforme" l´aveva già detto per il 2002. L´assalto al Quirinale sembra rinviato a tempi migliori, in considerazione della crescente popolarità di Ciampi, con il quale naturalmente "non c´è mai stato alcun contrasto". La sala sonnecchia e l´unico soprassalto la coglie quando il premier quasi urla la volontà di costruire il Ponte sullo Stretto, in chiave anche di lotta alle cosche, con lo slogan "sotto il Ponte la mafia muore". Tutti però sanno che nella realtà sopra il Ponte la mafia campa (ha già comprato i terreni) e l´emozione civile si spegne presto. Il 2002 di disgrazie ha lasciato il segno perfino nell´inossidabile e "doveroso" ottimismo del premier. Gli slogan sono i soliti ma la spinta propulsiva e il pathos populista che li sosteneva si sono come esauriti. Forse anche Berlusconi avverte le "nubi del declino" che secondo il rapporto Censis s´addensano sul futuro dell´Italia. Di sicuro, da buon conoscitore degli italiani e attento lettore del Machiavelli, sa che gli verrà perdonato tutto ma non la jella. Con aria sconsolata ammette: "Continuano ad accadere catastrofi e sciagure, ci voleva anche l´eruzione dello Stromboli...". È ancora bravissimo a svicolare su tutti i temi dell´economia, dalla crisi della Fiat al debito pubblico che cresce invece di calare. È formidabile nel non farsi mancare mai l´alibi, nell´addossare sempre le colpe di tutto, comprese le catastrofi naturali, all´"eredità della sinistra". Ma è un giocare in difesa, una mezza confessione d´impotenza. I sondaggi di popolarità segnano rosso, il "vaccino" al berlusconismo era davvero "lasciarlo lavorare".
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