Più di cento fra docenti e storici del diritto
bocciano la norma sul legittimo sospetto
L'appello dei giuristi "La Cirami è incostituzionale" Sotto accusa anche i meccanismi di sospensione dei processi. Promotori i professori Ferrua, Dogliani e Chiarloni
ROMA- In soli due giorni, con un passa-parola telefonico e via e-mail, hanno raccolto oltre cento firme, di ordinari di diritto costituzionale, di processual penalisti, di penalisti, ma anche di civilisti e di storici del diritto. Nei giorni precedenti, hanno prima scritto un appello di sei pagine, poi l'hanno ridotto a poco più di mezza cartella. Quindi sono passati alla diffusione, che non ha incontrato difficoltà. È bastato parlare di futura legge Cirami e di dubbi di costituzionalità per ottenere le adesioni che, peraltro, continuavano ad affluire anche ieri sera. Ai tre promotori - Paolo Ferrua (procedura penale), Mario Dogliani (diritto costituzionale), Sergio Chiarloni (procedura civile), che hanno lavorato con Francesco Caprioli e Renzo Orlandi (procedura penale) - non resta che aspettare gli effetti della denuncia. Che si appunta su tre questioni specifiche: il legittimo sospetto, in versione Cirami, viola il principio del giudice naturale precostituito per legge; il meccanismo di sospensione del processo non garantisce da istanze strumentali; è illegittimo applicare ai processi in corso una legge simile.
Ecco alcuni dei nomi più conosciuti nel mondo dell'accademia che hanno sottoscritto il testo dell'appello. Alberto Alessandri, Lorenza Carlassare, Franco Cordero, Leopoldo Elia, Glauco Giostra, Carlo Federico Grosso, Giulio Illuminati, Giorgio Marinucci, Enrico Marzaduri, Alessandro Pace, Mario Pisani, Alessandro Pizzorusso, Andrea Proto-Pisani, Giuseppe Riccio, Carlo Smuraglia. Così, mentre al Senato sono giunti a 800 gli emendamenti dell'opposizione già pronti per il dibattito in aula, sulla Cirami si apre un'altra polemica.
L'appello dei professori fa effetto anche per la sua asciuttezza. "La previsione di non meglio specificati motivi di legittimo sospetto, sia pur derivanti da gravi situazioni locali, appare in contrasto con il principio del giudice naturale precostituito" affermano. Aggiungendo che, come insegna la dottrina della Consulta, "perché possa dirsi rispettata l'inderogabile garanzia della precostituzione non basta che sia predeterminato il "nuovo" giudice, territorialmente competente; devono essere predeterminati anche i "casi", cioè le circostanze di fatto oggettivamente verificabili che giustificano il trasferimento del processo, in modo da ridurre al minimo la valutazione della Cassazione". Di questo dubbio si erano già fatti portavoce il procuratore di Milano Gerardo D'Ambrosio e Vittorio Grevi (procedura penale). E a palazzo Madama, in commissione Giustizia, i diessini Ayala, Calvi, Brutti, Fassone, Maritati hanno inondato di emendamenti sullo stessa questione il presidente Caruso.
Al primo dubbio ne segue un secondo. Sul quale ha battuto molto proprio Fassone. "La sospensione obbligatoria nella fase finale del dibattimento e il divieto di pronunciare sentenza - si legge nell'appello - sono censurabili. Si altera l'equilibrio tra i principi di economia processuale e la terzietà del giudice con il rischio di un uso strumentale della richiesta di rimessione". Il rischio è che si determini "la paralisi del procedimento tanto da compromettere il bene costituzionale dell'efficienza del processo", proprio come scriveva la Consulta in una sentenza del 1996. Secondo i pr o fessori torinesi, in più, non basta come garanzia quello che è stato definito nel dibattito parlamentare il "filtro" della Suprema corte. "Tanto il vaglio di ammissibilità del presidente della Cassazione, quanto quello del giudice di merito sulla novità degli emendamenti addotti in caso di richiesta reiterata sono del tutto inadeguati a frenare richieste pretestuose o dilatorie". In più, come ha denunciato Fassone in Senato, c'è il forte rischio che, da un atto non giudiziario, come la decisione assunta dal primo presidente, ne derivino conseguenze sulla sospensione della custodia cautelare che non sarebbero neppure appellabili, in quanto il giudice, sospendendo il processo, compie un atto dovuto. In un processo con più imputati, la richiesta di uno in stato di libertà potrebbe danneggiare un coimputato recluso che resterebbe in carcere e con i tempi di custodia sospesi.
Infine, i processi in corso. Secondo l'appello, "appare illegittima l'applicazione immediata della nuova normativa, tanto più attraverso una legge dichiaratamente volta a distogliere dal loro giudice naturale gli imputati di alcuni processi ben definiti". L'allusione, anche priva di indicazioni nominative, è chiara. Si sta parlando di quelli milanesi.
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